Corruzione, Italia in caduta libera nella classifica Transparency. Gratteri: ”Dati prevedibili”

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Riforme sbagliate e abolizione dell’abuso d’ufficio: il rapporto boccia la giustizia italiana e il Paese scivola al 52º posto

La recente classifica sulla percezione della corruzione stilata da Transparency International ha registrato un preoccupante arretramento dell’Italia, che ha perso dieci posizioni rispetto all’anno precedente, scivolando al 52º posto nel mondo e al 19º in Europa. Si tratta di una brusca inversione di tendenza che, tuttavia, non ha colto di sorpresa il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri: “Sono dati prevedibili – ha commentato il magistrato ai microfoni del Fatto Quotidiano -. Le organizzazioni criminali che controllano larghe fette dell’economia in cambio di appalti e altri favori dalla Pubblica amministrazione, concedono interi pacchi di voti. Fino a quando non si avrà il coraggio di riconoscere che la corruzione nella Pubblica amministrazione è strettamente connessa alle attività della criminalità organizzata e non si potenzieranno gli strumenti per aggredirla, ci potranno essere solo passi indietro”. Uno degli aspetti più critici, secondo Gratteri, è la riforma che sta per essere approvata dalla Camera e che limita la durata delle intercettazioni a 45 giorni, fatta eccezione per i reati di mafia e terrorismo. Una decisione duramente contestata dal procuratore, in quanto rappresenterebbe un ostacolo significativo per le indagini, incluse quelle sui reati contro la Pubblica amministrazione. “Noi magistrati, quando intercettiamo – ha precisato – non andiamo ‘a strascico’, come dice il ministro Nordio con un termine improprio. Abbiamo tanto lavoro da fare e siamo noi stessi, se vediamo che un’utenza intercettata non porta a nulla, a chiedere al giudice la revoca del provvedimento che l’ha autorizzata”. E aggiunge: “Torniamo alla corruzione. Sarà ancora più difficile scoprirla, dato che il tetto dei 45 giorni vale anche per i reati contro la Pubblica amministrazione. Invece, i reati corruttivi dovrebbero essere inclusi nell’elenco delle eccezioni, proprio come i reati di mafia e terrorismo. Aggiungo che già adesso, se scopriamo un episodio di corruzione attraverso un’intercettazione effettuata nell’ambito di un’indagine di mafia, quella registrazione non possiamo utilizzarla perché autorizzata per un altro procedimento, in base a una recente riforma già in vigore. Questo perché i reati contro la Pubblica amministrazione non prevedono l’arresto in flagranza. Ma, statisticamente parlando, sempre più spesso gli episodi di corruzione emergono proprio durante le indagini sulla criminalità organizzata”. Resta il fatto che la corruzione in Italia non è l’unico problema che minaccia la sicurezza del Paese. Un’altra questione cruciale riguarda le carceri. Le ultime operazioni antimafia hanno infatti dimostrato come i boss continuino a impartire ordini anche dall’interno delle prigioni. Uno dei principali strumenti utilizzati a questo scopo sono i cosiddetti criptofonini: piccoli smartphone anti-intercettazione che sfruttano avanzati sistemi di crittografia per “proteggere” le comunicazioni da intrusioni esterne. Già prima di diventare procuratore di Napoli, Gratteri aveva proposto una soluzione concreta: l’adozione dei jammer, dispositivi che bloccano le radiofrequenze, impedendo così l’uso dei cellulari nelle celle. Tuttavia, questa proposta non è mai stata accolta. Il motivo ufficiale? Si è sostenuto che tali dispositivi potessero arrecare danni alla salute degli agenti di polizia penitenziaria o interferire con le loro comunicazioni. 

Nicola Gratteri © Imagoeconomica

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Peccato che – ha osservato Gratteri – “gli agenti, quando arrivano in carcere, i telefonini li lasciano nei cassetti”. A questo si aggiunge l’emergenza della carenza di personale nelle carceri italiane: “Mancano circa 18 mila agenti di polizia penitenziaria su un organico previsto di 42 mila”. Un problema che rende “molto difficile effettuare controlli capillari”, permettendo così l’ingresso di telefoni e droga con modalità sempre più ingegnose: “Spesso entrano nei pacchi dei familiari, altre volte addirittura con i droni, che, per non essere visti, restano anche a 500 metri di altezza e sganciano il pacco verso la finestra del detenuto destinatario con una lenza da pescatore”.


