Banda della Barona, l’appello della procura contro l’assoluzione di Massimo Mazzanti: “È il console di Nazzareno Calajò, va condannato”

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Massimino Spara spara, al secolo Massimo Mazzanti, uno dei proconsoli della banda criminale della Barona capeggiata da Nazzareno Calajò, doveva essere condannato e non assolto come avvenuto lo scorso settembre durante il processo in abbreviato per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Assolto e scarcerato, ora è libero. È questo in sostanza il contenuto delle ottanta pagine con cui il pm di Milano Francesco De Tommasi ha fatto appello contro la sentenza del giudice per l’udienza preliminare Alessandra De Fazio. In quella sentenza ne uscirà condannato lo stesso Nazza Calajò a una pena di 17 anni per traffico di droga.

Ma quella sentenza, secondo il pm, ha una sorta di errore di base: il fraintendimento sull’unitarietà dell’associazione e di quella banda che oltre alla droga voleva prendersi gli affari dello stadio Meazza. Il gup infatti sdoppia l’associazione, da una parte Nazza Calajò e dall’altra il nipote Luca, in questo modo svilendo e svuotando la posizione di associato di Mazzanti. Ma andiamo con ordine. E ricordiamo, prima di tutto, che per quella inchiesta, per le minacce ricevute e i propositi omicidiari ascoltati in ambientale in carcere, lo stesso pm De Tommasi e il collega Gianluca Prisco sono finiti sotto scorta.

Non si sta parlando di quattro balordi di periferia. Del resto a dimostrarlo è la storia criminale di Nazza Calajò, oltre che del suo fedelissimo Spara spara, il cui soprannome, già di per sé allerta sulla pericolosità sociale. Ma proseguiamo. Secondo il dottor De Tommasi, che lo scrive come premessa iniziale nella decisione del gup vi è stato un “travisamento dei fatti e delle prove, erronea applicazione della legge penale sostanziale e processuale, mancata valutazione di prove e circostanze essenziali”. Un bell’inizio, non vi è che dire. Al quale, e va detto subito ora, si aggiunge l’indiretta delegittimazione della collaboratrice Rosangela P., quando il gup definisce le sue parole non attendibili. Giusto per capire quanto, per l’accusa, sia vero il contrario, sono state depositate alcune intercettazioni dello stesso Mazzanti, quando su Rosy Bike (soprannome della collaboratrice, ndr) dice: “Bisogna trovarla a questa! Questa situazione è pesantissima! Non glielo posso dire! Ammazzo la Rosy Bike (…). Rosy arriviamo con dieci (…). Ti devi attaccare”. Aggiunge il suo interlocutore: “Ti portiamo a impiccarti, Rosy!”.

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Pare chiaro che tanto odio possa derivare da una corretta e attendibile ricostruzione dei fatti. Di più: secondo l’atto di appello, il gup con la sua sentenza di assoluzione “ribalta le diverse conclusioni a cui erano in precedenza giunti sia il gip, che aveva applicato all’imputato la custodia cautelare in carcere per il reato associativo, sia il Tribunale del Riesame, che aveva confermato il provvedimento restrittivo”. E ancora: “In entrambi i casi, gli organi giudicanti avevano ritenuto ampiamente riscontrate le dichiarazioni della collaboratrice, analogamente del resto a quelle che erano state le valutazioni dello stesso gip che infatti, sulla base del medesimo materiale probatorio, rafforzato dal deposito di ulteriori documenti da parte del pm in occasione del parere di competenza espresso in merito all’istanza di modifica della misura cautelare da parte del Mazzanti aveva accolto tale richiesta sostituendo la custodia in carcere con gli arresti domiciliari, confermando quindi la sussistenza della gravità indiziaria nei confronti dell’imputato”.

E ancora in modo più stringente la Procura scrive: “Muovendo dunque da premesse errate, il gip smonta la ricostruzione operata nelle fasi precedenti del procedimento, parcellizzando e sminuendo gli elementi che rappresentano il collante tra le due articolazioni associative”. Tra queste, in particolare, “i summit tra Luca Calajò e Nazzareno Calajò. Il canale sardo, con tanto di richieste di aiuto economico rivolte non già a Luca bensì a Nazzareno” e “il cosiddetto mutuo soccorso tra le due articolazioni”. Che la banda sia una sola banda, lo dimostrano le intercettazioni in carcere di Nazza Calajò, il quale in modo chiaro dice al nipote Luca: “Tu fai quello che dico io”. Chiosa il pm: “Dalle conversazioni registrate, infatti, si evince chiaramente che esiste un’unica organizzazione e che il capo indiscusso della stessa è Nazzareno Calajò il quale, nel momento di fibrillazione dovuto agli arresti, fa valere nei confronti del nipote il proprio ruolo di vertice e, discutendo delle strategie da adottare a scopo difensivo, gli ordina di astenersi dal rendere dichiarazioni, sebbene Luca ritenga che ciò potrebbe tornare utile a tutti loro”.

Inoltre che Mazzanti trafficasse droga lo ammette lui stesso in un memoriale depositato in un processo diverso da questo in cui pur non in via definitiva è stato condannato. Scrive il pm De Tommasi: “Non possono esservi dubbi sulla sua responsabilità in merito a quel fatto e, di conseguenza, non può che ravvisarsi un ulteriore, formidabile riscontro individualizzante alle dichiarazioni della collaboratrice, che colloca l’offerta in vendita di consistenti quantitativi di droga, da parte del Mazzanti nell’estate del 2019, in continuità con i traffici di sostanze stupefacenti che già allora, come emerge dalla sentenza, Mazzanti conduceva quale componete del gruppo di Nazzareno”.

E che forse il fascicolo non sia stato studiato fino in fondo, secondo il pm, è dimostrato anche dal fatto che a Nazzareno Calajò e Luca Calajò siano state date le circostanze attenuanti. E questo, scrive la Procura, nonostante “il gip abbia attribuito loro i ruoli di capi delle rispettive associazioni e sebbene siano gravati da numerosi, specifici e gravissimi precedenti penali, sulla base dei quali, trattandosi all’evidenza di delinquenti abituali e professionali, oltreché socialmente pericolosi, non è possibile fondare alcuna prognosi futura favorevole, tant’è vero che sono stati destinatari anche di pesanti misure di prevenzione personale”.

Insomma, la storia della banda della Barona sembra ancora tutta da scrivere. Visto che lo stesso pm scrive: “Mazzanti inoltre sarà chiamato a rispondere anche di ulteriori gravi reati emersi nel corso delle indagini, ecco perché nel presente procedimento risponde solo del reato di cui all’art. 74” (traffico di droga). Allo stato Spara spara è assolto, libero e residente in Barona. Del resto, fino a qua, il destino nei confronti di Spara spara sembra essere stato benevole. In un’altra indagine, quella sul tentato omicidio di Enzo Anghinelli il suo nome compare nelle varie annotazione della squadra Mobile come possibile membro del commando che nel 2019 ferì quasi mortalmente Anghinelli. E nonostante questo Mazzanti non risulta indagato. Il solo indagato e arrestato sarà Daniele Cataldo, braccio destro e uomo di azione del capo della curva Sud milanista Luca Lucci.



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