La diplomazia del Golfo e la sua crescente centralità nella risoluzione dei conflitti

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Che si tratti dell’arbitraggio dell’Arabia Saudita in Siria e in Libano, del ruolo di mediatore del Qatar tra Hamas e Israele, o del lavoro svolto dietro le quinte dall’Oman con l’Iran e gli Houti, senza dimenticare l’importanza degli Emirati Arabi nello scambio di prigionieri tra Kiev e Mosca, la conclusione è una: da qualche anno, i Paesi dei Golfo occupano un posto sempre più importante nella risoluzione dei conflitti e delle crisi regionali e internazionali.

La diplomazia Saudita: dall’ombra alla luce.

La paura per vuoto i Sauditi l’hanno provata bene, ma l’indebolimento dell’Iran in seguito agli attacchi di Israele contro Hezbollah, suo braccio armato in Siria e Libano, ha permesso a Riyad di prendere al volo questa opportunità e tornare in forza in Libano così come rafforzare la sua influenza in Siria.

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L’Arabia Saudita sta approfittando dell’allentamento della morsa della “mezzaluna sciita”, che ha dominato una parte della regione per due decenni con, fino ad oggi, una crescita del dominio di Teheran in Libano attraverso Hezbollah e in Siria dove gli Iraniani hanno ostentato uno dei maggiori sostegni al regime di Bachar Al-Assad.

I Sauditi hanno pazientemente pianificato il loro ritorno negli affari del Libano e della Siria. Quest’operazione si è svolta in più momenti.

Il primo è stato quello di tagliare l’appoggio finanziario al Libano, caduto in mano di un Hezbollah che sembrava inamovibile.

Il campo sunnita rappresentato da Saad Haririè stato allora ridotto a semplice comparsa. L’Arabia Saudita, che aveva giocato un ruolo fondamentale nel mettere fine alla guerra civile in Libano con gli Accordi di Taef del 1989, sembrava voler abbandonare questo Paese al suo triste destino privandolo del suo appoggio finanziario.

Il secondo passo si è caratterizzato dal riavvicinamento alla Turchia, l’altro grande polo sunnita della regione.

La visita del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan in Arabia Saudita il 16 luglio del 2023 ha consacrato la riconciliazione tra i due Paesi dopo le forti tensioni nate in seguito all’assassinio di Jamal Khashoggi, avvenuto a Istanbul il 2 novembre 2018.

Questo riavvicinamento è legato al principio di razionalità. I due Paesi hanno bisogno l’uno dell’altro.

La Turchia, potenza militare regionale, ha bisogno dei finanziamenti che arrivano dall’Arabia Saudita e l’Arabia Saudita ha bisogno della tecnologia turca in alcuni importanti settori per non dipendere esclusivamente dall’Occidente.

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Il terzo momento è stato scandito dalla riammissione della Siria di Bachar Al-Assad in seno alla Lega Araba, opportunità che l’ex Presidente siriano non ha saputo o voluto cogliere pensando di poter giocare, ancora una volta, con promesse e impegni poi non mantenuti.

Alcuni eventi esterni sono venuti ad aggiungersi al momento giusto in sostegno della strategia dell’Arabia Saudita che, da fine osservatore della scena regionale ha saputo trasformarsi in attore diplomatico importante, se non insostituibile, in alcuni dossier come la Siria e il Libano.

L’intervento israeliano a Gaza e a sud del Libano ha avuto come conseguenza l’indebolimento dell’influenza iraniana nella regione.

Hezbollah molto ridimensionato avrà difficoltà a ricostruirsi, anche perché molte delle linee di approvvigionamento che passavano dalla Siria non saranno riattivate in un futuro prossimo.

L’Arabia Saudita, che festeggia quest’anno i dieci anni al potere di re Salman e dell’effettivo potere del principe ereditario Mohamed Ben Salman, ha conosciuto una vera rivoluzione in molti campi.

La sua diplomazia, tradizionalmente prudente e timida, è diventata la conferma della potenza regionale saudita, sempre più determinata ad affermare la sua predominanza.

Questa diplomazia così attiva è rafforzata dalla figura del principe Faiçal Bin Farhan che ne è a capo.

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Questo diplomatico, formato nelle migliori università, conosce perfettamente i codici e i meccanismi che muovono i rapporti di forza nel mondo.

I Sauditi di ritorno in Siria e Libano.

Quando è caduto il regime siriano, e dopo la fuga di Bachar Al-Assad l’8 dicembre del 2024, si è pensato che i nuovi reggenti di Damasco sarebbero stati posti alla sudditanza della Turchia, alla quale dovevano in gran parte la loro vittoria. Ma non è stato proprio così.

Ahmed Al-Charra, capo di Hay’atTahrir al Sham (HTS), ha da allora tolto la sua divisa da combattente per indossare vestito e cravatta.