La classifica di Transparency International

Torniamo al rapporto 2024 di Transparency International che ha certificato il netto peggioramento del Bel Paese. Si tratta di un calo drastico nell’Indice di percezione della corruzione (CPI), che misura, appunto, la percezione della corruzione nel settore pubblico.
Il CPI si basa sulle valutazioni di esperti e su dati provenienti da 13 fonti esterne, assegnando un punteggio da 0 a 100, dove 0 indica un livello di corruzione molto alto e 100 un sistema pubblico trasparente e privo di fenomeni corruttivi. Come detto, nel 2024 il punteggio dell’Italia è sceso a 54, con una perdita di due punti rispetto al 2023. A prima vista potrebbe sembrare una flessione contenuta, ma nel contesto internazionale ha avuto un impatto significativo: l’Italia ha perso dieci posizioni nella classifica globale, scivolando dal 42° al 52° posto. Un dato preoccupante, perché indica che, mentre altri Paesi hanno rafforzato le proprie misure anticorruzione, l’Italia è rimasta indietro. 

transparency grafico

Ora persino Stati come Rwanda, Oman e Arabia Saudita vantano una percezione della corruzione più bassa rispetto all’Italia. Inoltre, questa inversione di tendenza appare ancora più significativa se si considera che, dal 2012 al 2023, l’Italia aveva registrato un miglioramento costante nel suo punteggio, guadagnando 14 punti in tredici anni. Comunque sia, secondo Transparency International, la recente perdita di posizioni nella classifica è dovuta a riforme controverse e questioni irrisolte che hanno indebolito la capacità del sistema italiano di prevenire la corruzione. Uno dei problemi principali è la mancanza di una regolamentazione chiara sul conflitto di interessi nei rapporti tra pubblico e privato. Inoltre, il ridimensionamento di alcune definizioni legali, come quella sullo scambio di influenze, e la depenalizzazione dell’abuso d’ufficio per i funzionari pubblici hanno reso più deboli i controlli sulle possibili connessioni tra il settore pubblico e la criminalità organizzata. A questo si aggiunge la scarsa trasparenza nella gestione dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con difficoltà nell’accesso ai dati e nel monitoraggio dell’uso delle risorse. Come se non bastasse, l’Italia presenta carenze storiche nella regolamentazione delle attività di lobbying e nella gestione dei conflitti di interesse rispetto ad altri paesi europei, circostanza che continua a rappresentare una criticità rilevante. Infatti, con riferimento all’assenza di una normativa sul lobbying, un settore in cui l’Italia è ferma da anni, Transparency International ha sottolineato che dal 2021 si attende una svolta, ma finora non ci sono stati progressi significativi. A tutto questo si aggiunge un ritardo nell’attuazione di strumenti cruciali per il contrasto del riciclaggio di denaro, come il Registro dei titolari effettivi, la cui implementazione è stata rinviata più volte, compromettendo l’efficacia delle misure di tracciabilità finanziaria. Infine, un altro punto critico riguarda la Direttiva europea anticorruzione, che l’Italia ha scelto di non sostenere.


Un disastro preannunciato

Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, probabilmente non è l’unico a non meravigliarsi di quest’ultimo dato deludente per l’Italia. La riforma della giustizia promossa dal ministro Carlo Nordio ha infatti suscitato, fin dall’inizio, molti dubbi e perplessità tra gli addetti ai lavori, anche per quanto riguarda la lotta alla corruzione. Già in precedenza, il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo aveva espresso forti “perplessità sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio”, in quanto questa modifica avrebbe potuto generare “un arretramento significativo soprattutto verso i fatti corruttivi e rendere più difficili le indagini in questo settore”. Anche la Commissione Europea aveva confermato le stesse preoccupazioni, sottolineando come la riforma della giustizia rischi di agevolare condotte illecite e minare la trasparenza nell’uso dei fondi pubblici, in particolare quelli del Pnrr. Oltre a Di Matteo, anche altri magistrati di spicco, come Giovanni Melillo e Raffaele Cantone, hanno evidenziato come tali modifiche normative non solo priverebbero i cittadini di strumenti per difendersi dagli abusi di potere, ma potrebbero anche compromettere le indagini sulla corruzione, creando un sistema giudiziario a doppia velocità: severo con i reati comuni, ma indulgente con i cosiddetti “colletti bianchi”.

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