Michele Riccio ha sentito forte il dovere di raccontare quello che in decenni di lavoro come investigatore ha vissuto sulla propria pelle. Lasciandogli molte cicatrici. Ha affidato alla scrittrice Anna Vinci la sua testimonianza che è poi diventata il libro “Strategia parallela” (edito da Zolfo). Riccio, che si definisce un «orso», ha avvertito l’esigenza di metterci la faccia per non «lasciare soli i tanti» che stanno cercando di portare alla luce la verità di un Paese che sta vivendo «momenti di grande confusione».
Il sistema impalpabile
Riccio parla di un «sistema impalpabile», che all’inizio della sua carriera nell’Arma dei Carabinieri riusciva solo a «percepire» ma che dopo tanti anni ha preso sempre più una «forma». E così ogni pezzo del puzzle si è incastrato al posto giusto. E mostra un quadro davvero inquietante. «La “strategia parallela” comincia a manifestarsi nel Dopoguerra», spiega Riccio. Nasce da un contorto debito di riconoscenza verso i vincitori del conflitto mondiale («gli americani») che ci liberarono dalle aberranti leggi razziali. «La “strategia parallela” in un primo momento era in chiave anticomunista e poi invece è servita a rinsaldare il potere. Ha vissuto due fasi – aggiunge il generale- sono state create delle reti segrete che hanno permesso di mettere un infiltrato in ogni settore dello Stato in chiave anticomunista. Una volta sfumato il pericolo comunista, è cominciata una seconda fase utile al mantenimento del potere. Ed è qui che secondo me si è realizzato l’intreccio tra Stato e criminalità organizzata. Cioè si è creato l’Antistato». Riccio ha appurato l’esistenza della «strategia parallela» nel corso delle sue indagini e viaggiava «lungo due strade: una apparente legalitaria e una occulta, dura e anche armata». Riccio, che entra nell’Arma nel 1970, ha combattuto contro terroristi e mafiosi. E ha lavorato al fianco del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Forse è grazie a lui che non ha mai smesso di combattere. Nei primi anni della sua carriera aveva solo «percezioni»: vedeva come «si cercavano di manipolare eventi e manifestazioni». E alcune volte «dietro l’amicizia si nascondevano tentativi di capire se potessi essere l’uomo giusto da fare entrare in queste dinamiche». Insomma se «il giovanotto potesse essere affidabile». A un certo punto «tutto ha cominciato ad avere un senso e ad avere una forma».
Le maschere al servizio del potere occulto
Quando ha tentato di approfondire alcune indagini «come gli attentati di Savona (1974-75) o sulla destra eversiva», Riccio è stato fermato da chi gli diceva «di non rompere le scatole». Ed è stato in quel momento che ha capito che «tutto quanto apparteneva a un unico progetto». Un progetto affidato a «degli uomini che io chiamo maschere, gente che sa presentarsi con la faccia pulita ma truccata male. Che nasconde altri interessi». Maschere al servizio di questo potere» che «intervengono per risolvere problematiche e per mantenere il potere». Non è vero che il Paese non è consapevole di quello che lo circonda. Ma il nostro «è un Paese assuefatto. Molti – dice Riccio – si sono accorti di quello che stava accadendo, ma hanno fatto finta di non vedere. O perché cercavano un tornaconto o speravano di cavalcare il sistema sentendosi più furbi degli altri, non comprendendo che questo modo di fare stava corrodendo l’Italia».Riccio è spaventato per il futuro. I giovani pensano di avere successo «senza studiare ma avendo 1.000 follower». La colpa «non ce l’hanno i mascalzoni, ma i vigliacchi che nascondono la testa sotto la sabbia». E poi lancia l’allarme su quello che sta accadendo alla nazione «narcotizzata» che viene sempre indotta consapevolmente a «guardare» dall’altra parte. Nel libro si parla del pericolo che c’è dietro «l’articolo 31» del Ddl Sicurezza. Dove i «servizi segreti deviati saranno legalizzati». «Ci saranno gli agenti segreti che potranno andare a parlare in carcere con il mafioso e il terrorista» se il Governo lo disporrà. Oggi siamo protetti dalla «serietà di tanti magistrati» e domani?Poi c’è il capitolo Massoneria, ma non quella degli elenchi pubblici. Ma quella delle liste segrete o degli affiliati «fatti all’orecchio del Gran Maestro». Per Riccio «la massoneria (quella deviata e occulta) è ancora presente, anzi lo è di più ora rispetto al passato. La massoneria è diffusa in tutti gli ambienti e ha il ruolo di collante e di reclutamento».
Il caso Ilardo
Riccio è l’uomo che ha raccolto le “confidenze” di Luigi Ilardo, prima del suo assassinio il 10 maggio del 1996 in via Quintino Sella a Catania. Fu ucciso prima che la sua collaborazione diventasse ufficiale. Il 30 ottobre del 1995 Ilardo portò il Ros a un passo dal covo dove si nascondeva Bernardo Provenzano. Dalle rivelazioni di Ilardo è nata l’informativa Grande Oriente. Che è anche finita nei faldoni dei pm di Firenze e Caltanissetta che lavorano sul periodo nero delle bombe del 1992 e 1993. A Roma Ilardo, pochi giorni prima dell’omicidio, disse chiaramente che i mandanti delle Stragi bisognava cercarli a «Casa nostra». Se Ilardo non fosse stato ucciso «sarebbe stato un nuovo Tommaso Buscetta, se non di più per le cose che sapeva». A Riccio fa ancora male parlare di Ilardo, perché quelle aspettative di giustizia «non si sono realizzate» e «si è voluto riportare tutto a una questione mafiosa». E poi va dritto al punto: «La notizia della sua collaborazione è uscita dai nostri ambienti».Sugli arresti di latitanti della portata di Provenzano e Matteo Messina Denaro, il generale ha una idea molto chiara e amara: «Avevano esaurito il loro compito».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link