Tra i suoi primi atti troviamo il riavvicinamento a Riyad che si è subito dichiarata presente.

La prima visita all’estero di Assaad Hassan Al-Chibani, nuovo Ministro degli Affari Esteri siriano, è stata in Arabia Saudita.

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Il regno saudita ha da parte sua organizzato una riunione ministeriale incentrata sugli aiuti alla Siria.

Tutti i Paesi del Golfo erano presenti, così come i ministri degli Esteri di Egitto, Giordania, Libano, i Segretari generali della Lega Araba e del Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’inviato speciale per la Siria delle Nazioni Unite Geir Otto Pedersen, l’Alta rappresentante dell’Unione Europea Kajakallas, e i ministri degli Esteri tedesco e britannico Annalena Baerbock e David Lammy.

Questa conferenza mirava alla soppressione delle sanzioni internazionali contro la Siria, coordinare gli aiuti per la ricostruzione del Paese e definire le aspettative nei confronti del nuovo potere che dovrà garantire i diritti di tutti i siriani.

L’Arabia Saudita sta anche tornando in Libano.

Riyad, con l’aiuto della Francia e degli Stati Uniti, ha dato un fortissimo contributo all’elezione del generale Joseph Aoun alla Presidenza.

La visita a Beirut del Principe Khaled Ben Salman, fratello del Principe ereditario e Ministro della Difesa saudita, così come il suo palese sostegno alla candidatura del generale Aoun ne sono il segno tangibile.

Inoltre, la designazione di un inviato speciale per il Libano, il Principe Yazid Bin Farhan, fratello e consigliere del Ministro degli Affari Esteri Fayçal Ben Farhan, è un’ulteriore prova del rinnovato interesse dei Sauditi per Beirut.

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Altresì, il Presidente Aoun ha dichiarato che la sua prima visita all’estero sarebbe stata in Arabia Saudita.

Nelle scorse settimane, il Ministro degli Esteri saudita è stato a Beirut e Damasco per riaffermare l’appoggio di Riyad a questi due Paesi e fissare le linee guida che Riyad ha tutte le intenzioni di far rispettare senza deroghe.

Il ruolo chiave degli altri Paesi del Golfo

La diplomazia del Golfo non si riassume nella sola attività dell’Arabia Saudita e altri Paesi, come il Qatar o gli Emirati Arabi Uniti, giocano un ruolo centrale nella regione.

Ricordiamo che l’accordo di cessate il fuoco tra Hamas e Israele è stato concluso a Doha il 19 gennaio 2025, anche se il futuro della tregua di 42 giorni è molto incerto e fragile.

La mediazione del Qatar, in collaborazione con con l’Egitto e gli Stati Uniti, è stata fondamentale per arrivare alla tregua così come alla liberazione degli ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre.

Anche Abu Dhabi è stata un attore importante e inatteso in uno scambio di prigionieri, quello tra Russia e Ukraina, che ha portato alla liberazione di 300 uomini lo scorso 30 dicembre.

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Inoltre, gli Emirati sono molto coinvolti nelle trattative sul ritorno dei bambini ucraini rapiti dai Russi.

Oman nel suo ruolo tradizionale di mediatore.

Oman nel suo ruolo tradizionale di mediatore è un latore di messaggi.

La sua diplomazia molto discreta (e segreta) gli permette di muoversi in modo efficace come interlocutore privilegiato dei Paesi marginalizzati come l’Iran, o di gruppi ribelli come Ansar Allah in Yemen.

Gli Houti hanno così recentemente liberato l’equipaggio del Galaxy Leader, nave sequestrata nel Mar Rosso nel novembre 2023. I 25 membri dell’equipaggio erano di diverse nazionalità. Una volta rimessi ufficialmente alle autorità dell’Oman, queste hanno organizzato il loro rimpatrio.

Il Ministro degli Affari Esteri dell’Oman, Sayed BadrEl-Busaidi, si è recato a Teheran il 30 dicembre del 2024 per un’importante visita nel corso della quale ha incontrato i principali leader iraniani.

Sayed Badrè stato ambasciatore di un messaggio del Sultano Haytham d’Oman.

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La questione del nucleare iraniano è stata al centro delle discussioni, volendola delegazione dell’Oman sincerarsi che gli iraniani non avessero cambiato dottrina sul tema. Pare che, a pochi giorni dall’ insediamento di Donald Trump, siano anche stati recapitati messaggi di provenienza statunitense, anche se i padroni di casa hanno prontamente smentito la notizia ricordando, con insistenza, il ruolo avuto dall’Oman per la conclusione dell’accordo sul nucleare del 2015.

Ecco perché, per il suo ruolo antico o recente che sia, la diplomazia del Golfo conferisce alla regione la capacità di agire sulle crisi internazionali e diventare così un attore imprescindibile della diplomazia mondiale.





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