​Approdi e prospettive del rapporto tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario volontario

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Approdi e prospettive del rapporto tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario volontario (nota a Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515)

di Rocco Parisi

Sommario: 1. La vicenda contenziosa; 2. Brevi cenni sul quadro normativo in materia di prevenzione antimafia; 3. Il controverso rapporto tra controllo giudiziario volontario ed interdittiva antimafia, a partire dall’incerta perimetrazione dei presupposti applicativi previsti dalla legge; 4. Il problematico coordinamento tra gli istituti in esame nelle successive fasi esecutive; 5. Conclusioni: problematiche ancora aperte nel coordinamento tra le misure di prevenzione antimafia. La recente rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 (TAR Reggio Calabria, Ordinanza n. 646/2024).

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1. La vicenda contenziosa.

La pronuncia in commento prende le mosse da una vicenda piuttosto complessa, protrattasi per quattro anni e caratterizzata da ben quattro pronunce dei giudici amministrativi di primo e di secondo grado.

In origine, una società cooperativa agricola proponeva ricorso dinanzi al TAR del Lazio avverso il provvedimento di interdittiva antimafia adottato dalla Prefettura, impugnando con successivi motivi aggiunti taluni ulteriori provvedimenti adottati da altri Enti (A.N.A.C., G.S.E., A.G.E.A., Regione Lazio) in esecuzione della medesima interdittiva. 

Il giudizio di primo grado si concludeva con l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti. 

Il Ministero appellava la sentenza, chiedendone contestualmente la sospensione cautelare degli effetti. 

Il Consiglio di Stato accoglieva l’istanza cautelare. 

Nelle more del giudizio d’appello la società cooperativa otteneva l’ammissione al controllo giudiziario volontario ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011 per una durata di due anni, da cui derivava la sospensione degli effetti dell’interdittiva ai sensi del comma 7 del medesimo art. 34-bis

Tuttavia, in virtù della sospensiva cautelare della sentenza di primo grado, A.G.E.A. riteneva di dover portare ad esecuzione l’informazione interdittiva (ancora sub iudice), negando le erogazioni previste dai programmi operativi di sussidio rurale e preannunciando le azioni recuperatorie delle somme già erogate. 

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All’esito del giudizio di secondo grado, il Consiglio di Stato accoglieva l’appello, confermando di conseguenza l’interdittiva ed i provvedimenti impugnati in primo grado.

A seguito della sentenza amministrativa di secondo grado, pur essendo ancora in itinere il controllo giudiziario volontario, venivano adottati una serie di atti esecutivi dell’interdittiva antimafia, divenuta ormai definitiva; cosicché, in particolare: 

– il Mediocredito Centrale- Banca del Mezzogiorno S.p.A. comunicava alla società cooperativa la «revoca del provvedimento agevolativo concesso in favore dell’impresa beneficiaria finale e contestuale invito di pagamento di una somma rapportata all’equivalente sovvenzione lordo – E.S.L.»;

– l’A.N.A.C. comunicava l’avvenuta segnalazione e l’inserimento nel Casellario della relativa annotazione integrativa; 

– con nota prot. n. 92628/2022 la Prefettura riteneva superata l’ammissione della misura di prevenzione patrimoniale del controllo giudiziario ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011 sulla scorta dell’intervenuta reiezione del gravame proposto avverso l’informazione interdittiva a monte;

– il G.S.E. comunicava di voler mantenere sospesa in via cautelativa l’erogazione degli importi di cui alla Convenzione per il riconoscimento delle tariffe incentivanti, «in attesa delle determinazioni che le Autorità […] intenderanno assumere a valle dei propri approfondimenti»;

– la Regione Lazio disponeva la revoca del riconoscimento di organizzazione di produttori alla società cooperativa, revocando di conseguenza l’approvazione del programma operativo 2013-2017 e 2018-2022 e disponendo di non approvare il programma operativo 2023-2025.

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Con ricorso integrato da motivi aggiunti, la società cooperativa impugnava dinanzi al TAR del Lazio tutti i predetti provvedimenti adottati in esecuzione dell’interdittiva antimafia, deducendo che gli stessi fossero stati adottati nel periodo in cui il controllo giudiziario volontario non risultava ancora concluso.

Con sentenza n. 9672/2023, il T.A.R. rigettava il ricorso, ritenendo che il controllo giudiziario volontario non potesse produrre alcun effetto sospensivo sui rapporti pregressi, cui gli atti impugnati si riferivano, incisi dall’interdittiva prima del decreto adottato dal giudice penale ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011.  

La società cooperativa appellava la predetta sentenza, deducendo l’erronea applicazione da parte del primo giudice della disciplina normativa di cui all’art. 34-bis del Codice antimafia. 

Costituendosi in giudizio, l’A.N.A.C., il Ministero dell’Interno ed il Ministero dell’agricoltura proponevano appello incidentale, asserendo la violazione dei termini a difesa di cui agli artt. 46 e 71, comma 3, c.p.a., la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4) c.p.c. per difetto di motivazione ed altri profili di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in primo grado. 

Con la sentenza in commento, il Collegio, nel dichiarare inammissibile ed infondato l’appello incidentale, ha accolto l’appello principale, rilevando l’illegittimità dei provvedimenti gravati in prime cure per violazione della disciplina di cui all’art. 34-bis, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 159/2011. 

Fornendo un’apprezzabile ricostruzione dei (controversi) rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario volontario, i giudici amministrativi evidenziano che «tutti i provvedimenti gravati in prime cure sono stati adottati in data successiva al 27 aprile 2022 (id est all’ammissione al controllo giudiziario). Tanto basta a ritenere operante, nella vicenda de qua, il disposto del comma 7 dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, restando del tutto irrilevante, per quanto qui più interessa, che il giudizio amministrativo avente ad oggetto l’informazione interdittiva antimafia si sia, nelle more, concluso con sentenza definitiva di questo Consiglio che ha respinto il ricorso proposto avverso di essa».

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Rimandando ad altra sede la disamina dei profili processuali emergenti dalla pronuncia in commento, inerenti alle motivazioni sottese al rigetto dell’appello incidentale, si svolgeranno alcune considerazioni sulle questioni sostanziali affrontate dai giudici di Palazzo Spada nella soluzione della res controversa.  

Invero, la statuizione de qua, pur inserendosi lungo il solco tracciato dalla giurisprudenza amministrativa prevalente, consente di mettere in luce taluni profili problematici ancora irrisolti nel rapporto tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario volontario, sui quali i giudici sono a tutt’oggi chiamati ad intervenire per colmare le lacune del quadro normativo vigente. 

2. Brevi cenni sul quadro normativo in materia di prevenzione antimafia. 

Il sistema della prevenzione antimafia rappresenta da sempre un ambito complesso e controverso, connotato da una forte tensione tra diritti ed interessi fondamentali, di egual rango costituzionale. 

L’obiettivo primario di contrastare il rischio dell’infiltrazione criminale e mafiosa nel circuito economico legale è stato perseguito dal legislatore attraverso strumenti (fisiologicamente) afflittivi per le imprese, idonei a comprimere valori altrettanto importanti per l’ordinamento, in primis la libertà d’impresa di cui all’art. 41 Cost. 

Tale tensione diviene ancor più pressante ove si consideri che il sistema della prevenzione antimafia trova concreta applicazione anche (e soprattutto) nel settore dei contratti pubblici, con precipuo riferimento alle imprese affidatarie ritenute a rischio di permeabilità mafiosa, rischiando così di paralizzare l’esecuzione delle commesse pubbliche e di annichilire buona parte del tessuto imprenditoriale del Paese.   

