Il caos sulla giustizia. Nordio tende la mano alla Cpi. Ma la sinistra vuole sfiduciarlo

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Roma, 12 febbraio 2025 Alla fine il Pd scioglie la riserva e annuncia la mozione di sfiducia contro il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Speranze di vittoria sotto zero: nessuno al Nazareno si illude del contrario. È una mossa un po’ dettata dalla disperazione, serve solo a cercare di impedire che il caso Almasri finisca nel viale degli scandali dimenticati. “Non dando seguito alla richiesta del mandato d’arresto della Corte penale internazionale, Nordio si è posto in aperto contrasto con la Costituzione e le leggi italiane”, l’accusa. L’atto – messo a punto mentre il guardasigilli è in missione in Turchia – è sostenuto da quasi tutti i partiti di opposizione tranne Azione. “È inutile e controproducente”, taglia corto il leader Carlo Calenda. I Cinquestelle, al contrario, si accodano, ma con poca convinzione: per Giuseppe Conte l’unico obiettivo deve essere portare in Aula la premier, costringerla cioè ad assumersi la responsabilità politica di una scelta che lei ha deciso di far passare come “tecnica”. I democratici condividono e reclamano una improbabile informativa della presidente: “Meloni venga a spiegare in Parlamento decisioni politiche che isolano l’Italia”, dice Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd.

Il Guardasigilli smorza i toni con l’Aja dopo il caso Almasri e apre a “chiarimenti e dialogo”. Le opposizioni annunciano una mozione contro il ministro: “Ha violato la Costituzione”.

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In entrambi i casi si tratta appunto di impedire che a Giorgia riesca a voltare pagina, come ha cercato di fare anche con l’ultimo dibattito parlamentare. Molto se non tutto dipende dall’Europa. Se la Corte penale internazionale aprirà un’inchiesta e soprattutto se condannerà di fatto l’intero governo italiano anche solo parlare di pagine voltate sembrerà una barzelletta. L’esecutivo si rende conto del rischio e cerca di riannodare i fili del dialogo con la Cpi. Facile non è: a mandare su tutte le furie la Corte non è solo la liberazione di Almasri, ma anche la scelta di non firmare la dichiarazione congiunta contro le sanzioni di Trump. Provarci tuttavia bisogna: su mandato della premier, il ministro Nordio ha inviato una missiva informale al tribunale dell’Aja per chiedere di avviare consultazioni sulle criticità che hanno costellato il caso del generale libico accusato di crimini contro l’umanità.

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Lo scopo è innescare una sorta di ’agreement’ per una migliore collaborazione. Oltre ai chiarimenti, Roma mette sul tappeto alcune proposte per facilitare il dialogo in futuro, tra le quali la modifica delle procedure di invio al ministero dei mandati di cattura internazionali. Si valuta un canale diretto di comunicazione, eliminando il passaggio con l’ufficiale di collegamento dell’ambasciata italiana in Olanda.

Un documento calibrato per tendere il ramoscello d’ulivo senza smentire quanto detto in Aula, senza assumersi la responsabilità della liberazione di Almasri e senza tornare sull’interpretazione per cui ottemperare ai mandati della Corte sarebbe facoltativo. Quel “non sono un passacarte” pronunciato da Nordio in Aula che riassume la contesa tra Roma e l’Aja. Per ora, però, anche la Corte non sembra ansiosa di arrivare a uno scontro: fa filtrare che, al momento, non sarebbe arrivata alcuna comunicazione di indagini nei confronti dell’Italia. Nel frattempo, il Tribunale incassa il sostegno dell’Unione Europea, dopo l’affondo di Trump: “Difenderemo a spada tratta la Cpi, che promuove da sempre pace e libertà – assicura il commissario Ue alla Giustizia, l’irlandese Michael McGrath durante il dibattito in plenaria a Strasburgo sul tema – le sanzioni rappresentano una seria sfida al suo lavoro”. Si smarca l’europarlamentare di FdI Alessandro Ciriani: “Questo dibattito non serve a tutelare la giustizia internazionale ma a colpire il governo Meloni”. Venerdì il Comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati Ue (Coreper) discuterà dei rapporti con gli Usa: si parlerà anche di Cpi. Da vedere come se la caverà l’Italia.

Certo il caso Almasri non riguarda solo la giustizia internazionale ma anche quella italiana, con l’iscrizione nel registro degli indagati della premier, del sottosegretario Mantovano, dei ministri della Giustizia e dell’Interno. L’ipotesi che si arrivi a un processo è naturalmente fantapolitica: anche ove il Tribunale dei ministri richiedesse l’autorizzazione a procedere, il Parlamento la negherebbe ma già solo la richiesta basterebbe ad evitare di chiudere il caso. E a quel punto difficilmente la premier potrebbe evitare di uscire allo scoperto in Aula.



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