MILANO – Non può che essere ottimista la moda, un mondo che vive di immagine, di bello, di acquisti. Il 2024 per il settore si è chiuso con il fatturato in calo, sceso sotto 100miliardi, per l’esattezza 95,4. “Ma ora si guarda con un po’ di ottimismo al 2025. Sarà un anno di tenuta”. A dirlo è Carlo Capasa, presidente Camera della Moda, presentando la Milano Fashion Week.
Giorni fondamentali, abbinati alle 5 fiere di tettorie, con in testa Micam , Mipel e Lineapelle, anche per capire e ragionare sull’impatto che avranno i dazi americani. O meglio i possibili dazi. “Preoccupano sempre tutti, ma speriamo che non vengano applicati alla Moda” ribadisce.
“La Moda – ha poi aggiunto mandando un messaggio al Governo affinché medi e dialoghi – è la seconda industria italiana. Se Trump penalizza la seconda industria italiana è quasi una dichiarazione ostile. Io mi aspetto che non ci sia un attacco così ostile. Se poi ci saranno i dazi, capiremo come comportarci di conseguenza”.
Negli ultimi mesi dell’anno la flessione si è attenuata. Il fatturato è sì calato del 4.2% rispetto all’ultimo trimestre del 2023, ma la contrazione è stata inferiore rispetto al resto dell’anno. Restano sempre in sofferenza i settori ‘core’ della moda (abbigliamento, pelle, pelletteria e calzature). A salvare le sorti del Made in Italy sono invece sempre più i settori ‘collegati’ (beauty, occhiali, gioielli e bigiotteria).
Il raffreddamento generale dei fatturati, nonostante l’aumento dei prezzi, ha gelato aziende e lavoro. “Ci sono state meno vendite, e quindi nella parte bassa della filiera c’è una crisi per mancanza di pezzi prodotti”.
Non a caso il settore chiede da mesi al Governo richieste misure per aiutare le piccole aziende, spina dorsale del Made in Italy. Dal differimento delle imposte alla Cassa integrazione. «Dobbiamo evitare chiusure e quindi perdita di posti di lavoro. Sono ancora convinto che questa sia una crisi destinata a passare”.
Una convinzione supportata dai numeri della Camera nazione del lavoro: la stabilizzazione di fine anno e il miglior quadro macroeconomico internazionale possano far sperare in un ritorno alla crescita dei fatturati nel 2025”.
America permettendo, considerando che è il terzo mercato per le esportazioni della moda Italiana, con un interscambio commerciale da gennaio a ottobre 2024 di ben 4, 5 miliardi per la moda, 3,1 miliardi per i settori collegati.
Considerando che i dazi fanno male a entrambi i lati del tavolo, Confindustria p convinta che per quanto riguarda la moda made in Italy, “chi ha la possibilità di acquistare una cravatta premium a 250 euro non è che non l’acquista più a 300, come qualsiasi altro nostro prodotto premium. Non ci sono da aspettarsi problemi drammatici per il nostro sistema della moda soprattutto per imprenditori che sono abituati ad andare all’estero ed eventualmente anche a sostituire quel mercato”.
Anche se il caso Russia insegna che non è poi così semplice diversificare, soprattutto per il mondo delle scarpe, che ha dinamiche diverse dai vestiti, per esempio.
I dubbi sul futuro, e le necessità, sono stati presentati anche in Europa, grazie a una manifestazione dei sindacati dei settori cardine del made in Italy, della moda alla metalmeccanica per arrivare a plastica e ceramica. “Abbiamo chiesto un vero piano industriale europeo. Bisogna agire ora, in quanto sono necessarie risposte concrete e urgenti per governare e non subire la transizione ecologica. La deindustrializzazione non è più una minaccia, ma una realtà”.
Sono cinque le richieste: investire nella formazione delle lavoratrici e dei lavoratori per garantire una giusta transizione ed evitare licenziamenti; prevedere una politica industriale con forti investimenti pubblici per una crescita inclusiva a condizionalità sociali integrate in tutti gli investimenti pubblici; investire in reti e infrastrutture moderne per un’energia stabile, conveniente, affidabile e a basse emissioni di carbonio; rafforzare la contrattazione collettiva e la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale; garantire pratiche di acquisto eque e la due diligence sui diritti umani lungo le catene di fornitura.
r.vit.
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