Com’è noto, tale problematica è stata particolarmente avvertita nell’ultimo periodo, specie a seguito della crisi derivante dalla pandemia di Covid-32, frapponendosi alla tempestiva attuazione delle riforme e degli interventi previsti dal PNRR, strumentali a consentire il rilancio del sistema economico del Paese. 

Ciò spiega, almeno in parte, la ragione per cui la normativa della prevenzione antimafia, contenuta nel d.lgs. n. 159/2011 (c.d. “Codice antimafia”), sia stata oggetto nel corso degli anni di importanti riforme, il cui filo conduttore è stato di mitigare progressivamente l’afflittività delle misure ivi previste, quantomeno nella risposta primaria dello Stato ai fenomeni di infiltrazione più “blandi”, attraverso una graduazione dell’intensità delle misure di prevenzione in maniera proporzionale al livello di contaminazione criminale dell’impresa. 

Per molto tempo, il sistema della prevenzione antimafia è stato incentrato, sul versante amministrativo, sull’istituto dell’interdittiva antimafia, la cui finalità è quella di estromettere dal circuito economico le imprese indiziate – sulla scorta di una valutazione prettamente discrezionale, indiziaria e probabilistica del Prefetto – di essere assoggettate a condizionamenti mafiosi

Pur se concepita originariamente come misura di prevenzione settoriale, destinata ad incidere sulla sola capacità contrattuale dell’impresa nei confronti della pubblica amministrazione, l’interdittiva antimafia ha assunto progressivamente una portata ben più ampia, estendendo i propri effetti anche alla revoca delle autorizzazioni e delle concessioni strumentali all’esercizio dell’attività economica, determinando così una sorta di “prigionia legale” dell’impresa, di fatto impossibilitata ad esercitare la propria attività anche nei rapporti interprivati. 

Sicché, pur se astrattamente circoscritta ad un arco temporale massimo di 12 mesi, l’interdittiva è destinata sovente a produrre effetti devastanti ed «esiziali» per la compagine societaria, determinandone nel breve periodo la scomparsa, con tutte le gravi conseguenze che ne derivano sul piano economico ed occupazionale.

Con il passare del tempo, il sistema antimafia è andato strutturandosi in una prospettiva non solo “multidisciplinare” – secondo un “doppio binario” di misure amministrative (di competenza del Prefetto) e giudiziarie (di competenza del giudice penale) – ma anche “progressiva”, arricchendosi di misure ad intensità variabile e proporzionalmente calibrate alla gravità dell’inferenza mafiosa sulla compagine societaria.

Ad un primo livello si pongono le misure applicabili alle fattispecie integrate da tentativi di infiltrazione mafiosa riconducibili a fenomeni di «agevolazione occasionale», tra cui rientra il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011, di competenza del Tribunale di prevenzione, e la prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis del Codice antimafia, di competenza del Prefetto. 

Ai sensi del citato art. 34-bis, il controllo giudiziario ha una durata compresa tra uno e tre anni e può essere disposto dal giudice penale sia d’ufficio (ex comma 1), che su richiesta dell’impresa già destinataria di interdittiva che abbia preventivamente impugnato tale provvedimento dinanzi al giudice amministrativo (ex comma 6). In tal caso, ai sensi del comma 7 dell’art. 34-bis, dall’ammissione al controllo giudiziario deriva la sospensione degli effetti dell’interdittiva di cui all’art. 94 del d.lgs. n. 159/2011. 

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Contrariamente all’interdittiva antimafia, il controllo giudiziario volontario di cui al comma 6 consente all’impresa di continuare a svolgere la propria attività sotto l’egida di un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale, con funzioni di “tutoraggio” e controllo.  

Il controllo giudiziario è stato perciò inteso come misura “dinamica” e temporalmente circoscritta, attraverso cui l’impresa viene immessa in un percorso di recupero, volto alla definitiva bonifica dalle contaminazioni criminali occasionali ed al suo pieno recupero nel mercato legale. 

In particolare, «l’essenza del controllo giudiziario è stata rintracciata nel perseguimento di una finalità dinamica tendente al risanamento dell’impresa nella peculiare ipotesi in cui l’agevolazione sia occasionale e vi siano, pro futuro, concrete possibilità che essa compia un fruttuoso cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi di controlli e sollecitazioni».

La misura in esame si pone al guado tra prevenzione penale ed amministrativa, rappresentando una fattispecie normativa complessa caratterizzata dall’intervento di una pluralità di Autorità (amministrative e giurisdizionali). Ciò, come si vedrà, pone notevoli problematiche applicative e di coordinamento tra i diversi ambiti della prevenzione antimafia, in mancanza di un’apposita disciplina normativa.

Restando sempre al primo livello delle misure antimafia, il coacervo degli istituti preventivi si è arricchito, sul versante amministrativo, con la prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011, introdotta con la riforma del 2021 al precipuo fine di mitigare la risposta amministrativa di prevenzione antimafia nelle ipotesi meno gravi di inferenza criminale, limitando così il ricorso alla misura interdittiva. 

La prevenzione collaborativa può essere disposta dal Prefetto ove i tentativi di infiltrazione mafiosa siano riconducibili a situazioni di agevolazione “solo” occasionale e consiste nell’imposizione di oneri comunicativi e organizzativi in capo all’impresa, alla quale viene consentita la continuità della propria attività.  

Emerge, dunque, prima facie che controllo giudiziario e prevenzione collaborativa, pur avendo una diversa natura (rispettivamente, giudiziaria ed amministrativa), siano connotati da uguali presupposti e finalità, essendo dinamicamente preordinati alla bonifica dell’impresa esposta ad un’agevolazione mafiosa occasionale, consentendo a quest’ultima di esercitare la propria attività nell’ambito di un percorso di pieno recupero alla legalità.  

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Orbene, la previsione di un sistema fondato sul doppio binario, amministrativo e giudiziario, ha posto numerosi problemi applicativi nel rapporto tra i diversi istituti, difettando un’apposita normativa di coordinamento. 

Tralasciando per il momento di considerare le questioni poste dall’introduzione della prevenzione collaborativa, che come si vedrà è andata ad alterare gli equilibri (già instabili) delineati in sede giurisprudenziale, la sentenza in commento impone di soffermarsi sulle annose problematiche inerenti al rapporto tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario volontario. 

Infatti, si sono posti in sede applicativa notevoli problemi di coordinamento logico-giuridico-temporale tra gli istituti in esame, da qui sono sovente scaturite torsioni applicative, se non veri e propri paradossi, contrastanti con la ratio e con le finalità sottese al sistema di prevenzione delineato dal legislatore. 

Tali questioni hanno imposto una massiccia attività suppletiva da parte della giurisprudenza, sia penale che amministrativa, chiamata a riportare a coerenza l’applicazione delle misure antimafia, colmando le lacune lasciate dal legislatore. 

3. Il controverso rapporto tra controllo giudiziario volontario ed interdittiva antimafia, a partire dall’incerta perimetrazione dei presupposti applicativi previsti dalla legge.

Nel delineare i rapporti tra controllo giudiziario volontario ed interdittiva antimafia, una prima questione problematica si pone, già a monte, in merito alla perimetrazione dei presupposti applicativi previsti dalla legge, la cui valutazione è demandata ad Autorità diverse, appartenenti ai diversi plessi amministrativi e penali, con conseguente rischio che sulla medesima vicenda si giunga a valutazioni diverse e contrastanti da parte dei soggetti istituzionalmente preposti.

