Il fenomeno è in declino a causa del ‘Return to Office’ o si sta consolidando?
Negli ultimi anni, il nomadismo digitale è stato raccontato da molti come la salvezza di alcune destinazioni turistiche, un’opportunità per rivitalizzare economie locali in difficoltà e in taluni casi come la panacea di tutti i mali del mondo del lavoro.
Tuttavia, si è presto scontrato con la realtà: non si trattava di semplice turismo, ma di un nuovo modello di vita e di lavoro che ha generato impatti significativi, nel bene e nel male. Alcuni paesi che inizialmente lo hanno accolto con entusiasmo hanno finito per osteggiarlo a causa degli effetti collaterali, come l’aumento dei costi degli affitti e la pressione sui mercati locali. Altri, come l’Italia, sono rimasti a guardare, con i media incapaci di distinguere tra nomadismo digitale, lavoro remoto, smart working e startup, preferendo alimentare la confusione con una valanga di inglesismi usati a sproposito pur di creare titoli ad effetto, spesso letti poco e male.
È pur vero che negli ultimi anni, il fenomeno dei nomadi digitali ha guadagnato una crescente attenzione mediatica e istituzionale. Durante la pandemia, il lavoro remoto ha accelerato la diffusione di questa modalità di vita e di lavoro, al punto che molti paesi hanno introdotto visti specifici per attrarre questa categoria di lavoratori. Tuttavia, con la ripresa economica post-pandemia e la spinta delle aziende verso il “Return to Office” (RTO), è lecito chiedersi: il nomadismo digitale è in declino o sta semplicemente cambiando forma?
Chi sono i nomadi digitali?
Secondo dati aggiornati al 2024, si stima che oltre 40 milioni di persone nel mondo si identifichino come nomadi digitali, con 17,3 milioni provenienti dagli Stati Uniti (Pumble.com). La maggior parte di essi è costituita da lavoratori autonomi, con una netta prevalenza di freelance, imprenditori digitali e specialisti in settori come marketing, IT e design.
Età e genere
– L’età media è di 40 anni, con il 47% intorno ai 30 anni.
– Il 62% è costituito da uomini, mentre il restante 38% da donne (Localyze.com).
– Il 91% ha un’istruzione superiore.
Origine geografica
La maggior parte dei nomadi digitali proviene dai seguenti paesi:
– USA (46%)
– Regno Unito (7%)
– Germania (5%)
– Canada (4%)
– …
– Italia (~1%)
Dove vanno i nomadi digitali?
Le destinazioni più ambite variano in base a criteri come il costo della vita, la qualità della connessione internet, il clima e la relativa vicinanza (non a caso il Messico è una delle destinazioni più gettonate). Secondo Statista, le mete più scelte nel 2024 sono:
– Messico (13%)
– Thailandia (12%)
– Indonesia (9%)
– Colombia (7%)
– Vietnam (5%)
– Spagna e Portogallo in Europa
Quanto guadagnano i nomadi digitali?
Le retribuzioni dei nomadi digitali sono molto variabili, a seconda del settore e dell’esperienza:
– Il 49% guadagna tra 50.000 e 250.000 dollari annui.
– Il 14% rientra in fasce di reddito superiori ai 250.000 dollari annui.
– I settori con maggiore presenza di nomadi digitali sono marketing (27%), informatica (13%) e e-commerce.
Guadagnano tanto, si direbbe. Ma guadagnano tanto non perché sono digital nomad, ma perché quasi sempre hanno raggiunto una maturità professionale che permette questo modello di vita/lavoro.
Il boom del nomadismo digitale è finito con il “Return to Office”?
Molti esperti avevano previsto una brusca frenata del fenomeno con il ritorno in ufficio. Alcune grandi aziende come Amazon, Google e Goldman Sachs hanno imposto un ritorno parziale o totale in presenza. Tuttavia, i numeri dimostrano il contrario: il numero di nomadi digitali negli Stati Uniti è cresciuto del 131% rispetto ai livelli pre-pandemia (Ninja.it).
Molti lavoratori non vogliono rinunciare alla flessibilità e si stanno orientando verso un modello ibrido, che permette loro di alternare periodi di lavoro da remoto e in ufficio. Inoltre, molte aziende stanno rivedendo le loro strategie, consapevoli che imporre un RTO totale potrebbe far perdere talenti chiave.
Il ruolo dei visti per nomadi digitali
Con il crescere della domanda, sempre più paesi hanno introdotto visti specifici per i nomadi digitali. Ad oggi, 66 paesi offrono programmi dedicati, rispetto ai 40 dell’anno scorso.
Alcuni esempi di visti per nomadi digitali:
– Portogallo (D8 Visa) – durata fino a un anno, con possibilità di estensione.
– Spagna – introduce incentivi per i lavoratori remoti.
– Italia – ha recentemente lanciato un visto per nomadi digitali, ma la sua efficacia è ancora incerta.
Il caso italiano: un’opportunità mancata?
L’Italia ha introdotto un visto per nomadi digitali non appartenenti all’UE, che consente un soggiorno di un anno rinnovabile. Tuttavia, le barriere burocratiche e i requisiti restrittivi potrebbero limitarne l’efficacia rispetto a paesi più “nomad-friendly” come il Portogallo e la Spagna. Se il sistema non verrà snellito, l’Italia rischia di perdere un’opportunità di attrarre talenti e investimenti.
Nomadismo digitale: realtà vs mito
L’immagine patinata del nomadismo digitale spesso contrasta con la realtà. Lavorare viaggiando non è una vacanza e richiede competenze solide, disciplina e adattabilità. Le sfide più comuni includono:
– Fusi orari – gestire clienti e team in diversi continenti.
– Isolamento sociale – difficoltà nel costruire relazioni stabili.
– Problemi legali e fiscali – gestione della residenza e delle imposte.
Il nomadismo digitale è più vivo che mai, ma chi non ne ha fatto esperienza reale non lo può capire
Il nomadismo digitale non è morto, anzi, è in continua evoluzione. Nonostante la pressione del RTO, il desiderio di libertà e flessibilità sta spingendo molte aziende e lavoratori a trovare nuovi equilibri. Il futuro dipenderà da come governi e aziende adatteranno le loro politiche al nuovo scenario globale. Se supportato adeguatamente, il nomadismo digitale potrebbe diventare una risorsa preziosa per l’economia e l’innovazione globale.
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