La NATO sull’orlo di una crisi di nervi

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Le recenti iniziative del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, volte a promuovere negoziati di pace tra Russia e Ucraina, hanno suscitato un’ondata di critiche sia negli Stati Uniti che in Europa. In particolare, la decisione di Trump di avviare colloqui diretti con il Presidente russo Vladimir Putin, senza un coinvolgimento preliminare dell’Ucraina e dei partner europei, è stata percepita come una rottura di un tabù diplomatico e un potenziale tradimento nei confronti di Kiev.

Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha dichiarato che è irrealistico aspettarsi che l’Ucraina ripristini i confini del 2014 e che l’adesione di Kiev alla NATO non è più sul tavolo delle trattative. Queste affermazioni hanno provocato reazioni irritate. Il senatore americano Richard Blumenthal (del Partito Democratico) ha definito il messaggio di Hegseth una “resa e tradimento” dell’Ucraina, sottolineando che tale posizione equivale ad abbandonare Kiev e a minare la sicurezza degli alleati europei. Blumenthal, che ha visitato l’Ucraina sei volte durante il conflitto con la Russia, ha elogiato il coraggio indomabile degli ucraini, affermando: “Persevereranno”.

Anche in Europa, le reazioni sono state forti. Il politico estone Marko Mihkelson ha espresso preoccupazione, affermando: “Oggi potrebbe essere ricordato come un giorno oscuro per l’Europa”. E ha esortando i leader europei a riconoscere l’importanza di agire immediatamente. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Spagna e Polonia, riuniti a Parigi, hanno sottolineato che qualsiasi processo di pace in Ucraina deve considerare le voci degli ucraini e hanno evidenziato l’importanza della partecipazione dell’Europa nelle negoziazioni, dati gli effetti dell’aggressione russa sulla sicurezza europea.

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha insistito sul fatto che l’Ucraina deve essere al centro di qualsiasi negoziato con la Russia per porre fine alla guerra in corso. Questa posizione arriva dopo che Trump e Putin hanno concordato di avviare colloqui di pace, sollevando preoccupazioni a Kiev e tra gli alleati europei riguardo al possibile isolamento dell’Ucraina e al compromesso della sua integrità territoriale.

Sulla stampa ucraina il malumore per la virata di Trump è fortissimo, e lo si vede anche nei commenti di alcuni lettori.

Le iniziative di Trump stanno generando nervosismo e malumore tra coloro che speravano in una vittoria militare dell’Ucraina e nel suo ingresso nella NATO. La prospettiva di negoziati che potrebbero comportare concessioni significative alla Russia è vista come una minaccia agli obiettivi strategici di Kiev e alla stabilità della regione. Mentre alcuni sostengono la necessità di una soluzione diplomatica rapida, altri temono che affrettare i negoziati senza adeguate garanzie possa portare a compromessi dannosi per l’Ucraina e per la sicurezza europea.

Tuttavia, l’attuale epilogo verso cui si sta incamminando il conflitto dovrebbe essere ragionevolmente vista per quello che è. Dal rischio di una guerra fino all’ultimo sangue si sta passando alla possibilità di trattative, comunque preferibili a un massacro senza fine. Un sano senso di realismo dovrebbe prevalere su qualsiasi infatuazione per la “guerra giusta” fino alla distruzione dell’avversario (salvo poi scoprire che avviene l’esatto opposto), soprattutto quando questa porta alla perdita di centinaia di migliaia di vite e al disastro di un’intera nazione. L’elevato numero di disertori e renitenti in Ucraina è un chiaro segnale del fatto che la popolazione ha sempre meno voglia di combattere fino all’ultimo uomo. Il realismo e la diplomazia, per quanto imperfetti, restano sempre la via più sensata per porre fine a un conflitto che sta devastando il cuore dell’Europa.

Queste trattative dovevano essere avviate già nel 2022, prima che morissero tante persone. Perché non sono iniziate? Probabilmente ha giocato a favore della prosecuzione della guerra quello che potremmo definire un “errore di valutazione” degli analisti occidentali. Un esempio per tutti: Alessandro Marrone, analista autorevole dell’Istituto Affari Internazionali (IAI). Alla fine del 2022 scriveva: “Se risorse umane preparate e motivate scarseggiano in maniera strutturale, anche la situazione degli equipaggiamenti russi è grave, in peggioramento, e difficilmente risolvibile. Basti pensare che nei primissimi giorni di conflitto la Russia ha utilizzato oltre 160 missili, ma nei mesi successivi ne ha lanciati in media solo 10-15 al giorno: le scorte di munizionamento ad alta tecnologia sono finite, quelle di armi obsolete si stanno consumando”. E aggiungeva: “La controffensiva di Kyiv sfrutta fattori di debolezza dell’invasore evidenti già mesi fa a una analisi militare e strategica al netto di propaganda russa e bias cognitivi, che sono stati confermati dagli ultimi sviluppi. In primo luogo, a settembre la mobilitazione di 300 mila coscritti ha confermato l’insufficienza di un contingente iniziale di sole 190 mila unità”.

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In buona sostanza, analisi sbagliate hanno ingenerato la fiducia nella vittoria sulla Russia. Si è diffusa nei decisori politici la fallace convizione che la Russia potesse fallire sotto il peso di diversi fattori (corruzione, impreparazione, insufficienza degli armamenti) e sotto la mannaia delle sanzioni. Per cui si è diffusa la convinzione che inviare sempre più armi per sostenere l’Ucraina fosse non solo la cosa giusta da fare ma anche la mossa vincente. Così non è stato.



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