Come si è visto, infatti, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, l’accesso al controllo giudiziario volontario può essere disposto dal Tribunale di prevenzione, su richiesta dell’impresa già attinta da interdittiva che abbia già impugnato tale provvedimento dinanzi al Giudice amministrativo, «ove ne ricorrano i presupposti», individuati dal comma 1 nella sussistenza di un’agevolazione mafiosa occasionale. 

Ci si è interrogati, dunque, sull’effettiva portata dei poteri di cognizione del giudice penale rispetto all’accertamento del presupposto della occasionalità dell’agevolazione mafiosa, vieppiù in presenza di una valutazione sui medesimi fatti già effettuata dal Prefetto che ha disposto l’interdittiva antimafia.

Sul punto, la disciplina normativa risulta alquanto generica, limitandosi a prevedere che il Tribunale, prima di pronunciarsi sull’istanza di ammissione al controllo giudiziario volontario, debba sentire anche il Prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva, senza precisare alcunché in merito alla concreta incidenza delle valutazioni prefettizie sulla decisione che il giudice penale è chiamato ad assumere.   

Tale questione, in realtà, era stata affrontata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2019, le quali avevano messo in luce che la valutazione del giudice penale adito sul controllo giudiziario volontario deve muovere dall’accertamento dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa, per poi soffermarsi prevalentemente su una valutazione prognostica circa l’effettiva idoneità della misura richiesta a consentire il risanamento dell’ente dalle contaminazioni criminali.      

La pronuncia delle Sezioni Unite, tuttavia, è stata diversamente interpretata dalla giurisprudenza, sia penale che amministrativa, in riferimento alla portata da riconoscere alla verifica “iniziale” del giudice penale sulla sussistenza dell’agevolazione mafiosa occasionale. 

Un primo (e prevalente) orientamento ha ridimensionato fortemente l’alveo di accertamento del giudice penale sulla sussistenza della permeabilità mafiosa, ritenendo tale requisito già acclarato dall’autorità prefettizia, demandando al Tribunale la sola valutazione prognostica sull’effettiva “bonificabilità” dell’impresa.  

Al riguardo, è stato rilevato che «stante l’autonomia tra le due procedure – il Giudice della prevenzione non deve “sindacare” il contenuto della misura prefettizia, ma deve limitarsi a verificare, proceduralmente, che la stessa sia stata impugnata in sede amministrativa, e a verificare con un giudizio prognostico, se il libero svolgimento dell’attività economica possa determinare in favore dei soggetti interessati una agevolazione di consistenza inidonea a legittimare l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, e se sussista la concreta possibilità che l’impresa, in forza delle specifiche misure e prescrizioni applicate dal provvedimento di controllo giudiziario, possa riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose»

Dunque, la valutazione del giudice penale deve necessariamente muovere dal presupposto dell’agevolazione mafiosa, già cristallizzata nella valutazione prefettizia, dovendo all’uopo verificare se, in una prospettiva dinamica e rivolta al futuro, l’impresa possa essere effettivamente bonificata e restituita al libero mercato all’esito del percorso di risanamento previsto dall’art. 34-bis.

Tale tesi, pur evidentemente restrittiva dei poteri di cognizione del giudice penale, è animata dall’esigenza di scongiurare il rischio di valutazioni divergenti da parte del Tribunale e del Prefetto rispetto al dato della permeabilità mafiosa dell’impresa, evitando soprattutto il corto circuito istituzionale, già emerso nella prassi, per cui il Tribunale penale possa giungere a rigettare la richiesta di ammissione al controllo giudiziario per insussistenza in capo all’impresa (già attinta da interdittiva) di qualsivoglia contaminazione mafiosa, anche solo occasionale.

Un diverso orientamento, recentemente sostenuto dalla Corte di Cassazione, è incline a riconoscere al giudice di prevenzione poteri di cognizione pieni, estesi anche all’accertamento della sussistenza dell’agevolazione mafiosa occasionale, escludendo per l’effetto che il Tribunale debba all’uopo «considerare intangibili le valutazioni espresse dall’organo di prevenzione amministrativa».

Tale tesi, sia pur astrattamente idonea a condurre nella prassi a valutazioni divergenti da parte delle diverse Autorità, risulta anzitutto maggiormente conforme al dettato normativo dell’art. 34-bis, che invero impone al giudice della prevenzione di ammettere l’impresa al controllo giudiziario in presenza dei presupposti previsti dal comma 1, senza in alcun modo limitare l’accertamento rispetto ai fatti già valutati dalla Prefettura.

L’orientamento in esame risulta, inoltre, maggiormente in linea con il principio espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella misura in cui i giudici di legittimità non avevano affatto espunto dalla valutazione del Tribunale la verifica sulla sussistenza dell’agevolazione mafiosa, affiancando ad essa il momento (ritenuto centrale) della valutazione prognostica di effettiva bonificabilità dell’impresa.

Senza considerare che, a seguito dell’introduzione della prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis, continuare a sostenere l’intangibilità in sede penale della valutazione compiuta dal Prefetto condurrebbe ad un effetto sostanzialmente abrogativo del controllo giudiziario volontario, atteso che il Tribunale dovrebbe limitarsi a prendere atto della valutazione con cui il Prefetto, adottando l’informativa antimafia, ha ritenuto insussistente un’agevolazione solo occasionale in capo all’impresa, in presenza della quale invero avrebbe dovuto adottare la più mite misura della prevenzione collaborativa.  

Sicché, risulterebbe escluso già a monte il requisito dell’agevolazione occasionale, con la conseguenza che il Tribunale non potrebbe fare altro che rigettare sistematicamente le richieste di ammissione al controllo giudiziario formulate ex art. 34-bis, comma 6, del Codice antimafia. 

Si tratta, a ben vedere, di una questione di assoluta rilevanza e tutt’altro che risolta, che lascia aperti risvolti applicativi idonei a mettere in crisi il sistema del doppio binario di prevenzione, per come ad oggi delineato dalla legge. 

Invero, ammettere la possibile sovrapposizione (da parte del Tribunale e del Prefetto) nella valutazione del requisito della agevolazione mafiosa (occasionale o meno) conduce a cascata a possibili interferenze anche sul piano giudiziario, in vista del sindacato di legittimità che il giudice amministrativo è chiamato a compiere sull’interdittiva antimafia (la cui impugnazione costituisce un presupposto legale di ammissione al controllo giudiziario volontario).  

È chiaro, infatti, che l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario volontario, basato sull’accertamento di un’agevolazione mafiosa solo occasionale, mette in discussione la correttezza della valutazione del Prefetto che, al contrario, abbia negato la sussistenza di tale presupposto provvedendo all’adozione della più grave misura interdittiva. Circostanza di cui il giudice amministrativo non potrà non tener conto.   

Sul punto, risulta quantomeno non più attuale il principio giurisprudenziale per cui l’ammissione dell’impresa ricorrente al controllo giudiziario volontario non costituisce circostanza rilevante ai fini del sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell’interdittiva prefettizia, riferendosi a profili d’indagine del tutto distinti. Infatti, tale netta divisione delle valutazioni assunte dal Tribunale di prevenzione e dal giudice amministrativo risulta difficilmente predicabile, sia in concreto che in astratto.

