La Costituzione non conosce muri • Libertà e Giustizia

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Il diritto all’affettività in carcere è stato sancito dalla Corte Costituzionale il 26 gennaio 2024, poco più di un anno fa. Eppure rimane sospeso nelle carceri italiane a causo di uno “studio” sulla materia disposto dal Governo. Ora un giudice di Spoleto ha accettato il ricorso di un detenuto di Terni e, applicando la sentenza della Corte, ha ordinato che gli vengano garantiti incontri intimi con la compagna.

«La Costituzione non conosce muri, ma i muri li attraversa» aveva ricordato la Corte costituzionale quando, nel 2018, decise di entrare nelle patrie galere. Eppure, da più di un anno il governo tiene la Costituzione fuori dalla porta del carcere, come se nulla fosse. E ci voleva un giudice – ebbene sì, ancora una volta un giudice – per riportarla dentro, e lì dentro farla vivere attraverso le parole della Corte costituzionale.

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Il 26 gennaio 2024 la Consulta aveva censurato il divieto di incontri intimi tra persone detenute e i rispettivi partner senza controllo visivo della polizia penitenziaria, e aveva intimato al governo di garantire da subito, anche temporaneamente in attesa di interventi strutturali, il pieno esercizio del diritto all’affettività dei detenuti, in tutte le sue espressioni, compresa la sessualità. La sentenza era stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale il 31 gennaio e dal giorno successivo è diventata pesante quanto una legge. Nessuno può violarla, ignorarla, aggirarla. Ma il nostro governo ha fatto spallucce. Non è la prima volta, del resto. 

Il ministero della Giustizia ha nominato un gruppo di studio che studia ancora, non si sa bene per quanto tempo continuerà a studiare perché finora non ha indicato una scadenza, ma studia quanto basta a stoppare quei direttori di carcere che si stavano rimboccando le maniche alla ricerca di soluzioni. Fermi tutti. Con tanti saluti alla Corte costituzionale, ai diritti delle persone detenute, alla Costituzione. Non esattamente come accadeva in Polonia con il precedente governo – che, di fronte a sentenze sgradite della sua Corte, non le pubblicava in Gazzetta e così le faceva sparire – ma forse persino peggio vista l’ostentazione con cui da noi viene ignorata la Corte e sono cancellati, di fatto, i diritti fondamentali da essa riconosciuti. Così accade anche per il suicidio assistito, per il doppio cognome, per i diritti dei figli di coppie omogenitoriali.

In questo caso, il giochino si è rotto quando il magistrato di Sorveglianza di Spoleto Fabio Gianfilippi, prima ha «disapplicato» il no della direzione del carcere di Terni a un detenuto che rivendicava il suo diritto ad avere incontri intimi e senza controllo visivo con la sua compagna, e poi ha ordinato alla stessa direzione di dar seguito a quella richiesta entro 60 giorni.

La notizia – per una volta una buona notizia sul carcere – è uscita ormai da qualche giorno. Ma è possibile che analoghe decisioni siano già state prese ed è sicuro che altre ne arriveranno. Non si può escludere che il ministero le impugni, chiedendo ancora tempo perché sta ancora studiando. Un governo in fuga, insomma. Fino a quando, non si sa. 

Non si fa melina sui diritti fondamentali delle persone, tanto più se sono persone vulnerabili come quelle recluse. Commissioni ministeriali con compiti ben più ardui di quella sull’affettività hanno presentato le loro conclusioni in quattro, cinque mesi. Qui è passato un anno. Ecco allora ingrossarsi l’onda della magistratura di sorveglianza, chiamata anch’essa in causa dalla Consulta per garantire l’effettività del diritto dei detenuti. Si chiama leale collaborazione. 

Non ci stupiremmo se anche stavolta la premier e la sua corte partissero lancia in resta contro il giudice di turno, perché si è “permesso” di dare attuazione a una sentenza della Consulta invece di allinearsi alle sue scelte politiche (peraltro omissive). Né ci stupiamo che il governo – così zelante nel rivendicare le garanzie dello stato di diritto per giustificare il suo più che discutibile comportamento nel rimpatrio-lampo del generale Almasri accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l’umanità – si metta invece sotto i piedi lo stato di diritto quando deve dare attuazione a sentenze della Corte costituzionale che riconoscono diritti fondamentali, solo perché quei diritti non gli piacciono. 

Nel “mondo al contrario” in cui la destra di governo sta spingendo il nostro Paese, la Costituzione è carta straccia, i trattati internazionali sono un impiccio e la leale cooperazione istituzionale non sta tanto bene. Ma per fortuna c’è ancora un giudice a Spoleto! 



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