È la prima volta dopo la pronuncia della Corte costituzionale del 2019 a proposito della vicenda di dj Fabo. La 50enne era malata di sclerosi multipla progressiva. Rocca: «Il Parlamento dovrà fare il passo successivo»
Per la prima volta in Lombardia una paziente ha avuto accesso al suicidio medicalmente assistito con un farmaco letale fornito dal Servizio sanitario nazionale, secondo la procedura stabilita dalla sentenza della Corte costituzionale del 2019 sulla vicenda di dj Fabo. È il sesto caso in Italia.
Al momento non c’è una legge nazionale in materia e solo la Toscana ha da poco approvato una norma sul fine vita, che potrebbe però essere impugnata dal governo. «Se dipendesse da me, sì – risponde a questo proposito il ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia Antonio Tajani —, ne parleremo, ma è strano che chi è contro l’autonomia poi voglia fare una legge in Toscana sul suicidio assistito e in un’altra regione no».
In realtà anche Eugenio Giani, presidente pd della Toscana, auspica un intervento governativo. «Mi sembra che ci abbia già pensato la Corte costituzionale a dire che è bene che il legislatore nazionale faccia una legge che sostanzialmente ricalchi quello che abbiamo fatto noi». Per Francesco Rocca, alla guida della giunta di centrodestra del Lazio, «è il Parlamento che dovrà fare il passaggio successivo».
Non mancherà di creare discussioni anche il caso lombardo. La 50enne era malata di sclerosi multipla progressiva da oltre 30 anni. La patologia l’aveva paralizzata, tanto da costringerla ad essere assistita continuamente da un caregiver. A maggio del 2024 la paziente, accompagnata dall’associazione Luca Coscioni, aveva iniziato il percorso che l’ha portata a porre fine alle sue sofferenze a gennaio di quest’anno. Aveva chiesto all’Ats di riferimento di poter accedere all’iter previsto dalla sentenza 242 della Consulta.
Quattro i requisiti fissati dai giudici: irreversibilità della patologia, dipendenza da sostegni vitali, presenza di sofferenze fisiche o psicologiche considerate intollerabili, capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli. Nel corso dei mesi i responsabili dell’Ats e dell’Asst avevano visitato a domicilio la donna, fino alla valutazione della documentazione da parte di un comitato etico, dopo un sollecito in assenza di riscontro, con la conferma della presenza delle condizioni.
A quel punto l’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano ha potuto confermare la fornitura del farmaco. L’azienda tuttavia non ha comunicato la disponibilità di medici che, su base volontaria, l’avrebbero assistita nella procedura di autosomministrazione e quindi la donna è stata seguita dal dottor Mario Riccio, medico anestesista, consigliere generale dell’associazione Luca Coscioni, che nel 2006 aveva assistito Piergiorgio Welby e poi altri pazienti. Il medico ha potuto ritirare farmaco e strumenti la mattina del giorno individuato. La 50enne ha così potuto procedere con l’autosomministrazione del farmaco letale nella propria abitazione, assistita dal dottor Riccio e circondata dai suoi cari. «La mia breve vita è stata intensa e felice, l’ho amata all’infinito e il mio gesto di porre fine non ha significato che non l’amassi», ha scritto nell’ultimo messaggio la donna.
Fino all’autunno 2024 erano state presentate agli ospedali lombardi dieci domande per seguire l’iter. Tre erano state ritenute ammissibili. Ma finora non era mai stato dato il farmaco. A gennaio, il cambio di passo. Eppure la Lombardia il 19 novembre scorso ha bocciato il progetto di legge sul fine vita proposto dall’associazione Coscioni, scritto per definire tempi e procedure di quanto stabilito dalla Consulta e sostenuto da oltre 8 mila firme. Da quel testo è partita la Toscana per arrivare alla legge appena varata. La maggioranza del Pirellone, invece, ha ritenuto che la questione potesse essere disciplinata solo a livello nazionale, tesi sostenuta da FdI e a cui si è accodata buona parte del centrodestra, con alcune eccezioni.
Il governatore leghista Attilio Fontana, sebbene non abbia dichiarato il suo voto, ha più volte richiamato la libertà di coscienza sul tema. Pare che, nonostante le sue posizioni personali, un ruolo nel completamento dell’iter della paziente lombarda sia stato giocato anche da Mario Melazzini, direttore generale del Welfare. Malato di sclerosi laterale amiotrofica, vicino a Comunione e liberazione, in uno dei suoi libri ha raccontato che nel 2003 aveva prenotato il suicidio assistito in una clinica svizzera. A quell’appuntamento non si è mai presentato. In vari editoriali ha ricordato che «chiunque si trovi in condizioni di dolore estremo va aiutato a gestirlo e non a eliminare la propria vita». Ma ha anche affermato che non bisogna giudicare chi chiede il suicidio assistito.
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