Sotto un primo profilo, è arduo sostenere che le motivazioni addotte dal Tribunale di prevenzione nel disporre l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario volontario non influenzino in alcun modo il giudice amministrativo chiamato a valutare la legittimità dell’interdittiva prefettizia. Tale aspetto è emerso in una recente pronuncia del C.G.A.R.S. che, nel ribadire la piena autonomia tra il giudizio amministrativo (di legittimità sull’interdittiva) e quello penale (di ammissione al controllo giudiziario volontario), ha espressamente considerato «significativi taluni argomenti della parte motiva della pronuncia evocata [del giudice penale, ndr], pur sviluppati ai soli fini del vaglio dei distinti presupposti della misura giurisdizionale di salvataggio. Ciò non deve sorprendere, poiché, per quanto si cerchi, con una certa difficoltà, di distinguere tra i presupposti del controllo giudiziario e i presupposti dell’interdittiva prefettizia, è in qualche misura inevitabile, trattandosi della valutazione degli stessi fatti, che possano esservi di riflesso delle inferenze, sempre che ovviamente il loro apprezzamento sia frutto dell’autonomo giudizio del giudice amministrativo».

Inoltre, la separazione stagna tra le valutazioni assunte dal Tribunale di prevenzione e dal giudice amministrativo non appare più percorribile, nemmeno in astratto, a seguito dell’introduzione della prevenzione collaborativa e del criterio di proporzionalità e progressività che informa il sistema della prevenzione antimafia, per cui il giudice amministrativo può essere chiamato a conoscere dell’illegittimità dell’interdittiva impugnata anche per violazione dell’art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011 e per eccesso di potere, ove sia contestata la mancata adozione, in presenza di una agevolazione solo occasionale, della prevenzione collaborativa in luogo dell’interdittiva impugnata.  

Di talché, il punto di equilibrio delineato dalla giurisprudenza, sia pur già difficilmente realizzabile nella realtà, è destinato a sgretolarsi definitivamente a seguito della riforma legislativa del 2021, rendendo così ormai improcrastinabile un intervento legislativo volto a coordinare, già dal momento della definizione e valutazione dei presupposti applicativi, le misure afferenti al complesso e multiforme sistema della prevenzione antimafia. 

4. Il problematico coordinamento tra gli istituti in esame nelle successive fasi esecutive.

Le difficoltà di coordinamento tra controllo giudiziario volontario ed interdittiva antimafia non si arrestano al momento della definizione e della valutazione dei relativi presupposti applicativi, proiettandosi alle successive fasi esecutive.    

Una questione fondamentale, affrontata anche dalla sentenza in commento, ha riguardato le possibili conseguenze derivanti dal rigetto del ricorso proposto avverso l’interdittiva sul controllo giudiziario ancora in itinere e sugli effetti sospensivi previsti dall’art. 34-bis comma 7 del Codice antimafia.  

Al riguardo, un punto di partenza fondamentale è costituito dai principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 6, 7 e 8 del 2023, laddove i giudici amministrativi, sia pur nella prospettiva processuale di escludere la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità necessaria tra controllo giudiziario volontario e giudizio di impugnazione avverso l’interdittiva antimafia, hanno rimarcato l’assoluta autonomia ed indipendenza che connota i due istituti, di tal guisa da escludere che il rigetto dell’impugnativa proposta avverso l’interdittiva antimafia possa interferire sul controllo giudiziario volontario ancora in itinere, facendo venir meno gli effetti sospensivi previsti dall’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011

A tale impostazione la sentenza in commento ha mostrato piena adesione, valorizzando le ragioni testuali e sistematiche sostenute dalla Plenaria.

È stato all’uopo rimarcato che, sul piano testuale, l’art. 34-bis del Codice antimafia pone l’interdittiva e il controllo giudiziario in un rapporto di sola presupposizione genetica, lasciando aperta la possibilità che i due istituti, riferendosi a momenti e dinamiche diverse di contrasto alla criminalità organizzata, pervengano ad esiti anche divergenti. La disposizione in esame, dunque, non osta a che, pur a fronte di un’interdittiva definitiva e confermata, in punto di legittimità, dal giudice amministrativo, il controllo giudiziario volontario prosegua nel percorso di bonifica dell’impresa, mantenendo i propri effetti sospensivi sull’interdittiva.  

Inoltre, sul piano sistematico, è stato osservato che l’art. 34-bis, comma 7, del Codice antimafia 
non subordina affatto gli effetti sospensivi dell’interdittiva alla perdurante pendenza del giudizio di impugnazione, né tantomeno ne prevede la cessazione immediata in caso di rigetto del ricorso da parte del giudice amministrativo. 

Peraltro, ove si ritenesse che dal rigetto del ricorso derivi automaticamente la cessazione degli effetti sospensivi del controllo giudiziario volontario, si rischierebbe di svuotare di contenuto l’istituto previsto dall’art. 34-bis, atteso che l’impresa beneficiaria verrebbe nuovamente ed improvvisamente esposta ai gravi effetti dell’interdittiva proprio durante il percorso di risanamento già intrapreso, magari proprio nella sua fase finale, vanificando i risultati sino a quel momento raggiunti.

Pertanto, la prospettiva di un possibile rigetto del ricorso da parte del giudice amministrativo renderebbe inutile finanche l’avvio del controllo giudiziario volontario, il quale infatti verrebbe a costituire una parentesi (con mera utilità di sospensione cautelare degli effetti) del giudizio amministrativo di impugnazione dell’interdittiva antimafia, sovrapponendosi (inutilmente e, addirittura, pericolosamente) agli strumenti cautelari azionabili in giudizio. 

Sulla scorta delle predette argomentazioni, con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato ha rilevato l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, i quali erano stati adottati in un momento in cui il controllo giudiziario volontario era ancora in itinere, sull’erroneo convincimento che, essendo nelle more intervenuto il rigetto del ricorso proposto avverso l’interdittiva, quest’ultima fosse divenuta nuovamente efficace. 

La circostanza per cui i provvedimenti impugnati fossero stati adottati successivamente all’ammissione al controllo giudiziario è stata considerata dal Collegio dirimente per considerare operante l’effetto sospensivo di cui all’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011, «restando del tutto irrilevante, per quanto qui più interessa, che il giudizio amministrativo avente ad oggetto l’informazione interdittiva antimafia si sia [fosse, ndr], nelle more, concluso con sentenza definitiva di questo Consiglio che ha respinto il ricorso proposto avverso di essa»

Pertanto, essendo ancora pendente la procedura di bonifica, le amministrazioni resistenti non avrebbero potuto adottare alcun atto esecutivo di un provvedimento (l’interdittiva) in quel momento non efficace, anche in ragione del fatto che ai sensi dell’art. 21-quater, comma 1, della l. n. 241/1990 «l’efficacia è presupposto per l’esecutività del provvedimento (id est l’attitudine dello stesso ad essere portato ad esecuzione)».    

Ciò posto, la pronuncia in commento fornisce talune importanti precisazioni in merito ad un ulteriore profilo controverso, relativo alla portata – retroattiva o pro-futuro – degli effetti sospensivi di cui all’art. 34-bis comma 7 del d.lgs. n. 159/2011.

In passato, la questione è stata a lungo dibattuta in giurisprudenza, soprattutto in riferimento agli effetti prodotti dall’ammissione al controllo giudiziario sulla partecipazione alla gara pubblica dell’impresa già attinta da interdittiva antimafia, trattandosi di verificare se l’ammissione al controllo giudiziario potesse di per se impedire l’esclusione  dalla gara dell’impresa ai sensi dell’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 (all’epoca vigente)

In mancanza di una previsione normativa al riguardo, sono emersi in giurisprudenza due diversi orientamenti. 

Alla stregua di un primo indirizzo, gli effetti sospensivi di cui all’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 si rivolgono soltanto al futuro, non potendo interferire sugli effetti dell’interdittiva già prodottisi in praeterito (ovvero tra l’adozione della misura interdittiva e l’ammissione al controllo giudiziario).

