Russia-Ucraina, una guerra da capire

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Siamo arrivati al terzo anniversario della guerra in Ucraina, iniziata con l’invasione russa quel 24 febbraio 2022. Ultimo atto, per ora, di un conflitto che però risale perlomeno al 2014. Conflitto strano, feroce, c’è chi parla di un milione di morti, combattuto tra eserciti tradizionali nella vecchia Europa, tra un colosso carico di storia centenaria e uno Stato nuovo appena nato. Scontro che vede l’Ucraina sostenuta dagli Stati Uniti, dai Paesi dell’Unione Europea e da quella Nato che sta agendo ancora una volta fuori dal suo mandato istituzionale.



Guerra tradizionale e post-moderna allo stesso tempo. Combattuta nelle trincee ma con l’intelligenza artificiale, con le informazioni delle reti satellitari, con i nuovi rivoluzionari sistemi d’arma, i droni. E paradossalmente guerra dai costi umani enormi, perché costretta a svolgersi nelle trincee (come nella Prima guerra mondiale) da quei nuovi sistemi di avvistamento che impediscono i grandi raggruppamenti di forze e la guerra di manovra inventata proprio per evitare il bagno di sangue dello scontro frontale della Grande guerra. Scherzi della storia. E ancora, guerra combattuta entro l’universo dei social media, dei blog, tra Telegram e FB. In un confine inesistente tra verità e falsità, dove presunte fondazioni scientifiche come l’Institute for the Study of War (ISW), di ispirazione neocon, producono aggiornamenti apparentemente “neutrali”.

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Così tra propaganda, giornalisti compiacenti, ignoranza diffusa dei divulgatori, difficile risulta la comprensione di cosa stia succedendo sul campo, di chi vinca e di chi perda, per non parlare della ragione e dei torti.

A questo proposito, a raggiungere una maggiore comprensione della realtà, ci aiuta adesso un testo scritto dal generale Maurizio Boni, La guerra russo-ucraina. Strategie e percezioni di un conflitto intra europeo (Il Cerchio, 2024). A riprova del fatto che ormai le guerre sono una cosa troppo seria per essere lasciata ai politici. Figuriamoci ai giornalisti! Perché questo è il dato di fatto.



La guerra è l’attività più drammatica dell’umanità, perché in gioco immediatamente vi sono la vita e la morte. Contiene cioè tutta la durezza della condizione umana nella sua essenza. Nella guerra sta la realtà delle cose. La negazione dell’evidenza, della materialità; violare il principio di realtà provoca la morte. L’uso della forza trasforma gli uomini in cose e gli oggetti si comportano secondo leggi fisiche, perché, dirà Simone Weil, la forza “rende l’uomo cadavere”. Sembra banale. Non capire questa legge primordiale conduce alla cecità, ad azioni sconclusionate se non addirittura folli. Hybris allo stato puro. Ma è proprio quello che è successo nel caso della guerra in questione.

Andando con ordine. In guerra non vince chi ha ragione, o meno torto. Vince il più forte. E la forza si misura su vari fattori, molti quantificabili, altri spirituali. Popolazione, forze armate, capacità produttiva, e poi le qualità morali, come la coesione sociale e lo spirito di un popolo. I numeri di questo conflitto erano fin dall’inizio implacabili a segnare il divario tra le forze in campo. Da una parte, un Paese con una superficie enorme di più di 17 milioni di chilometri quadrati, di quasi 150 milioni di abitanti, con una profondità strategica infinita, con un esercito in tempo di pace di 1 milione e 200mila uomini, più un altro milione e mezzo di riservisti, a cui vanno assommati mezzo milione di paramilitari, e con una propria industria bellica. Che vuol dire, ad esempio, fabbriche che producono 20-22mila proiettili, granate e razzi al giorno! Gli Stati Uniti saranno in grado di produrre 80mila colpi al mese alla fine del 2028 (pag. 97).

L’enorme differenza di numeri si deve ad un fatto molto semplice, che l’economia russa è stata riconvertita e finalizzata alla guerra e non a caso il ministro della Difesa russo è l’economista Andrej Rėmovič Belousov. A questi dati si aggiunga la storia che ha forgiato quell’elemento impalpabile, ma ben conosciuto dello “spirito russo” (notevole l’appendice scritta da Andrea Giumetti a questo proposito). Fattore morale, intangibile, di difficile quantificazione, ma non impossibile da cogliere. È sufficiente non diciamo conoscere la storia, ma avere qualche informazione sulla guerra contro Napoleone, su Stalingrado, o aver letto qualche pagina di Guerra e Pace.

E i fatti parlano chiaro, suscitando una riflessione. Le stime sulle perdite umane nella guerra russo-ucraina, iniziata nel febbraio 2022, variano notevolmente a seconda delle fonti. Secondo dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, al 4 febbraio 2025, l’Ucraina ha avuto 45.100 soldati uccisi e 390mila feriti, mentre le perdite russe sono stimate tra 300mila e 350mila soldati uccisi e tra 600mila e 700mila feriti. Per quanto riguarda le perdite ucraine, un articolo del novembre 2024 stimava tra 60mila e 100mila soldati ucraini uccisi e 400mila feriti. Ma questa è sicuramente propaganda. Un altro metodo, sostiene Boni, è partire dai dati ufficiali e ufficiosi e come minimo raddoppiare. Partendo dai 91.059 decessi di militari russi, di conseguenza, si ottiene che il totale delle vittime russe potrebbe variare tra 149mila e 208.700 soldati. L’autore è attentissimo al problema della stima dei caduti a cui dedica un preciso e puntuale paragrafo sulle modalità di conteggio (pagg. 89-93) da cui trae la conclusione annunciata. Con i presunti 363mila soldati caduti, l’Ucraina ha “largamente superato la disponibilità di risorse umane” (pag. 92).

