Il film scritto e diretto da Scott Beck e Bryan Woods.
Il mistero della vita dopo la morte è una delle domande che affascinano e tormentano da sempre l’umanità. Le religioni offrono risposte contrastanti tra un aldilà di gioia eterna e un inferno di tormento, altri ritengono che tutto termini con la morte fisica. Heretic affronta questa tematica non tanto interrogandosi sulla verità dopo la vita, quanto analizzando il potere della fede e il ruolo che essa gioca nell’organizzazione sociale e personale dell’individuo. Il film diretto da Scott Beck e Bryan Woods punta a una riflessione sul concetto di fiducia e manipolazione psicologica che può derivarne nell’ambito delle credenze religiose.
Chi si aspetta un film horror resterà deluso, thriller psicologico con disturbanti venature grafiche che non mira a colpire con jumpscare alla Insidious, piuttosto a creare una suggestiva e inquietante atmosfera. Almeno nella prima parte dell’opera ci riesce in misura sempre più soffocante, catturando l’attenzione all’interno di un’ambientazione e un impianto più teatrale che cinematografico.
Heretic, narrazione in parte sottile e inquietante
Heretic segue due missionarie mormoni, Sorella Paxton (Chloe East) e Sorella Barnes (Sophie Thatcher), che fanno visita a Mr. Reed (Hugh Grant), che ha contattato la locale sede dei restaurazionisti fissando un appuntamento. Ciò che inizia come una normale chiacchierata sulla fede e la religione si trasforma ben presto in un sottile gioco psicologico in cui credo e fiducia sono messi a dura prova. All’apparenza uomo cortese, interessato e simpatico, Reed si rivela gradualmente più sinistro. Attraverso dialoghi taglienti e un sottile utilizzo della retorica sfida le convinzioni delle ospiti, spingendole a mettere in discussione i fondamenti del loro pensiero religioso e la natura stessa della fede.
La svolta narrativa avviene quando il padrone di casa costringe a un esperimento concettuale per dimostrare il suo punto di vista: afferma di avere una moglie che sta preparando una torta ai mirtilli in cucina, ma le missionarie non hanno alcuna prova della sua esistenza se non la sua parola. Questo semplice espediente diventa metafora di come la religione richieda di fidarsi di ciò che non si può verificare direttamente. L’idea di credere senza prove tangibili è al centro della fede religiosa e al contempo terreno fertile per manipolazione e inganno.
Hugh Grant è un villain affascinante in Heretic
Una delle componenti più riuscite in Heretic è la performance di Hugh Grant. Il suo Mr. Reed è un personaggio carismatico, capace di catturare l’attenzione con un misto di ironia, autorità e subdola minaccia. L’atteggiamento inizialmente amichevole nasconde una mente malata e manipolatrice, volta a trascinare le ospiti in un vortice di dubbi e incertezze. La sua presenza scenica è così dominante che anche nei momenti di apparente calma si avverte un senso di crescente disturbo. La prima parte dell’opera è di fatto quella che convince in assoluto, respirando da subito un’aria malsana non dissimile da quella sperimentata nel recente Longlegs con Nic Cage.
Il pregevole attore britannico, qui alla sua prima vera prova in un personaggio totalmente negativo, incarna in misura così palpabile il tipo di figura carismatica che nel mondo reale potrebbe facilmente raccogliere seguaci, plasmandone le convinzioni. Il suo Reed impiega un mix di logica, retorica e inganno per mettere alla prova la fede delle missionarie, dimostrando almeno in parte come l’autorità e la persuasione possano intaccare anche il sentimento più radicato.
Quando la fede è (in)crollabile
D’altra parte l’elemento squisitamente coercitivo imposto alle due giovani non può che spingerle a decisioni altrettanto drastiche nei confronti di un invasato che ha elaborato una personale distorsione di testi sacri delle più comuni religioni. Dietro affermazioni deliranti si cela però la critica alla religione organizzata, evidenziando il potenziale per la manipolazione insito nelle strutture dogmatiche. Il film ribadisce che la fede, proprio in quanto forza potente, può essere utilizzata sia per scopi nobili che per fini più sinistri. Mr. Reed non è un leader religioso, ma utilizza tecniche simili a quelle impiegate da molti predicatori e guru per esercitare potere sugli altri.
Giunti circa a metà strada, quando le due “Sorelle” avranno aperto una fatidica porta che dovrebbe condurre verso l’uscita dalla (fin troppo) lugubre abitazione di Reed, la tensione vira verso la tipicità di un film di genere con molto meno da dire e mostrare. Sorvolando sui “buchi“ nel piano ordito dal folle che renderebbero alquanto improbabile farla franca, situazioni e ambientazioni accompagnano verso un climax piuttosto prevedibile, sceneggiatura che si sgonfia nella tipicità di una narrativa più graficamente orrorifica, con vistosi cliché di genere.
Peraltro la regia di Beck e Woods è caratterizzata da un ritmo irregolare, con transizioni che interrompono la narrazione con monologhi a tratti eccessivamente pretenziosi e argomentazioni sempre meno convincenti. Si arriva ai titoli di coda immaginando il diverso impatto emotivo se anche la seconda parte fosse stata altrettanto robusta e originale.
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