È stato all’uopo rilevato che «il controllo giudiziario […] seppur idoneo a sospendere temporaneamente gli effetti della misura interdittiva, non elimina gli effetti, medio tempore prodotti dall’interdittiva stessa, nei rapporti in corso. Di conseguenza, “l’ammissione (o anche la sola richiesta di ammissione) al controllo giudiziario delle attività economiche e dell’azienda di cui allìart. 34-bis d.lgs. n. 159 del 2011 non ha conseguenze sui provvedimenti di esclusione (anche adottati ai sensi dell’art. 80, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016), i cui effetti contestualmente si producono e si esauriscono in maniera definitiva nell’ambito della procedura di gara interamente considerata, di modo che non vi è possibilità di un ritorno indietro per via della predetta ammissione».

Con la pronuncia in commento, il Consiglio di Stato ha ritenuto che gli effetti sospensivi dell’ammissione al controllo giudiziario agiscono anche retroattivamente, involgendo gli effetti dell’interdittiva prodottisi in praeterito.

A fondamento di tale tesi è stato anzitutto rilevato che, da un punto di vista letterale, l’art. 34-bis, comma 7, del Codice antimafia si limita a prevedere che l’ammissione al controllo giudiziario volontario sospende gli effetti dell’interdittiva antimafia, «senza distinguere tra effetti giuridici prodottisi in praeterito ed effetti giuridici pro futuro (cioè, rispettivamente, prima e dopo la sua adozione)».

Inoltre, sul piano sistematico, è stato evidenziato che «una sospensione ex lege – come quella prevista dal comma 7 dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 – che guardasse, in ipotesi, al solo futuro si discosterebbe in maniera del tutto irragionevole dal suo modello normativo più prossimo rappresentato dalla sospensione cautelare dell’efficacia ex art. 55 e ss. c.p.a. disposta dal giudice amministrativo, la quale, per sua consolidata fisionomia, investe anche (e soprattutto) gli effetti giuridici già prodotti dal provvedimento».   

Peraltro, deve rilevarsi che, con precipuo riferimento alle procedure ad evidenza pubblica, l’art. 94, comma 2, del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023) dispone espressamente che la causa di esclusione integrata dall’adozione dell’interdittiva antimafia «non opera se, entro la data dell’aggiudicazione, l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell’articolo 34-bis del medesimo codice».

Ciò costituisce un’ulteriore conferma che, anche in riferimento alla partecipazione alle procedure di gara, l’ammissione al controllo giudiziario volontario realizza una «sterilizzazione temporanea degli effetti della misura interdittiva anche prodotti in praeterito (e, segnatamente, tra la data di emissione dell’informazione interdittiva antimafia e l’ammissione al controllo giudiziario)»

5. Conclusioni: problematiche ancora aperte nel coordinamento tra le misure di prevenzione antimafia. La recente rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 (TAR Reggio Calabria, Ordinanza n. 646/2024).

La pronuncia in commento assume una rilevanza del tutto significativa nel dibattito dei rapporti tra misure di prevenzione amministrative e penali, riportando taluni principi importanti per la corretta applicazione di istituti solo genericamente disciplinati dal legislatore.  

Ciò nonostante, permangono a tutt’oggi alcune questioni aperte che, afferendo soprattutto alla fase finale di esecuzione degli istituti in esame, rischiano di compromettere la stessa efficacia ed utilità delle misure di prevenzione, pregiudicando in nuce la tenuta del sistema antimafia.

Una volta sostenuta la piena autonomia tra controllo giudiziario volontario ed interdittiva antimafia, resta da capire come gli istituti de quibus si coordino nella fase ultima e conclusiva, allorquando cioè – da un lato – l’interdittiva antimafia risulti definitivamente confermata all’esito del giudizio amministrativo di impugnazione e – dall’altro lato – il controllo giudiziario volontario sia concluso (ovvero sia in fase di conclusione), con esiti positivi per l’impresa.  

Al riguardo, la pronuncia in commento, muovendo anche dalla natura temporanea e (astrattamente) provvisoria dell’interdittiva antimafia, rimarca la funzione fondamentale e di raccordo dei poteri/doveri di aggiornamento attribuiti al Prefetto ex art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159/2011, per cui l’autorità amministrativa è tenuta a verificare, anche su documentata richiesta dell’interessato, la perdurante sussistenza delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa, sulla cui scorta era stata adottata l’interdittiva.

Invero, la valutazione prefettizia di aggiornamento deve necessariamente tener conto dei risultati del controllo giudiziario, i cui esiti favorevoli, pur non potendo autonomamente rilevare come causa sopravvenuta di illegittimità dell’interdittiva in precedenza adottata, rappresentano un elemento fondamentale che il Prefetto è tenuto a considerare nell’accertamento dei presupposti che avevano condotto all’adozione dell’interdittiva

Tuttavia, tali indicazioni, seppur condivisibili in astratto, presentano in concreto una scarsa pregnanza significativa, a fronte della ritrosia sovente mostrata dalle Prefetture nell’esitare tempestivamente le istanze di aggiornamento presentate dalle imprese già attinte da interdittiva e, successivamente, nel concludere le procedure di aggiornamento in senso positivo e liberatorio per l’impresa.  

Ne deriva, evidentemente, oltre che una grave aporia del sistema antimafia, un grave vulnus di tutela nei confronti dell’impresa attinta da interdittiva antimafia che, nonostante la positiva conclusione del percorso di bonifica espletato ai sensi dell’art. 34-bis del Codice antimafia, si ritrova assoggettata alla grave misura interdittiva, venendo così nuovamente (e probabilmente, definitivamente) estromessa dal mercato. 

Tali profili di criticità risultano vieppiù gravi ed evidenti ove si consideri che il legislatore ha trascurato di disciplinare puntualmente i rapporti tra interdittiva e controllo giudiziario volontario nel periodo compreso tra la cessazione (con esito positivo) del controllo giudiziario volontario e la definizione da parte della Prefettura del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia (ove eventualmente attivato). 

Sicché, a fronte dell’automatica reviviscenza degli effetti dell’interdittiva antimafia, l’impresa viene di fatto a trovarsi in uno stato di impasse difficilmente superabile, se non di vera e propria «incondizionata soggezione al potere pubblico», non avendo a disposizione alcuno strumento di tutela idoneo a contrastare i gravi effetti dell’interdittiva ancora valida e (nuovamente) efficace, pur risultando nelle more sanata dagli elementi di contiguità mafiosa in precedenza addotti dal Prefetto. 

Invero, alla luce del quadro normativo vigente, all’impresa è precluso sia impugnare dinanzi al giudice amministrativo l’originaria interdittiva, già coperta da giudicato, sia presentare al Tribunale della prevenzione una nuova istanza di ammissione al controllo giudiziario, non essendo stato possibile, per l’appunto, impugnare (nuovamente) l’interdittiva dinanzi al giudice amministrativo.

Sicché, i gravi pregiudizi derivanti dalla reviviscenza dell’interdittiva potrebbero compromettere irrimediabilmente la prosecuzione dell’impresa, vanificando persino l’eventuale rivalutazione favorevole operata dalla Prefettura in sede di aggiornamento proprio sulla scorta degli esiti positivi emergenti dal controllo giudiziario. 

Di recente, tali profili sono stati condivisibilmente valorizzati dal T.A.R. Reggio Calabria nell’Ordinanza n. 646/2024, con cui i giudici amministrativi hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 proprio nella parte in cui la citata disposizione «non prevede che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario perduri anche con riferimento al tempo, successivo alla sua cessazione, occorrente per la definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, cod. antimafia», inferendone perciò la violazione degli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 8 e 13 della CEDU e 1 del primo protocollo ad essa addizionale.

