Si è conclusa giovedì pomeriggio, dopo una lunga udienza, l’ultima fase dell’inchiesta che ha scosso le fondamenta della politica e dell’amministrazione del Comune di Venezia. Tra i principali protagonisti della vicenda, l’ex assessore alla Mobilità del Comune di Venezia, Renato Boraso, che si trova al centro dell’inchiesta che ha portato alla luce una serie di presunti illeciti nel Comune lagunare. La richiesta di patteggiamento per i quattro indagati coinvolti nell’inchiesta per corruzione è stata rimandata al prossimo 16 maggio.
L’udienza di giovedì si è svolta davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare (Gup) Carlotta Franceschetti, che ha esaminato i dettagli dell’accordo raggiunto tra gli indagati e i pubblici ministeri Roberto Terzo e Federica Baccaglini. A far slittare la firma sull’intesa è stato un aspetto cruciale: l’obbligo per Boraso di restituire la somma di 400 mila euro, ritenuti illeciti e frutto di attività corruttive che lo hanno portato prima in carcere e poi agli arresti domiciliari, misura alla quale rimane ancora sottoposto. La decisione è stata presa dopo un’attenta valutazione delle condizioni economiche e giuridiche che coinvolgono l’ex assessore.
Durante l’udienza, il Gup si è anche riservato di decidere, con il favore dei pubblici ministeri, sulla richiesta di revoca degli arresti domiciliari per gli altri tre indagati, tutti imprenditori coinvolti nell’inchiesta. Questi ultimi, secondo le accuse, avrebbero approfittato della posizione privilegiata di Boraso all’interno dell’amministrazione comunale per portare a termine operazioni lucrative e illecite.
L’accordo di patteggiamento proposto prevede pene detentive per i quattro coinvolti. Boraso ha accettato una pena di 3 anni e 10 mesi di reclusione, con la confisca dei 400 mila euro in suo possesso. Gli altri tre imprenditori, accusati di aver intrecciato rapporti corruttivi con Boraso, hanno concordato le seguenti pene: Daniele Brichese ha patteggiato 3 anni e 10 mesi con una confisca di 7 mila euro; Francesco Gislon ha accettato una pena di 2 anni e 6 mesi con confisca di 45 mila euro; Fabrizio Ormenese ha ottenuto una pena di 2 anni e 9 mesi.
La parte civile si è costituita anche a favore del Comune di Venezia e della Città Metropolitana di Venezia, che si sono visti danneggiati dalle presunte attività corruttive.
L’inchiesta, che ha avuto inizio nella primavera del 2024, ha portato all’indagine di 32 persone, di cui quattro già coinvolte nel patteggiamento. Le indagini hanno rivelato una rete di corruzione che ha attraversato vari settori dell’amministrazione veneziana, con imprenditori che cercavano di ottenere vantaggi economici attraverso operazioni legate alla città e all’area metropolitana. Tra gli altri filoni di inchiesta, si segnalano anche i presunti abusi legati alla compravendita di beni immobiliari.
Il patteggiamento riguarda soprattutto coloro che sono stati arrestati e successivamente posti agli arresti domiciliari. L’accusa principale riguarda una serie di operazioni effettuate sul territorio del Comune di Venezia, che avrebbero danneggiato la città stessa e la zona metropolitana. Un aspetto ancora in sospeso è la posizione processuale degli altri indagati, per i quali il Gup dovrà decidere se proscioglierli o proseguire con il processo.
Fra le personalità di spicco coinvolte nell’inchiesta, è emerso anche il nome dell’attuale sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Al centro della vicenda ci sono due operazioni immobiliari. La prima riguarda la vendita di Palazzo Papadopoli, un’asta che aveva visto un solo partecipante: l’immobiliarista di Singapore, Chiat Kwong Ching. Quest’ultimo ha acquistato l’edificio per 10,8 milioni di euro, un valore significativamente inferiore rispetto al prezzo di partenza di 14 milioni di euro. La seconda operazione riguarda l’acquisto di un’area di 41 ettari a Marghera, denominata “area dei Pili” che però non andò in porto, ma resta comunque a sollevare interrogativi su possibili conflitti di interesse, in quanto Brugnaro, prima di diventare sindaco, aveva acquistato l’area dal Comune per 5 milioni di euro, per poi provare a cederla all’imprenditore di Singapore forse con la promessa di bonifica a carico del Comune. L’affare prevedeva anche la realizzazione di un palasport per la Reyer Basket, società di proprietà dello stesso Brugnaro, nella stessa area, ma l’iniziativa fu bloccata quando l’area venne temporaneamente ceduta a un “blind trust” che gestisse gli affari dell’imprenditore-sindaco per evitare accuse di conflitto d’interessi.
La vicenda è una ferita aperta nella storia attuale di Venezia e continua a far discutere e a suscitare polemiche anche politiche. L’attenzione ora è tutta rivolta alla chiusura delle indagini per gli altri indagati, tra cui alcuni vertici amministrativi del Comune di Venezia. Il destino della vicenda legata alle presunte corruzioni che esistevano negli uffici del Comune di Venezia in epoca recente è ancora tutta da scrivere e si ricomincerà a farlo il 16 maggio.
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