BRESCIA Tutto è partito dall’indagine legata al fallimento di una società, la “BSC GROUP s.r.l.”, avvenuto nel giugno del 2019. Il sospetto dei Finanzieri del Comando di Brescia era che la stessa azienda fosse al centro di una frode fiscale connessa a fenomeni di riciclaggio internazionale. L’analisi effettivamente avrebbe consentito di accertare una serie di evidenti irregolarità che, secondo i finanzieri, «portavano ad ipotizzare l’esistenza di un complesso gruppo societario», costituito da più società “cartiere-filtro”, «finalizzato alla perpetrazione di ingenti frodi fiscali in danno dell’Erario», accertando tra i propri clienti due società, una del Bresciano e un’altra di Rende, ne cui confronti la BSC aveva emesso fatture rispettivamente per circa 4 milioni di euro e 2,5 milioni di euro per l’anno 2018 e fatture rispettivamente per 825.000 euro e 20.000 euro nel 2019. Ma non è tutto. Gli accertamenti, infatti, hanno acceso un faro sulle “persone fisiche” collegate alle società, alcune delle quali vicine alla ‘ndrangheta calabrese. È quanto emerso nell’inchiesta della GdF – coordinata dalla Dda di Brescia – che questa mattina ha portato all’arresto di 8 persone, su ordine del gip, Alessandro d’Altilia.
Ci sono Giovanni Natalino Cambareri (cl. ’69), fratello di Domenico (cl. ’59) – reggente della cosca di ‘ndrangheta di San Roberto, nel Reggino, già condannato nel 2015 per associazione per delinquere di tipo mafioso e detenuto fino a giugno 2017 al regime del 41bis. E poi Filippo Leuzzi (cl. ’74) – tra gli indagati – originario di Delianuova, riconosciuto dai collaboratori di giustizia contiguo alla cosca di ‘ndrangheta Italiano-Papalia, egemone proprio a Delianuova. Giuseppe Campolo (cl. ’67) – tra gli indagati – originario di Villa San Giovanni, considerato contiguo alla cosca Buda, capeggiata da Santo Buda e federata al clan Imerti-Condello-Buda, egemone nei comuni reggini di Villa San Giovanni, Fiumara, Campo Calabro e San Roberto. Infine, Giuseppe Utano (cl. ’76) – finito in carcere – braccio operativo dei fratelli Cambareri, è figlio di Sebastiano, pregiudicato, già sorvegliato speciale di Polizia, ritenuto elemento affiliato alla cosca ‘ndranghetista facente capo a Don Mico Tripodo, per il quale negli anni ’70 svolgeva l’attività di autista.
L’inchiesta condotta sul campo dagli uomini della Guardia di Finanza ha consentito di ricostruire l’esistenza, e l’evoluzione, di sodalizio criminoso dedito alla commissione di frodi fiscali, reati di riciclaggio e autoriciclaggio dei proventi illeciti, oltre ad altri reati contro il patrimonio e la persona, a partire dal 2017. Le successive intercettazioni, invece, hanno messo in evidenza l’esistenza simultanea, fra l’estate del 2020 e i primi mesi del 2021, di due diverse consorterie criminose. Una prima consorteria mafiosa – secondo quanto emerso dall’inchiesta – operativa verosimilmente sin dal 2017 e dalla quale, dal luglio del 2020, sarebbero fuoriusciti alcuni soggetti i quali, dopo una prima fase, ne avrebbero costituito un’altra, «opponendosi fermamente alla prima» sostengono gli inquirenti per «guadagnare il monopolio nel settore della emissione di fatture per operazioni inesistenti».
Le intercettazioni, a partire dall’estate del 2020, hanno messo in evidenza l’allontanamento progressivo dall’originaria consorteria criminosa, facente capo soprattutto a Giuseppe Zeli (cl ’76) di Brescia, finito in carcere come il vietnamita Hung Giang Vu detto “Gianni” (cl. ’79), di Giovanni Natalino Cambareri, con il benestare del fratello Domenico. Una decisione nata, per come emerso dall’inchiesta della Dda di Brescia, a causa delle frizioni che Cambareri avrebbe avuto con il cugino, Filippo Leuzzi. In una conversazione del 15 luglio 2020, Giovanni Natalino Cambareri riferisce al fratello Domenico di un dialogo avuto proprio col cugino, utilizzando un evidente «atteggiamento intimidatorio e prevaricatore nei confronti di Leuzzi» al quale, in buona sostanza, «impone che debba essere lui stesso il solo punto di riferimento per ogni decisione da assumere circa le sorti della loro società, la “Dante Srl”. Inoltre, come sottolineano gli inquirenti, nelle parole di Cambareri «è chiaro l’avvertimento nei confronti di Leuzzi di non rimanere in affari con VU», il quale sarebbe stato presto tagliato fuori e fatto scomparire da Brescia.
«Non gli ho dato termini a Chen (…) nel senso che gli devo menare a Chen e che deve scomparire da Brescia. Non deve più fare affari a Brescia e che poi lo tagli fuori, mi segui?». Il sospetto confidato da Giovanni Natalino Cambareri al fratello è che il cugino Filippo stesse tramando con Zeli e Hung Giang Vu «per perfezionare il suo definitivo allontanamento dalla società». Nella stessa giornata, Giovanni Natalino Cambareri nel corso di due conversazioni col fratello, di fatto confessa di temere «pericolose instabilità tra le famiglie calabresi di appartenenza», sospettando il possibile tradimento del cugino Leuzzi, con una certa amarezza. «(…) ce le potevamo aspettare certe cose da un forestiero e i forestieri li teniamo tutti a bada». Ma sarà a dicembre che gli inquirenti capiscono che, alla base della rottura, ci sarebbe il comportamento di Hung Giang Vu che aveva iniziato a lavorare per conto di alcuni soggetti calabresi dediti al traffico di stupefacenti, tra cui proprio il cugino Leuzzi e da cui è scaturito il definitivo allontanamento di Giovanni Natalino Cambareri e la costituzione di una nuova consorteria criminosa. (g.curcio@corrierecal.it)
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