È interessante notare come il giudice a quo, pur auspicando – de iure condendo – un intervento legislativo idoneo a riportare a coerenza il sistema, ritenga che l’aporia costituzionale segnalata possa essere sanata – de iure condito – attraverso una sentenza additiva della Corte Costituzionale, volta a protrarre temporalmente gli effetti sospensivi dell’efficacia dell’interdittiva fino alla definizione del procedimento di aggiornamento prefettizio previsto dall’art. 91, comma 5, del Codice antimafia.

In attesa della pronuncia del giudice delle leggi, non pare vi siano dubbi sull’esigenza che le problematiche inerenti ai rapporti tra misure di prevenzione amministrative e penali, cui la giurisprudenza ha meritoriamente tentato di sopperire in sede applicativa, siano definitivamente risolte dal legislatore, attraverso un intervento di riforma organico sull’intero sistema di prevenzione antimafia.

Anche perché, come si è sopra anticipato, molte delle soluzioni approntate dalla giurisprudenza risultano oggi inidonee a garantire la certezza del diritto nell’applicazione di misure particolarmente restrittive per le imprese destinatarie, soprattutto a seguito dell’introduzione della prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis, che infatti rende ancor più inestricabile e difficoltoso il quadro normativo vigente. 

Come si è visto, uno dei principali profili problematici è costituito dal fatto che la nuova misura collaborativa rappresenta una duplicazione sul piano amministrativo del già vigente controllo giudiziario volontario, fondandosi su medesimi presupposti, effetti e finalità.

Invero, la prevenzione collaborativa viene considerata come «una sorta di controllo giudiziario senza giudice né amministratore», rappresentando una «misura amministrativa, non più statica, com’era per l’informativa, ma dinamica, speculare rispetto a quella penale».  

Ne deriva che, in virtù del canone di gradualità e proporzionalità che permea il sistema della prevenzione antimafia, l’interdittiva deve essere definitivamente collocata, anche nell’ambito della prevenzione amministrativa, come misura di extrema ratio, adottabile solo ove la permeabilità mafiosa della compagine societaria travalichi la mera «agevolazione occasionale», assumendo connotati più pervasivi e strutturali

Si impone, dunque, in capo all’autorità amministrativa un puntuale accertamento dei presupposti fondanti l’emissione dell’interdittiva antimafia, da svolgere nel pieno contraddittorio con l’impresa interessata, che devono necessariamente essere esplicitati in motivazione.

Contrariamente a quanto sostenuto in passato in riferimento all’interdittiva antimafia, la valutazione che il Prefetto è chiamato a svolgere non assume di certo una portata esclusivamente diagnostica e statica, dovendo di converso proiettarsi in avanti al fine di valutare l’effettiva idoneità della misura a bonificare l’impresa dagli accertati condizionamenti mafiosi occasionali.   

Di qui il rischio, tutt’altro che astratto ed eventuale, che le valutazioni assunte dal Prefetto, culminate nell’adozione dell’interdittiva antimafia sulla scorta dell’asserita sussistenza di una contaminazione mafiosa non solo occasionale, siano smentite dalla decisione del Tribunale di prevenzione che, ripercorrendo il medesimo iter logico-giuridico già seguito dall’autorità prefettizia, ritenga invece di ammettere l’impresa già attinta da interdittiva al controllo giudiziario volontario. 

Emerge, inoltre, il possibile contrasto tra pronunce rese da organi giurisdizionali (id est: Tribunale di Prevenzione e giudice amministrativo), ove si consideri che con l’introduzione della prevenzione collaborativa, il giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso l’interdittiva vede definitivamente estendersi lo spettro del proprio sindacato di legittimità anche all’eccesso di potere, sub specie di difetto di motivazione e/o violazione del principio di proporzionalità, oltre che alla violazione dell’art. 94-bis del Codice antimafia, ove sia contestata in giudizio la mancata verifica e/o dimostrazione da parte del Prefetto della sussistenza di elementi tali da escludere che l’agevolazione mafiosa fosse solo occasionale

Sicché, in sintesi, ammettendo l’impresa al controllo giudiziario volontario, il Tribunale della prevenzione accerta la sussistenza di un’agevolazione occasionale, smentendo – ipso facto – le valutazioni già svolte dal Prefetto (che ha adottato l’interdittiva) e contrastando – potenzialmente – l’apprezzamento del giudice amministrativo, ove quest’ultimo, accertando la sussistenza di un’agevolazione mafiosa non solo occasionale, ritenga legittima l’interdittiva prefettizia. 

La questione, dunque, risulta notevolmente complessa ed inestricabile, in cui il rischio di contrasto tra pronunce rese dai diversi soggetti istituzionali coinvolti nella fattispecie (id est: Prefetto, Tribunale di prevenzione e giudice amministrativo) risulta connaturato alla pura e semplice applicazione degli istituti di prevenzione, per come attualmente disciplinati dal Codice antimafia. 

La problematica di fondo appare costituita dal fatto che il legislatore ha sovrapposto due misure di prevenzione (prevenzione collaborativa e controllo giudiziario volontario) sostanzialmente analoghe, quanto a presupposti, ratio e finalità, ma con natura diversa, cui si interseca ulteriormente la più grave misura interdittiva, rispetto alla quale manca un’adeguata disciplina di coordinamento, formando così un groviglio davvero inestricabile. 

Si auspica, pertanto, un prossimo intervento di riforma normativa, che – da un lato – risolva la duplicazione esistente tra controllo giudiziario volontario e prevenzione collaborativa, diversificandone i presupposti, coordinandone i relativi effetti, o in extrema ratio abrogando una delle due misure, e – dall’altro lato – disciplini puntualmente i rapporti tra controllo giudiziario volontario ed interdittiva antimafia, nelle diverse fasi comprese  tra l’accertamento dei presupposti e la definizione degli effetti, valorizzando e recependo l’importante contributo fornito dalla giurisprudenza (sia penale che amministrativa). 

Sempre che, come appare probabile, sulla vicenda non intervenga nelle more la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità dell’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011, sopperendo, ancora una volta, alle lacune ed alle incertezze di una disciplina normativa ancora lontana dal trovare un’adeguata coerenza.        

 

 Cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 marzo 2024, n. 2515, punto 7 in diritto. 

 Con precipuo riferimento alle imprese affidatarie di contratti pubblici attinte da interdittiva antimafia, l’art. 32, comma 10, del d.l. n. 90/2014 (conv. in l. 114/2014) prevede misure straordinarie di commissariamento dell’impresa, con efficacia circoscritta all’esecuzione della commessa pubblica già affidata, che il Prefetto può adottare ove «sussista l’urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto ovvero dell’accordo contrattuale, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali». Al riguardo, si veda T. Guerini – F. Sgubbi, L’art. 32 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90. Un primo commento, in Dir. pen. cont., 2014.

