Brasile, l’ex presidente Bolsonaro incriminato dalla Procura per il tentato golpe contro Lula

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Rinviato a giudizio con altri 33 imputati. Il procuratore Gonet: «Dopo le elezioni del 2022 approvò il piano per avvelenare l’attuale presidente». In caso di condanna rischia più di 28 anni di carcere

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L’ex presidente del Brasile Jair Bolsonaro è stato incriminato dalla Procura generale della Repubblica (Pgr) per il suo presunto coinvolgimento nel tentativo di colpo di Stato volto a impedire l’insediamento di Luiz Inacio Lula da Silva dopo le elezioni del 2022. Dopo circa tre mesi di analisi delle prove raccolte dalla Polizia federale (Pf), il titolare della Pgr, Paulo Gonet, ha deciso di rinviare a giudizio Bolsonaro e altri 33 imputati: l’ex presidente, ha dichiarato Gonet, era a conoscenza e ha approvato un piano per avvelenare il suo successore e attuale presidente. Ora spetta alla Corte suprema (Supremo tribunal federal, Stf) valutare il dossier e stabilire se ci sono elementi sufficienti per avviare un processo penale. In caso di condanna, Bolsonaro rischia una pena superiore ai 28 anni di carcere. Le accuse per l’ex presidente sono: associazione a delinquere armata, tentativo di sovversione violenta dell’ordine democratico, colpo di Stato, danneggiamento aggravato con violenza, minaccia grave ai beni della federazione e deterioramento del patrimonio storico.

L’ultima, clamorosa indagine, è quella i cui esiti si sono conosciuti a metà novembre, grazie soprattutto alle rivelazioni del colonnello Mauro Cid, già  assistente di campo di Bolsonaro: un piano per uccidere Lula, il vicepresidente Geraldo Alckmin e Moraes. Un triplice attentato programmato la fine del 2022, sfumato all’ultimo, apparentemente per il mancato sostegno di alcuni pezzi dell’esercito, ma di cui Bolsonaro sarebbe stato a conoscenza in prima persona. La strategia, ricostruita tramite numerose intercettazioni, sarebbe stata coordinata in prima persona dall’ex ministro della Difesa, il generale Braga Netto, con un passato da capo di Stato maggiore e titolare dello strategico ministero della Casa civil. Tra le ipotesi filtrate sui media, c’è quella che a lui sarebbe stata affidata la guida del comitato di crisi, in pratica il governo straordinario nato dopo gli omicidi.




















































A novembre scorso la Polizia federale ha consegnato alla Pgr il rapporto delle indagini iniziate nel 2019 che concludono che l’ex presidente avrebbe «pianificato» e «controllato in maniera diretta», risultandone il principale anche se non unico beneficiario, un colpo di Stato per mantenerlo al potere. Le prove raccolte da molti mesi dalla Polizia federale sono il frutto di diverse inchieste con molti punti di contatto fra loro. Un ruolo rilevante sembrano avere le dichiarazioni che il colonnello Cid ha reso grazie a un accordo di collaborazione con la Procura. L’ipotesi è che una rete di cospiratori, con elementi in posizioni chiave delle Forze armate e del governo, abbia lavorato su più livelli per mantenere la destra al potere. Una strategia preparata da tempo, ipotizzano gli inquirenti denunciando la presunta campagna di disinformazione su Internet già oggetto delle indagini sulle «fake news»: centinaia di profili sulle reti sociali impegnati a gettare discredito sulle istituzioni, sui magistrati della Corte suprema e dei loro familiari. Manovre analoghe, per arrivare alla chiusura del Parlamento e della Corte, premesse per un possibile ritorno alla dittatura militare, sono finite nell’inchiesta sulle cosiddette «milizie digitali».

Ma l’episodio che tutti ricordano, oggetto del filone sin qui più corposo delle indagini, rimane l’invasione alla piazza dei Tre Poteri a Brasilia, l’8 gennaio del 2023, quando Bolsonaro era già fuori dal Paese. Alcune migliaia di manifestanti – molti dei quali arrestati, altri scappati oltre frontiera, soprattutto in Argentina – hanno invaso le sedi del Parlamento, della Corte Suprema e della Presidenza, protestando contro l’inattendibilità del risultato elettorale, la validità delle istituzioni che le avevano avallate e i «poteri» che avrebbero tramato contro quella parte del Paese che si riconosceva nella destra. Un assalto progettato da tempo, con persone arrivate nella capitale a bordo di pullman organizzati e fermi nelle zone limitrofe in attesa, si ipotizza, del via libera. Tutti elementi che hanno spinto la Polizia a indagare anche sul mancato intervento, se non sulle presunte connivenze, delle autorità preposte a controllare e impedire le sommosse.

Nel puzzle degli inquirenti si incastrano poi altri pezzi: Bolsonaro lasciò il Paese poco prima della fine del 2022 per trasferirsi negli Stati Uniti, evitando il passaggio di consegne con Lula. Solo che il presidente, come aveva abbondantemente fatto capire, non era stato vaccinato contro il Covid 19, allora necessario per gli Usa. Ed è su questo che si innesta l’indagine per appurare l’abuso di potere e la falsificazione di atto pubblico, con la comparsa del certificato con tempi e modalità sospette. E sarebbe per garantirsi fondi necessari a vivere negli Stati Uniti per un periodo allora non precisato, che Bolsonaro – altro filone delle indagini – avrebbe cercato di vendere i regali ricevuti durante le visite di Stato all’estero, mai finiti nell’archivio di Stato e sotto gli occhi del fisco.

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19 febbraio 2025 ( modifica il 19 febbraio 2025 | 03:04)

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