L’eterno ritorno delle storie false

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In ogni epoca e in ogni luogo l’informazione è stato un terreno di scontro, di conferme da trovare, di bugie che hanno effetti concreti e di smentite che cambiano la nostra idea del mondo

Giovanni Zagni

Il 23 aprile 2013 il profilo ufficiale dell’agenzia di stampa Associated Press (AP) su Twitter annunciò due esplosioni alla Casa bianca e il ferimento dell’allora presidente Barack Obama. La falsa notizia causò un crollo dell’indice Dow Jones.

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Nell’arco di pochi minuti il messaggio fu rimosso, arrivarono le smentite e il mercato azionario si riprese. Nulla del genere infatti era accaduto.

Si era trattato di un attacco informatico, forse messo a segno da un gruppo legato alla guerra civile siriana, riuscito a impadronirsi temporaneamente del profilo di una delle agenzie di stampa più prestigiose del mondo.

Quel giorno un articolo del Guardian scrisse, riflettendo sulle conseguenze e sul contesto generale di quanto accaduto:

«I mercati si sono ripresi nell’arco di pochi minuti dal fraintendimento, ma l’incidente ha lasciato i trader a riprendere il fiato e a riflettere ancora una volta sulla vulnerabilità alle breaking news nell’età dei social media. Ha anche generato nuove domande sulle procedure di sicurezza di Twitter».

Si nota subito, e con un certo stupore, come non si faccia alcun accenno alle notizie false o alla disinformazione. Nessuna, tra le maggiori testate che parlarono di quell’episodio, incluse una riflessione sulla diffusione di informazioni scorrette.

Facile immaginare invece come un evento del genere verrebbe coperto oggi: fioccherebbero i riferimenti ai pericoli causati dalle notizie false, con fake news o “disinformazione” impiegati fin nei titoli.

Ma lo sguardo che si rivolge alla realtà cambia, si evolve, nota particolari diversi, adotta prospettive inedite e fa scegliere parole nuove. Ciò accade con caratteristica frequenza quando si parla dell’informazione, specie quando si tratta di sue manipolazioni: termini come propaganda o “controinformazione” hanno avuto per decenni un posto rilevante nella discussione sulle notizie.

Dal 2016 i termini al centro di mille dibattiti sono appunto fake news, disinformazione, fact-checking (mentre altri come “post-verità”, dopo breve fortuna, si sono persi per strada).

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Se queste parole sono di fama recente, però, il caso del temporaneo crollo della Borsa del 2013 dimostra che i casi in cui le possiamo applicare retroattivamente sono numerosi e forse infiniti.

In Storie false (Mimesis, 2024, 208 pp.), scritto dal professore francese Michel Pretalli e da me, passiamo in rassegna diversi episodi in cui la manipolazione delle informazioni ha avuto un ruolo nelle vicende umane.

Durante le ricerche per questo libro ci siamo imbattuti in personaggi bizzarri o curiosi, come il gesuita ed erudito francese Jean Hardouin, secondo cui gran parte della letteratura dell’Antichità e del Medioevo era in realtà un’impostura, una serie incredibile di falsi architettata per scopi poco chiari. Abbiamo anche avuto conferma che, fin da quando gli esseri umani hanno prodotto testimonianze scritte, l’informazione è sempre stata sottoposta a tentativi di controllo e di manipolazione: se ne trovano esempi perfino nel caso delle tavolette cuneiformi che registrano la corrispondenza dei faraoni, tredici secoli prima di Cristo.

Alcuni dei documenti più celebri della Storia sono, com’è noto, delle falsificazioni: la Donazione di Costantino, ad esempio, di cui l’umanista Lorenzo Valla – così si studia sui libri – dimostrò l’origine ben più recente dei tempi dell’impero romano (ciò che si conosce meno è che in realtà Valla basò le sue argomentazioni su smentite precedenti: il suo merito nella vicenda è soprattutto quello di essere un efficace e coinvolgente polemista).

Oppure i Protocolli dei savi Anziani di Sion, il più celebre testo antisemita di sempre, che tuttora viene purtroppo riedito e la cui storia apre una finestra su uno dei luoghi in cui gli ebrei furono più perseguitati prima del Novecento, la Russia zarista.

A ripercorrere i secoli alla caccia di storie false si fatica a trovare un’epoca o personaggio famoso che ne sia rimasto indenne.

Nel febbraio 1814 fu la volta di Napoleone, al centro di una vicenda che mostra come le “campagne coordinate” non siano un’invenzione dell’età dei social network. Nella notte tra il 20 e il 21 febbraio a Dover, sulla costa inglese, si presentò alla porta di una locanda, nel cuore della notte, un uomo che dichiarò di provenire dal continente e di portare la sconvolgente notizia della morte del sovrano francese.

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Ottenne in tutta fretta una carrozza per Londra, pagò in monete francesi tutte le volte che poteva e lungo il viaggio continuò a ripetere la novità a tutti quanti incontrava. Poi scomparve in uno dei palazzi signorili della città, mentre la notizia si diffondeva incontrollata.

Alla riapertura della Borsa di Londra, in previsione di una pace vicina dopo la morte dell’arcinemico francese, il valore dei titoli di Stato dell’impero britannico si impennò. Qualche ora più tardi, nell’atmosfera di incertezza generale, due personaggi in carrozza vestiti da ufficiali francesi attraversarono la City in carrozza, festeggiando e spargendo volantini in supporto dei Borbone, la dinastia scalzata da Napoleone. Una folla si radunò davanti al municipio di Londra, in attesa di notizie.

Era tutto falso, si scoprì di lì a poco: i due ufficiali erano poveracci reclutati in un’osteria, il messaggero era in realtà un avventuriero spiantato. Mancava ancora un anno e mezzo alla sconfitta definitiva di Napoleone e sette anni alla sua morte.

Come accertarono le indagini, si trattava di una messa in scena ad opera di un piccolo gruppo di aristocratici speculatori di Borsa che, forse per le difficoltà finanziarie, forse per la semplice avidità, avevano messo in piedi quel teatrino, progettando di guadagnare dalla falsa notizia.

Finì coinvolto anche Lord Cochrane, personaggio straordinario dell’Ottocento britannico: politico e avventuriero, di lì a qualche anno eroe delle guerre di liberazione dell’America Latina e già allora considerato tra i più grandi uomini di mare dell’Impero.

Anche se per tutta la sua lunga vita successiva si sarebbe proclamato innocente e battuto per ristabilire il suo buon nome, di lì a poco – al termine di un processo tra i più seguiti della storia inglese – finì in carcere per la vicenda passata alla storia da allora come the Great Stock Exchange Hoax of 1814, la grande bufala della Borsa valori.

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Due secoli prima del momentaneo svenimento degli indici di Borsa a causa di un profilo Twitter hackerato, mezzi ben più teatrali e ingegnosi avevano aperto la strada perché la Storia, ancora una volta, registrasse una delle sue misteriose e affascinanti ripetizioni. E per ricordarci che in ogni epoca e in ogni luogo l’informazione è stato un terreno di scontro, di conferme da trovare, di bugie che hanno effetti concreti e di smentite che cambiano la nostra idea del mondo.

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