 Per un esame più approfondito dell’istituto dell’interdittiva antimafia, si veda, senza pretesa di esaustività: T. Passarelli, Interdittive antimafia e prevenzione collaborativa: azioni di contrasto al crimine organizzato tra incertezze legislative e discrezionalità applicativa, in Federalismi.it, 10/2024, 150 ss.; M. Cocconi, Il perimetro del diritto al contraddittorio nelle informazioni interdittive antimafia, in Federalismi.it, 2022; F. Figorilli – W. Giulietti, Contributo allo studio della documentazione antimafia: aspetti sostanziali, procedurali e di tutela giurisdizionale, inFederalismi.it, 14/2021; G. Amarelli – S. Sticchi Damiani, Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019; C. Miccichè, L’azione di contrasto preventivo alla criminalità mafiosa e le informazioni antimafia interdittive: tra legalità ed efficacia, in Jus, 2019, 36; F.G. Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in Giustamm.it, 6/2018; N. Durante, L’interdittiva antimafia, tra tutela anticipatoria ed eterogenesi dei fini, in www.giustizia-amministrativa.it, 2018; M. Mazzamuto, Profili di documentazione amministrativa antimafia, in Giustamm.it, 3/2016; 56 ss.; G. D’Angelo, La documentazione antimafia nel D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159: profili critici, in Urb. e app., 3/2013, 256 ss. 

 Di recente è stato ribadito il principio invalso in giurisprudenza, per cui «la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire una ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343)» (cfr. T.A.R. Palermo, Sez. I, 22 dicembre 2023, n. 3828; T.A.R. Reggio Calabria, 16 marzo 2023, n. 242).

 Al riguardo, Cass. Pen., Sez. I, 8 maggio 2023, n. 19154, ha rilevato che l’interdittiva antimafia determina «una particolare forma di incapacità giuridica ex lege, limitata ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione specificamente indicati dalla legge e prevista a tutela del valore, costituzionalmente garantito, della libertà di impresa e del principio di legalità sostanziale».

 Con la sentenza n. 57/2020, la Corte Costituzionale ha sostenuto la conformità costituzionale dell’interdittiva antimafia, in ragione, non solo della centralità che il contrasto del fenomeno mafioso assume nell’ordinamento, ma anche della natura necessariamente provvisoria della misura, circoscritta a 12 mesi, che ne costituisce un correttivo indefettibile, cui discende in capo al Prefetto l’obbligo di aggiornamento ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159/2011.

 In tali termini, M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario, in www.giustiziainsieme.it, 2022. 

 Vieppiù ove si consideri che la giurisprudenza amministrativa ritiene diffusamente che dal decorso del termine annuale di cui all’art. 86 non derivi ipso facto la decadenza dell’interdittiva, bensì l’obbligo del Prefetto di procedere ai sensi dell’art. 91 del Codice antimafia ad una nuova verifica sulla persistenza delle circostanze ritenute rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa (cfr. ex plurimis T.A.R. Palermo, Sez. I, 16 luglio 2024, n. 2247). Peraltro, come rilevato da M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziarioop. cit., il quadro è reso ancor più complicato dal fatto che, nella realtà, all’esito delle procedure di riesame avviate ex art. 91, comma 5, le interdittive antimafia vengono tendenzialmente confermate dalle Prefetture.

 Disposizione introdotta dall’articolo 11, comma 1, della legge 17 ottobre 2017, n. 161.

 Il controllo giudiziario volontario si realizza attraverso la modalità più incisiva, prevista dal comma 2 lett. b) dell’art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011, con la nomina di un amministratore giudiziario con compiti di monitoraggio dell’attività d’impresa e di rendicontazione degli esiti del controllo al giudice delegato ed al pubblico ministero.   

 Cfr. art. 34-bis, commi 2 lett. b) e 3, del d.lgs. n. 159/2011. 

 Cfr. T.A.R. Reggio Calabria, 28 ottobre 2024, Ordinanza n. 646.

 G. Amarelli, La Cassazione riduce i presupposti applicativi del controllo giudiziario volontario ed i poteri cognitivi del giudice ordinario (a margine della sent. Cass, Pen., II, n. 9122 del 2021), in Sistema penale, 2021, definisce il controllo giudiziario come «un delicatissimo istituto cerniera, in cui trovano risoluzione equilibrata le possibili frizioni tra la giurisdizione amministrativa e la giurisdizione ordinaria».

 Si fa riferimento, in particolare, all’articolo 49, comma 1, del d.l. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 2021, n. 233.

 Cfr. T.A.R. Reggio Calabria, 3 maggio 2023, n. 392.

 Cfr. Cass. Pen., S.U., 11 novembre 2019, n. 46898.

 Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 16 luglio 2021, n. 27704, nella parte in cui è stato rilevato che nel decidere sull’istanza di ammissione al controllo giudiziario volontario, il Tribunale penale «deve tener conto dell’accertamento di quello stesso prerequisito effettuato dall’organo amministrativo con l’informazione antimafia interdittiva, che rappresenta, pertanto, il substrato della decisione del giudice ordinario». 

 Cfr. T.A.R. Napoli, Sez. I, 23 maggio 2023, n. 3125; T.A.R. Palermo, Sez. I, 22 dicembre 2023, n. 3828. In termini analoghi, si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità, tra cui in particolare: Cass. Pen., Sez. II, 28 gennaio 2021, n. 9122; Cass. Pen., Sez. VI, 2 agosto 2021, n. 30168; Id., 16 luglio 2021, n. 27704.

 In tali termini si è espressa anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 6/2023, nella parte in cui è stato rilevato che il controllo giudiziario «muove dal presupposto accertato dal Prefetto in sede di informazione antimafia, ma si basa su un’autonoma valutazione prognostica del tribunale della prevenzione penale che si propone di pervenire al suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso non sia considerato a ciò impeditivo».

 Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 11 aprile 2023, n. 15156. Negli stessi termini, anche Cass. Pen., Sez. V, 9 aprile 2021, n. 13388.

 Così, anche E. Birritteri, Accertamento dell’infiltrazione criminale nell’ente e controllo giudiziario volontario, in Giur. it., 2023, 1647 ss.  

 Cfr. E. Birritteri, Accertamento dell’infiltrazione criminale nell’ente e controllo giudiziario volontarioop. cit., 1654.

 Sul tema dei possibili (e reciproci) condizionamenti tra le valutazioni assunte dal Tribunale della prevenzione e dal giudice amministrativo, si veda C. Cappabianca, Gli effetti sul giudizio amministrativo del controllo giudiziario delle aziende ex art. 34-bis, comma 6, d.lg. n. 159/2011: dopo l’Adunanza Plenaria n. 7/2023, in Dir. proc. amm., 4, 2023, 743 ss.; A. Giacalone, Informazione interdittiva antimafia e controllo giudiziario: analisi del rapporto esistente fra i due istituti e demarcazione dei relativi presupposti, in www.giustiziainsieme.it, 2024.     

 Al riguardo, nella sentenza n. 7/2023, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha sostenuto che «nel sistema amministrativo di prevenzione penale, ora informato al principio di gradualità, l’occasionalità dell’agevolazione mafiosa originaria può in ipotesi costituire ragione di illegittimità dell’informativa a carattere interdittivo, in ragione dell’alternativa costituita dalle misure meno invasive introdotte con il medesimo art. 94-bis».

 Cfr. Cons. St., Sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049. 

 Cfr. C.G.A.R.S., Sez. giur., 4 gennaio 2023, n. 13.

 Sul tema, si veda M.A. Sandulli, Rapporti tra il giudizio sulla legittimità dell’informativa antimafia e l’istituto del controllo giudiziario, in L’Amministrativista, 2022.

 È all’uopo significativo il passaggio della sentenza n. 6/2023 in cui la Plenaria evidenzia che «Nessuno degli effetti previsti dall’art. 34-bis, comma 7, presuppone tuttavia che il giudizio sull’interdittiva rimanga pendente. Come in precedenza accennato, tali effetti sono del tutto compatibili con la conseguita inoppugnabilità di quest’ultima, all’esito del rigetto della relativa impugnazione. Una volta accertata l’esistenza di infiltrazioni mafiose, quand’anche in via definitiva, si permette nondimeno all’impresa di risanarsi, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria penale».