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Comunque sia, eccoci alla domanda preannunciata. Qual è la nazione occidentale che si può permettere di sacrificare centinaia di migliaia di ragazzi in una guerra fuori dai confini nazionali senza nessuna forma di dissenso al proprio interno? Risposta semplice, nessuna. Ad aprile saranno cinquant’anni dalla fine della guerra del Vietnam e gli Stati Uniti sono ancora lì a leccarsi le ferite.

Eppure, la potente macchina russa ha commesso una serie di errori ed è stanca. Quella che doveva essere una rapida “azione militare speciale”, cioè non un’azione di guerra, si è rivelata una faticosa vittoria sul campo, che a sua volta ha comportato una notevole difficoltà strategica.

Il primo errore russo è, per un osservatore non esperto, incomprensibile. Putin credeva veramente di prendere il potere attraverso una quinta colonna, cambiare gli uomini al governo di Kiev con degli amici di Mosca e chiudere la partita in breve tempo. Cosa ancora più strana, lo credevano anche gli americani, che infatti consigliarono agli ucraini di spostare la capitale lontano dal confine con la Russia, a Leopoli. Boni ricostruisce le linee generali dell’operazione speciale, e del pensiero a suo fondamento, elaborata secondo i dettami della “guerra ibrida” sviluppati dal generale russo Valery Gerasimov nel 2013 (in realtà introdotto dallo stratega americano Frank G. Hoffmann). Dettami che si erano rivelati vincenti nei casi dell’invasione della Georgia (agosto 2008), dell’occupazione della Crimea e dell’Ucraina orientale nel 2014-15. A riprova c’è il numero di soldati che hanno invaso l’Ucraina, assolutamente scarso se messo a confronto con altri casi. Solo 100mila uomini contro i necessari 590mila se si fosse trattato di un’invasione (pag. 82), cifra raggiunta applicando la semplicistica regola del rapporto 3:1, dato che le forze ucraine ammontavano a 196mila soldati.

Ma lo scacco iniziale dell’esercito russo non mette in discussione il principio della guerra ibrida, che correttamente Boni fa risalire al pensiero cinese di Sun Tzu, quando afferma che la forza deve servire a dare il colpo di grazia, la spallata finale a un nemico logorato al proprio interno. Pensiero fatto proprio dai russi da sempre.

Il secondo errore macroscopico è la valutazione della forza di resistenza ucraina, sostenuta dagli occidentali, che se non ha piegato l’economia russa con le sanzioni ha trasformato la Russia in un cliente, non un alleato alla pari, della più potente e prudente Cina. Realizzando non proprio il disegno geopolitico di Yevgeny Primakov di un mondo non più unipolare a guida statunitense, ma bilanciato da Russia, Cina e altre potenze in ascesa.

E che dire dell’Ucraina e della sua leadership? Se notevole e sbalorditiva è la capacità di resistenza dimostrata, altrettanto incredibili rimangono le speranze di sconfiggere il celebre orso russo, fino appunto a quella sorta di scempiaggine strategica, ricostruita con precisione dall’autore, della controffensiva nell’estate del 2023, che secondo Zelensky doveva permettere la liberazione di tutti i territori occupati dalla Russia compresa la Crimea. Fallimento ampiamente previsto dai militari e dagli osservatori dotati di buon senso, e che ha comportato di bruciare nello spazio di poche settimane i modernissimi aiuti ricevuti dai Paesi Nato, compresi quei carri armati Leopard e Abraham lanciati senza successo contro le trincee russe (fonte ministero della Difesa italiano). A proposito di errori clamorosi, poco prima della controffensiva vi era stata l’inutile resistenza ad oltranza da parte delle forze ucraine di Bakhmut, dove l’esercito di Kiev ha lasciato sul campo truppe esperte contro i poveri soldati russi ex galeotti o mercenari.

Boni, forte della sua esperienza decennale anche nei comandi Nato, ha centrato la sua analisi su tre punti fondamentali per capire non solo questa guerra, ma le guerre contemporanee. In primo luogo “l’elemento più significativo di questo conflitto”, cioè l’abbondanza di informazioni, e il loro uso da entrambe le parti (Open Source Intelligence, OSINT). In secondo luogo, l’evoluzione del pensiero militare dell’ex Armata Rossa, e in terzo luogo le origini concettuali dell’iniziativa militare russa. In ultimo, sull’aspetto delle guerre “di nuova generazione”, il contesto in cui inserire l’operazione speciale russa.

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La guerra russo-ucraina è un libro esaustivo, dalle conclusioni militari chiare e definitive, da cui la politica deve ripartire per trovare una soluzione. Nessuna azione di Kiev è risolutiva, nessuna controffensiva è possibile, perché le “sorti del conflitto sono ormai inesorabilmente a favore di Mosca” (pag. 187). E gli sviluppi di questi giorni sembrano dimostrarlo.

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