Dai dati dell’Osservatorio delle Nuove povertà risulta che l’indice è balzato dal 42 al 57%
Cosenza e la sua provincia stanno vivendo un momento di crisi sociale preoccupante. La povertà ha raggiunto livelli che fanno rabbrividire. “Dagli ultimi dati, elaborati dall’economista Annarita Trotta, docente dell’università Magna Graecia di Catanzaro, che vanno dall’uno gennaio 2025 ad oggi, il tasso di povertà è balzato dal 42% al 57%. Il disagio è sotto gli occhi di tutti: persone costrette a vivere in macchina, per strada, anziani soli e senza alcuna forma di assistenza, cittadini che non riescono a permettersi neanche l’acquisto di beni essenziali come alimenti e farmaci. Entrano a far parte della categoria tre new entry: al disoccupato si sono aggiunte le famiglie monoreddito e i divorziati”.
A spiegarlo a Parola di Vita è Antonio Belmonte, presidente regionale dell’Osservatorio delle Nuove Povertà, costituito da sacerdoti, associazioni e realtà locali. “L’osservatorio, che non può sostituirsi alla Caritas né all’istituzione, vuole stimolare le persone e le istituzioni affinché si possa cambiare la rotta. Ricevo telefonate di anziani che non riescono a comprare i farmaci, a sottoporsi ad una visita medica o a fare le analisi. C’è tanta gente sola. Mi hanno segnalato la presenza di un ragazzo africano che dorme in auto nei pressi di un bar di Cosenza, una scena drammatica che coinvolge in prima persona un ragazzo costretto a sfidare le temperature rigide di questo periodo”. Eppure la luce filtra tra le crepe e i calcinacci. Se la povertà è una spirale che risucchia sempre più persone, l’aiuto della Chiesa, unito a quello dei volontari delle associazioni che la sera scendono in strada per consegnare un pasto caldo e una coperta, sono un balsamo per l’anima. “I comuni devono scendere in campo. Le istituzioni devono smettere di chiudere gli occhi e agire concretamente per contrastare questa emergenza sociale. Non servono proclami, ma azioni fatte di aiuti materiali e interventi mirati. Ho fatto delle riunioni sul Tirreno, sullo Ionio, nella Valle del Crati, nel Savuto, tutti mi dicevano che i comuni sono in dissesto, eppure si continuano a spendere somme di denaro per spettacoli ed eventi che risultano oggi difficilmente giustificabili davanti a una situazione così grave. Ci sono famiglie con bambini. Proprio pochi giorni fa sono andato con Roberto, un volontario, a Rende, nei pressi dell’Università dove un padre, ubriaco, ha allontanato da casa la moglie e i due figli piccoli che dormivano in auto e non mangiavano da tre giorni”. I dati sono allarmanti e si espandono a macchia d’olio.
Emerge una cruda realtà: il fatto che il lavoro non è più sempre sinonimo di sicurezza e autonomia. Ai problemi economici si aggiungono dinamiche che coinvolgono persone che soffrono in silenzio, vittime di un sistema che troppo spesso li ignora. Nella “questione meridionale” fatta di famiglie indigenti c’è anche un altro disagio: quello culturale. Eppure l’istruzione è la chiave per uscire dalla povertà: “La cultura è un’arma di riscatto. Occorre mettere le persone nelle condizioni di poter studiare. Quando dicono che con i libri non si mangia non è vero. La cultura rende liberi. Bisogna mettere tutti sulla stessa linea di partenza; c’è chi va più veloce, chi meno, l’importante è arrivare al traguardo”, continua. Tante, troppe le rinunce a cui le persone sono costrette. Diventare poveri significa entrare in una zona grigia in cui il rischio di esclusione sociale è alto. C’è chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena, chi non può comprare un paio di scarpe per se stesso per acquistarle al figlio. Archiviata l’era del reddito di cittadinanza, dal punto di vista economico, il salario minimo può aiutare “se distribuito bene. Distribuire a pioggia non funziona perché tanta gente non va a lavorare”.
C’è una povertà che più delle altre preoccupa, quella della sanità: “La gente chiede due cose: lavoro e diritto alla salute. Le persone non riescono ad acquistare i farmaci, talvolta non possono neppure fare le analisi”. Gli strumenti per contrastare la povertà e il disagio sono le istituzioni che sono chiamate a scendere in campo: “La politica deve creare varie opportunità per tutti. Con tutto quello che abbiamo potremmo vivere di turismo. La nostra terra è piena di santi, si potrebbe puntare al turismo religioso”. La vicenda del Banco Alimentare si è abbattuta come una scure, “questo centro rappresenta un punto di riferimento fondamentale per molte famiglie in difficoltà che si mettono in fila, con dignità, per portare a casa il pacco di alimenti.
Lo stop ha aumentato il disagio e la sofferenza di chi già lottava quotidianamente per sopravvivere, perché purtroppo tante famiglie non ce la fanno a fare la spesa”. Infine, il presidente Antonio Belmonte lancia un appello: “È necessario mettere al centro le persone e le loro esigenze, costruendo una rete di solidarietà capace di restituire dignità e speranza. Ci appelliamo a tutti coloro che hanno la possibilità di intervenire affinché si passi dalle parole ai fatti. Solo uniti, con un impegno sincero e coordinato, potremo vincere questa battaglia contro la povertà e il disagio sociale. Uniti si vince”.
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