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‘Lo Stato risparmia oltre 4 mld non riconoscendo Tfr e Tfs ai dipendenti pubblici nei tempi giusti’, attese fino a 7 anni e nel frattempo il lavoratore perde il 14,2%

Un “sequestro delle liquidazioni ai danni dei dipendenti pubblici”. Lo denunciano le confederazioni del pubblico impiego Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida, Codirp nell’incontro di oggi a Roma a Palazzo Wedekind. Da oltre 15 anni, dicono le sigle, i dipendenti pubblici ricevono il trattamento di fine rapporto in forma differita e rateizzata con attese fino a 7 anni: si tratta di una mancata corresponsione di un emolumento salariale differito nonché di un sequestro di un bene personale, con perdite economiche di rilievo per i dipendenti pubblici che saranno illustrate nel corso dell’incontro.

“Un sequestro che dura da 28 anni, inizia nel 1997 con il governo Prodi – ricorda Giorgio Cavallero, segretario generale Cosmed – Nel 2010, governo Berlusconi, c’è un appesantimento, dei tempi e dell’erogazione in tranche. Nel 2014, governo Letta, le tranche diventano più piccole. L’ultima finanziaria peggiora ulteriormente la situazione, nel silenzio generale”. In due occasioni la Corte Costituzionale ha sollecitato il Parlamento a modificare la norma perlomeno nei riguardi di coloro che hanno raggiunto il limite massimo di anzianità anagrafica. Corte Costituzionale che “parla di inerzia legislativa”, visto che i suoi richiami risultano inascoltati. “Abbiamo presentato dei ricorsi affinché la Corte costituzionale si pronunci – continua Cavallero – e abbiamo una petizione in corso che ha raccolto 50mila firme”.

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Quanto risparmia lo stato non riconoscendo la liquidazione ai dipendenti pubblici nei tempi giusti? Oltre 4 miliardi, secondo i calcoli di Ezio Cigna, responsabile previdenza di Cgil. “Prendendo un Tfs medio di 82.400 euro, un soggetto che ha cessato di lavorare al 2022, calcolando i tempi necessari per raggiungere il proprio Tfs, con l’inflazione perde 11.735 euro, cioè perde il 14,2%. Guardando poi i numeri delle uscite, circa 170mila l’anno, e moltiplicandoli per quegli 11.700 euro, in termini di inflazione, calcolata per chi è uscito nel 2022 o nel 2023, scopriamo che sono 2 miliardi e 157milioni le risorse che per via dell’inflazione si sono scaricate per i lavoratori pubblici” ma “se sommiamo i tagli fatti anche con l’innalzamento del limite ordinamentale, stiamo parlando di una cifra che arriva a 4 miliardi e 600milioni”.

La recente legge di bilancio per il 2025, infatti, ha ulteriormente differito in molti casi l’erogazione del trattamento di fine rapporto in conseguenza dello spostamento del limite ordinamentale a 67 anni, che – denunciano le sigle – rischia di aumentare le penalizzazioni per alcune categorie di dipendenti pubblici i cui rendimenti pensionistici erano già stati ridotti nella scorsa legge di bilancio. Ma la discriminazione è “bipartisan” e “viene da lontano”, per il segretario confederale della Uil, Santo Biondo, che parla di una “responsabilità larga” frutto del fatto che “in molti ambienti, in questi anni ha albergato l’idea che il lavoratore pubblico sia un privilegiato, qualcuno ha parlato di ‘fannulloni'” ma è ora “di aprire un confronto per affrontare il tema nel merito e sanare una discriminazione che penalizza i lavoratori e la pubblica amministrazione. Il punto di partenza per noi deve essere quell’accordo quadro sottoscritto con il governo Draghi”.

“Una ingiustizia evidente e una disparità inaccettabile”, per Roberto Caruso, presidente Cida funzione pubblica, che evidenzia anche “una penalizzazione nei confronti di chi ha contribuito di più: se l’importo è inferiore a 50mila euro abbiamo un’erogazione in un’unica soluzione, se è tra i 50 ei 100mila euro in due tranche, se si superano i 100mila euro il pagamento viene scaglionato su tre anni. E’ chiaro che quando si affronta il tema la prima obiezione che si solleva riguarda i conti dello Stato ma i numeri dimostrano che soluzioni sono possibili” insomma che “non si tratta di una spesa insostenibile”. Eppure, ricorda Tiziana Cignarelli, segretaria generale Codirp, “il gettito fiscale, per il 51% viene dal lavoro pubblico a tempo indeterminato, quindi la nostra pare la facciamo, anche in termini di contributi. Tutti introiti per lo Stato che non mi tornano in termini di servizi né di retribuzione”.

Chiamata in causa l’Inps, Roberto Ghiselli, presidente del Civ, ricorda che “il Consiglio di Vigilanza si è espresso un anno fa rispetto al tema Tfr/Tfs con delibera, ponendo l’accento su 4 aspetti: promuovere un’azione nei confronti del legislatore e del governo per intervenire sui tempi delle erogazioni delle prestazioni sapendo che vi è un danno concreto ai danni dei lavoratori; esplorare il tema dell’anticipazione della prestazione, tema su cui l’Inps aveva avviato una sperimentazione poi interrotta da un’obiezione del Mef, ma su cui c’è ancora in piedi un’interlocuzione Inps-Mef; agire sulle difficoltà amministrative che allungano ulteriormente i tempi; chi aderisce a fondi complementari ha diritto ad ottenere la liquidazione in sei mesi, stiamo lavorando sulle difficoltà dell’istituto a rispettare tali tempistiche”.

Marco Carlomagno, segretario generale Flp, auspica “una iniziativa parlamentare che, a regime, possa sanare una disuguaglianza ampia ed evidente” per dare rispose certe “che escano dal mero conto ragionieristico”. Per farlo “serve unità parlamentare e sindacale”.

Tema affrontato anche da Rino Dimeglio, segretario generale Cgs: “E’ bene che si raggiunga, su questi temi, l’unità sindacale, quando si tratta di giustizia e di diritti non deve esserci divisione sindacale ma dobbiamo lavorare insieme per compiere un’operazione pedagogica sulla politica per sanare l’ingiustiizia”.



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