Nuovo regime impatriati: allungamento del periodo minimo di permanenza all’estero
Il periodo minimo di permanenza all’estero è aumentato a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il lavoratore al rientro in Italia presti l’attività lavorativa per il medesimo soggetto per il quale ha lavorato all’estero (AdE – risposta 07 febbraio 2025 n. 22)
Nel caso di specie, l’Istante, cittadina francese, ha lavorato in Italia da gennaio 2015 a marzo 2018 e ha risieduto all’estero dal 2018 al 2024, lavorando come Account Manager presso un’azienda di Zurigo dal 21 settembre 2020 al 27 giugno 2024. Successivamente, si è trasferita con la famiglia il 15 agosto 2024 in Italia e ha richiesto al Comune la residenza anagrafica.
L’Istante, inoltre, precisa di aver concluso il contratto di lavoro dipendente e aver stipulato contestualmente, con la stessa azienda per cui lavorava a Zurigo, un contratto di consulenza iniziando un’attività di lavoro autonomo. Ciò posto, chiede se:
– può beneficiare del regime agevolativo di cui all’art. 5 del DLgs 27 dicembre 2023 n. 209, a decorrere dall’anno d’imposta 2024 e, in particolare, se l’emissione delle fatture ad un unico cliente estero che, negli anni precedenti è stato il datore di lavoro, sia un ostacolo alla fruizione del regime degli impatriati;
– la mancata iscrizione all’AIRE sostituita dalla residenza in nazioni estere con le quali l’Italia intrattiene una convenzione in materia di doppia imposizione, sia sufficiente per fruire delle agevolazioni.
In particolare, l’Agenzia delle entrate chiarisce che il nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati, applicabile ai contribuenti che trasferiscono, dal periodo d’imposta 2024, la residenza in Italia, è stato disciplinato dall’art. 5, DLgs 27 dicembre 2023 n. 209, il quale dispone che i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato, entro il limite annuo di 600.000 euro concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare al ricorrere di determinate condizioni.
La norma agevolativa riguarda esclusivamente i redditi ivi indicati che, «entro il limite annuo di 600.000 euro», concorrono alla formazione del reddito complessivo, limitatamente al 50 per cento del loro ammontare, senza che sia necessario il ragguaglio ad anno, anche nel caso in cui il trasferimento della residenza fiscale sia avvenuto nel corso del periodo d’imposta.
La base imponibile è ridotta al 40 per cento nei casi in cui il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore e in caso di nascita di un figlio ovvero di adozione di un minore di età durante il periodo di fruizione del menzionato regime. In tale caso il beneficio è fruito a partire dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione.
La riduzione al 40 per cento della base imponibile è subordinata alla condizione che durante il periodo di fruizione del regime da parte del lavoratore, il figlio minore di età, ovvero il minore adottato, sia residente nel territorio dello Stato.
La circostanza che, successivamente al rientro, i figli diventino maggiorenni non determina la perdita del maggiore beneficio fiscale fino al termine di detto periodo agevolato.
Con riferimento al primo quesito posto dall’Istante, il nuovo regime può essere applicato, nel rispetto delle condizioni richieste, anche nell’ipotesi in cui il lavoratore si trasferisca in Italia per prestare l’attività lavorativa nel territorio dello Stato in favore del medesimo soggetto (residente o non residente in Italia), presso il quale è stato impiegato all’estero prima del predetto trasferimento oppure in favore di un soggetto «appartenente al suo stesso gruppo. Nella predetta ipotesi in cui il lavoratore svolga in Italia l’attività lavorativa a favore dello stesso soggetto (datore/gruppo) per il quale lavorava all’estero, la norma prevede l’allungamento del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero che, da tre, aumenta a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto (datore/gruppo) presso cui era svolta l’attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all’estero.
La norma non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra i soggetti; dunque, il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero è aumentato a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente (lavoratore dipendente, assimilato o lavoratore autonomo) al rientro in Italia presti l’attività lavorativa per il medesimo soggetto (datore/gruppo) per il quale ha lavorato all’estero. Pertanto, ad esempio, per il contribuente che al rientro in Italia intraprende un’attività professionale e rende le proprie prestazioni professionali anche nei confronti del suo precedente datore di lavoro estero, il periodo minimo di permanenza all’estero è di sei periodi d’imposta (ovvero di sette periodi d’imposta qualora sia stato impiegato in Italia, prima del trasferimento, per lo stesso datore di lavoro).
A tal punto, nel caso in esame, l’istante che al rientro in Italia presterà l’attività professionale con la stessa società per la quale aveva già lavorato all’estero, al ricorrere di tutti i requisiti previsti dalla norma, potrà beneficiare del nuovo regime agevolativo, a partire dal periodo d’imposta di rientro in Italia e per i quattro successivi considerato che dichiara di essere stata residente all’estero per almeno 6 anni.
Con riferimento al secondo quesito, occorre considerare che esula dall’istituto dell’interpello la verifica dei requisiti necessari ai fini dell’accesso al nuovo regime nonchè la sussistenza dei presupposti per stabilire l’effettiva residenza fiscale, atteso che comportano verifiche fattuali non rientranti nell’ambito applicativo dell’istituto dell’interpello. Per i suesposti motivi, il secondo quesito è inammissibile.
di Ilia Sorvillo
Fonte normativa
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