La Commissione europea vuole semplificare e (forse) democratizzare il budget Ue

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La Commissione europea punta a riformare il bilancio Ue per semplificarne la struttura e renderlo più democratico. Il piano “La strada verso il prossimo Quadro finanziario pluriennale (Mff)” prevede la creazione di tre fondi principali, con l’obiettivo di rafforzare la competitività e la sicurezza. Inoltre, propone un nuovo modello decisionale che consenta una maggiore autonomia ai governi nazionali, mentre punta a rendere il sistema più flessibile e incentrato sulle priorità dei cittadini, con l’introduzione di una piattaforma aperta a cittadini e stakeholders per raccogliere contributi sulle politiche da finanziare – pilastro del nuovo mandato di Von der Leyen.

I ventisette commissari dell’Ue si sono incontrati martedì 11 febbraio per tracciare le linee del prossimo periodo di spesa 2028-2034. Le negoziazioni sul Mff si prolungano solitamente per anni e spesso sono sbloccate solo grazie a trattative condotte all’ultimo minuto dai ventisette leader che compongono il Consiglio europeo. Ma quest’anno le discussioni saranno ancora più complesse, poiché dal 2028 dovrebbe iniziare il rimborso del programma di debito comune dell’Unione da trecento miliardi di euro, adottato con il Next Generation Eu per il periodo 2021-2027. La Commissione sottolinea che il solo rimborso dei costi legati ai titoli emessi durante l’era Covid ammonta a trenta miliardi di euro all’anno: un onere senza precedenti che costringerà a rivedere i contributi complessivi. Senza un nuovo piano, infatti, la capacità di spesa del blocco potrebbe ridursi significativamente, con una perdita stimata tra il 15 e il 20 per cento, secondo la Commissione.

Secondo un documento visionato dal Financial Times, il nuovo assetto – che entrerà in vigore nel 2028 – sarà più ambizioso in termini di dimensioni e struttura, per far fronte all’aumento delle spese in difesa, altro punto cruciale di questa Commissione per i prossimi anni. Per trovare i fondi, come riporta Politico, la Commissione aveva inizialmente proposto delle imposte sulle emissioni di anidride carbonica e sulle importazioni e sui profitti delle multinazionali per rimediare i fondi necessari: una mossa che avrebbe dovuto generare trentasei miliardi di euro all’anno. Tuttavia, i governi dell’Unione europea hanno bocciato il piano, poiché gran parte di queste entrate era comunque già destinata ai bilanci nazionali. 

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L’opzione predefinita rimane comunque quella di lasciar sì che i governi nazionali colmino il vuoto mandando più fondi a Bruxelles. Il tentativo di innalzare il bilancio complessivo incontrerà però probabilmente la resistenza dei maggiori contribuenti come i Paesi dell’Europa settentrionale – che hanno ricevuto una quota relativamente ridotta degli aiuti post-Covid dell’Unione europea –, riluttanti a versare più fondi nel bilancio e che, in caso, chiederebbero probabilmente tagli al fondo comune dell’Unione.«Questo compromesso rappresenterebbe un duro colpo per la Commissione e per Paesi diversi come Francia e Polonia, che sostengono un bilancio centrale dell’Unione più ampio» continua Politico.

Ecco però che, oltre alla questione fondi, la Commissione intende riformare radicalmente il bilancio, invece di mantenere le vecchie categorie di spesa, accorpando oltre cinquecento programmi in sole tre diverse categorie, così da garantire una maggiore flessibilità per fronteggiare sfide impreviste. Ma oltre a essere una riforma strutturale – gestione fiscale e strutturale del budget –  è soprattutto una trasformazione tematica. 

Finora infatti, il bilancio dell’Unione – che si finanzia con contributi nazionali pari a circa l’uno per cento del Pil –, è destinato un terzo ai sussidi agricoli – da sempre al centro delle politiche economiche europee, già dal Trattato di Roma –, un altro terzo alle politiche di coesione per le regioni meno sviluppate, e il restante a coprire altre spese, ad esempio per l’assistenza esterna agli stipendi del personale europeo.

