Pensioni, tagli nel mirino – Il Quotidiano del Sud

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Pensioni, circola la voce, confermata in ambienti della Consulta, di una rivalutazione dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita.


Corre la voce che sia in arrivo – corredata dalla relativa motivazione – una sentenza della Corte Costituzionale rivolta a fornire stabilità e certezze ad una questione la cui importanza è intuitiva: la rivalutazione dei trattamenti pensionistici alle variazioni del costo della vita.

PENSIONI E RIVALUTAZIONI

La notizia circola sul web a cura di siti di studi professionali, ma troverebbe conferma anche in ambienti della Consulta che hanno annunciato essere in arrivo, a giorni, la comunicazione ufficiale. Qualche fonte si spinge persino ad affermare che la decisione sarebbe già stata assunta dal collegio dei giudici delle leggi il 29 gennaio. In attesa di atti formali, per intanto dobbiamo limitarci a riprendere le anticipazioni circolanti.

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LA SENTENZA DELLA CONSULTA PER LE PENSIONI

Si dice che la sentenza vorrebbe garantire di non mettere più in discussione, con risparmi a carico dei pensionati, il tenore di vita e il diritto ad avere sulla base dei contributi versati una pensione dignitosa.

Infatti, diversamente dalle riforme del sistema pensionistico, solitamente caratterizzate da processi di entrata in vigore graduale di requisiti più rigorosi (i conti si fanno a regime), gli interventi sulla rivalutazione automatica dei trattamenti rispetto all’inflazione costituiscono una modalità sicura non solo per contenere la spesa, ma anche per poter disporre, nell’ambito dei bilanci, di risorse significative da destinare ad altre finalità.

Di solito a copertura di maggiori spese sempre all’interno del sistema pensionistico, in una logica solidaristica imposta ai titolari di pensioni più elevate nei confronti dei pensionati con trattamenti più bassi o di anticipi dell’età di pensionamento.

UN ASSEGNO DIGNITOSO

Alcuni anni or sono, per esempio, per finanziare un’interpretazione più favorevole di opzione donna (una prestazione comunque di nicchia che anche nei momenti di maggior utilizzo non ha mai interessato più di 20mila lavoratrici) furono manomessi i criteri di perequazione automatica per circa due milioni di pensionati.

Va altresì segnalato come un fatto positivo che per la prima volta nel 2024 le risorse sottratte alla rivalutazione non sono rientrate nel sistema a sostegno di qualche discutibile intervento, ma sono servite a finanziare la decontribuzione a favore dei lavoratori attivi.

Poi, negli ultimi 25 anni quando i governi (di ogni possibile indirizzo) intervenivano sui criteri di rivalutazione dei trattamenti medio-alti, salvaguardando quelli bassi e medio bassi, potevano contare sull’approvazione dell’opinione pubblica: non c’è niente in Italia che solleciti l’invidia sociale al pari dell’importo della pensione.

I PENSIONATI D’ORO

Anzi ci fu un tempo in cui i cosiddetti pensionati d’oro venivano attesi sotto casa da stormi di giornalisti che poi li inseguivano per strada allo scopo di presentarli come affamatori del popolo dei talk show in prima serata.

Potremmo fare l’esempio della riforma Fornero che grazie alla soppressione per un biennio della perequazione al di sopra dei 1.405,05 euro lordi mensili nel 2012, e 1.443 nel 2013, fece risparmiare alla casse pubbliche ben 8 miliardi. Ma le maggiori critiche a quella riforma furono rivolte alle norme che sarebbero entrate in vigore in tema di età pensionabile (con un occhio di riguardo alla telenovela degli esodati).

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Dopo molte manipolazioni bizzarre a partire dal 2007, dopo molti rinvii, il ritorno alla normalità – secondo le regole canoniche (stabilite dalla legge 388/2000) dei tre scaglioni: fino a quattro volte il minimo, con rivalutazione al 100%, da quattro e cinque volte il minimo, con rivalutazione al 90%, e sopra cinque volte il minimo, con indice al 75% – era stato ripristinato solo dal governo Draghi nella legge di bilancio 2022 aveva ripristinato le regole canoniche.

LA FIAMMATA DELLA CRISI ENERGETICA

Vi sono stati tempi in cui l’inflazione era un ricordo del passato, per cui gli interventi in crescita o in diminuzione della prequazione passavano inosservati. Poi è venuta la fiammata prodotta dalla crisi energetica e della materie prime in seguito alla pandemia e all’aggressione dell’Ucraina. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, ipotizzando un’inflazione superiore di due punti rispetto al 5,8% previsto nel Def per il 2022, la rivalutazione delle pensioni all’inflazione sarebbe costata allo Stato circa 32 miliardi lordi nei tre anni successivi (5,7 miliardi nel 2023, 11,2 nel 2024, 15,2 nel 2025) a beneficio degli oltre 16 milioni di pensionati.

Di fronte a questo nuovo scenario, il governo Meloni nei bilanci 2023 e 2024 non si era sottratto a variare le aliquote e a redistribuire le fasce secondo una logica di risparmio.

IL MECCANISMO CANONICO

Nel bilancio 2025 è stato invece ripristinato il meccanismo canonico. Si potrebbero spiegare così i motivi per cui la Consulta avrebbe disposto per gli anni 2023 e 2024. In pratica, diremmo, per stabilire una linea di continuità con la svolta del 2022.

Ma se si osserva la giurisprudenza costituzionale dell’ultimo quarto di secolo ci si accorge che i giudici delle leggi nel giudicare i provvedimenti in materia da parte dei governi, non si sono sottratti dal tener conto delle esigenze di finanza pubblica.

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