 L’una (interdittiva) rivolta al passato; l’altra (controlllo giudiziario) rivolta al futuro.

 L’una (interdittiva) volta ad escludere dal mercato l’impresa assoggettata ad inferenze mafiose; l’altra (controllo giudiziario) volta a realizzare la bonifica della compagine aziendale, consentendo la continuazione dell’attività d’impresa.  

 Cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 2515/2024, punto 7 in diritto. 

 Cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 2515/2024, punto 7.1 in diritto.

 In particolare, l’art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 prevedeva che «Costituisce altresì motivo di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall’articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, del medesimo decreto. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con riferimento rispettivamente alle comunicazioni antimafia e alle informazioni antimafia. Resta fermo altresì quanto previsto dall’articolo 34-bis, commi 6 e 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159».

 Si tratta del formante invalso in giurisprudenza, soprattutto sotto la vigenza del vecchio codice dei contratti pubblici, cui aveva aderito anche la sentenza di primo grado riformata dalla pronuncia in commento, nella parte in cui era stato sostenuto che «Diversamente opinando, infatti, verrebbe meno la finalità della interdittiva antimafia, che è quella di tutelare il rapporto con l’amministrazione da eventuali e probabili forme di infiltrazioni mafiose che inquinano l’economia legale, alterano il funzionamento della concorrenza e costituiscono una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica» (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. V, 7 giugno 2023, n. 9672). 

 Cfr. T.A.R. Napoli, Sez. IV, 14 marzo 2023, n. 1669; Cons. St., Sez. V, 22 settembre 2023, n. 8481. Con precipuo riferimento al settore dei contratti pubblici, ne deriva che la sospensione degli effetti dell’interdittiva conseguente all’ammissione al controllo giudiziario «costituisce un rimedio volto a consentire all’impresa che ne beneficia di partecipare alle procedure di appalto successivamente indette, ma non anche a sanare la partecipazione dell’operatore economico non degno di entrare in contatto con la Stazione appaltante per il possibile condizionamento criminale a cui potrebbe essere condizionata la sua offerta contrattuale, atteso che, in caso contrario, si darebbe paradossalmente ingresso, nel mercato degli appalti pubblici, all’apprezzamento di una proposta contrattuale predisposta precedentemente all’insediamento dell’amministratore giudiziario, cioè prima dell’avvio di quel controllo a cui l’art. 34 bis, d.lgs. n. 159/2011 subordina la sospensione degli effetti interdittivi» (T.A.R. Napoli, n. 1669/2023, cit.). 

 Cfr. Cons. St., Sez. V, n. 2515/2024, punto 7.1 in diritto. 

 Cfr. Cons. St., Sez. V, n. 2515/2024, punto 7.1 in diritto. 

 Sul tema, si veda anche R. Rolli, L’interdittiva antimafia: misure di prevenzione connesse e controllo giudiziario, in Dir. dell’econ., n. 2/2024, 31 ss.

 Cfr. Cons. St., Sez. V, n. 2515/2024, punto 7.3 in diritto.

 Sull’obbligo del Prefetto di esitare l’istanza di aggiornamento proposta dall’impresa ex art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159/2011, si veda T.A.R. Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68, con nota di R. Rolli – M. Maggiolini, Atomo scisso e silenzio prefettizio: tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario (nota a TAR Reggio Calabria, 25 gennaio 2024, n. 68), in www.giustiziainsieme.it, 2024.

 Si veda, al riguardo, T.A.R. Reggio Calabria, 5 luglio 2023, n. 598, laddove i giudici amministrativi, nel delineare puntualmente i momenti valutativi che connotano il potere prefettizio di aggiornamento dell’interdittiva, hanno rilevato che «il venire meno delle circostanze rilevanti di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo in sé ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venire meno la portata sintomatica, in quanto ne controbilanciano, smentiscono o superano la forza indiziante (v. Cons. Stato, sez. III, 21 maggio 2021, n. 3915; TAR Napoli, sez. I, 11 maggio 2021 n. 3113)».

 Si veda, tra le tante, T.A.R. Palermo, Sez. I, 22 dicembre 2023, n. 3828, laddove è stato ribadito il principio di diritto per cui «la conclusione favorevole del controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 non è di per sé ostativa a che il Prefetto, in sede di aggiornamento dell’informativa, possa confermare l’informativa antimafia disposta antecedentemente alla sottoposizione al controllo, poiché non può sostenersi che la pronuncia del giudice della prevenzione penale produca un accertamento vincolante o condizionante sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata (Cons. Stato Sez. III, 4 febbraio 2021, n. 1049, 11 gennaio 2021, n. 319 e 16 giugno 2022, n. 4912)…” (Consiglio di Stato, Sez. III, 8 maggio 2023, n. 4587, punto 7.3.2)». Negli stessi termini, anche il TAR Lazio, Sez. III-ter, 24 ottobre 2023, n. 15775, ha rilevato che anche a seguito della positiva conclusione del controllo giudiziario, il giudizio sulla persistenza dei pericoli di infiltrazione mafiosa continua ad essere rimesso al Prefetto, «il quale, una volta intervenuta la misura del controllo, potrebbe valutare l’esito positivo dello stesso, quale sopravvenienza rilevante ai fini dell’aggiornamento e della rivalutazione dell’interdittiva prefettizia, pur restando libero di confermare il provvedimento interdittivo originario».

 Al riguardo, nella pronuncia in commento, i giudici evidenziano che la valutazione svolta dal Prefetto ex art. 91, comma 5, del Codice antimafia «andrà condotta in contraddittorio secondo il canone della collaborazione e buona fede ex art. 1, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990 e dovrà concludersi con una determinazione sorretta da congrua ed adeguata motivazione che prenda in considerazione il novum rappresentato dall’esito della procedura di controllo giudiziario». 

 In tali termini si è espresso il T.A.R. Reggio Calabria nell’ordinanza 28/10/2024 n. 646, con cui è stata sollevata questione di legittimità Costituzionale dell’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 per violazione degli artt. 3, 4, 24, 41, 97, 111, 113 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6, 8 e 13 della CEDU e 1 del primo protocollo ad essa addizionale.

 Cfr. G. Veltri, La prevenzione antimafia collaborativa: un primo commento, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022.

 Cfr. G. Veltri, La prevenzione antimafia collaborativa: un primo commentoop. cit.

 Come sostenuto dal T.A.R. Reggio Calabria nella sentenza 3 maggio 2023 n. 392, con l’introduzione della prevenzione collaborativa di cui all’art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011 viene a delinearsi «un nuovo modello collaborativo con il mondo produttivo che modula l’afflittività della misura preventiva antimafia in relazione all’effettivo grado di compromissione dell’impresa rispetto al contesto criminale». 

 Al riguardo, si segnala la sentenza del T.A.R. Reggio Calabria, 5/7/2023, n. 598, laddove i giudici amministrativi hanno dichiarato l’illegittimità dell’interdittiva adottata dal Prefetto all’esito dell’aggiornamento di cui all’art. 91, comma 5, ritenendo che in quel caso l’autorità amministrativa non avesse adeguatamente «chiarito se gli elementi valorizzati in sede di riesame dal ricorrente possano valere in subordine a ricondurre, dequotandoli, i tentativi di infiltrazione mafiosa a situazioni di agevolazione non più cronica ma occasionale, favorendo l’avvio di un percorso di “decontaminazione” della società onde restituirla al libero mercato attraverso gli strumenti di controllo, diretti o indiretti, previsti dalla norma recentemente introdotta nell’ordinamento».



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