Nel nuovo schema, la Commissione proporrà un «piano unico per ogni Paese», che integri riforme e investimenti chiave  concedendo così maggiore autonomia ai governi nazionali nella scelta dei progetti, anche per quelli tradizionalmente decisi a livello locale insieme a Bruxelles. Contemporaneamente, verrà istituito un fondo per la competitività europea, finalizzato a stimolare investimenti in settori e progetti strategici – un tema già evidenziato da Linkiesta – mentre il terzo pilastro sarà interamente dedicato alla politica estera, a tutela degli interessi strategici dell’Unione. In questo modo, sarà possibile destinare una quota maggiore del bilancio a progetti di difesa transfrontaliera, finora marginali nei precedenti schemi finanziari: un tema fondamentale visti gli sviluppi delle politiche economiche e di difesa di Donald Trump. 

C’è poi una questione di efficienza: «gli attuali meccanismi di distribuzione sono troppo burocratici e lenti nell’approvare i progetti» dice la Commissione. Sebbene l’Unione sia infatti a metà del suo ciclo di bilancio settennale, quello del 2021-2027, solo il 6,4 per cento dei fondi regionali  è stato speso finora – quelli ossia destinati alla riduzione delle disuguaglianze tra i Paesi membri. La centralizzazione delle decisioni ha suscitato però preoccupazioni, poiché potrebbe ridurre il potere delle Direzioni generali – semplificato i ministeri a Bruxelles – e dei governi locali. Ecco quindi che oltre centotrenta regioni hanno già criticato l’idea di un piano nazionale centralizzato. Ma allo stesso tempo la Presidente delle Commissione ha annunciato la Piattaforma di coinvolgimento dei cittadini.

Von der Leyen ha dichiarato: «Invitiamo tutti gli europei a far sentire la propria voce attraverso consultazioni pubbliche, il citizens’ panel o la engagement platform. È un invito a plasmare un bilancio moderno, ambizioso e rafforzato. Le nostre sfide sono anche obiettivi comuni: insieme siamo più forti». La Commissione europea ha aperto quindi un sistema di consultazione pubblica sul futuro bilancio dell’Unione e sulle politiche da finanziare: cittadini e stakeholders di interesse avranno dodici settimane per far sentire la propria voce e contribuire a definire le priorità dell’Unione europea nei prossimi anni.

Ma l’Unione europea dovrà inoltre far fronte alla restituzione dei debiti Covid, il cui solo rimborso dei costi legati ai titoli ammonta a trenta miliardi di euro all’anno: pari al venti per cento della spesa annua dell’Ue. La Spagna ha suggerito di rinviare il rimborso del debito comune, un po’ come fanno le nazioni singole sostenendo possa «alleviare le pressioni fiscali a breve termine, garantire liquidità nel mercato obbligazionario dell’Ue e consentire investimenti continui per il futuro modello economico europeo». Tuttavia, il piano, scrive il Financial Times, «incontrerà una forte resistenza da parte dei principali contributori netti al bilancio», tra tutti Germania e Paesi Bassi.

I problemi risalgono al 2020 quando era stato istituito il programma Next Generation Eu, il piano di recupero economico da settecentocinquanta miliardi di euro –  che andava ad aggiungersi in maniera eccezionale ai 1.074 miliardi di euro del Mff 2021-2027 – destinato a sostenere gli Stati membri nella ripresa post-pandemica. I principali paesi che dovranno restituire la parte maggiore di questo debito sono Italia, Spagna e Polonia. L’Italia, in particolare, è uno dei maggiori beneficiari, con circa 191,5 miliardi di euro a disposizione tra prestiti e sussidi, seguita dalla Spagna con circa centoquaranta miliardi. L’importo, che è stato finanziato in parte attraverso l’emissione di prestiti sui mercati finanziari con l’intento di rimborsarli entro il 2058, era stato ostacolato principalmente dai Paesi dell’Europa settentrionale – oltre a Germania e Paesi Bassi anche Austria, Danimarca e Svezia – con il pretesto che ne avrebbero ottenuto dei benefici limitati. 

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Questi Stati seguono infatti tradizionalmente politiche fiscali rigorose e mantengono il debito pubblico a livelli contenuti e, per questo, la questione del rimborso dei prestiti e il loro impatto sul bilancio dell’Unione europea sollevava dubbi sull’assenza di vantaggi concreti e prevaleva, in particolare, il timore che il sistema di trasferimenti e sussidi potesse indebolire le regole fiscali comuni e compromettere la stabilità economica dell’Unione europea: una paura che riaffiora ora con la programmazione del prossimo Mff e l’urgenza di risolvere la questione dei debiti. 



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