Teilhard de Chardin, 70 anni dalla morte

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È in uscita per l’editrice Queriniana una monografia dedicata alla figura del paleontologo e teologo gesuita Teilhard de Chardin a 70 anni dalla sua morte (1955). Il volume, per la collana «Giornale di teologia», è curato da Paolo Trianni (già autore di una biografia di Teilhard de Chardin), che firma l’Introduzione. La riprendiamo per gentile concessione dell’editore.

Il 10 aprile 1955 moriva a New York il gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin, teologo e scienziato tra i più discussi e amati del Novecento. Quantomeno sottotraccia, egli è stato anche uno dei più influenti esponenti di quella “Nouvelle théologie” che ha poi condotto la Chiesa al Concilio Vaticano II.

A settant’anni dalla morte, l’editrice Queriniana ha deciso di dedicare un saggio collettaneo a questo autore che tanto ha dato alla speculazione teologica novecentesca e molto ha ancora da dare alla Chiesa e alla teologia del futuro. La persuasione comune che accompagna gli specialisti coinvolti nel saggio, infatti, è che la visione teilhardiana sia ancora largamente attuale. Molte delle sue intuizioni, infatti, aiutano a leggere criticamente la contemporaneità, e forniscono spunti e indicazioni illuminanti su quello che può essere lo sviluppo del cristianesimo nel suo terzo millennio. Ciò lo si può affermare perché la visione teologico-religiosa da lui espressa risulta innovativa non soltanto per quanto riguarda il rapporto tra fede e scienza (in particolare la sua rilettura dei racconti genesiaci alla luce dell’evoluzionismo), ma anche su molti altri ambiti della dottrina cristiana.

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A ben vedere, non c’è settore della sistematica che egli non abbia rivisitato con uno sguardo originale ed innovatore. Ad una distanza temporale adeguata dal monitum del 1962, l’occasione è dunque propizia per fare un bilancio oggettivo sulla sua opera e sugli studi ad essa dedicati, e, parimenti, sulla riabilitazione in corso del lavoro teologico-scientifico di cui è stato protagonista.

La visione teologica di Teilhard de Chardin

Il cardine della teologia teilhardiana è stato l’evoluzionismo. Egli, cioè, leggeva la storia del cosmo come un cammino proteso verso un estuario finale che denominava Punto Omega. Uno dei termini chiave del suo tipico lessico, è appunto “muovere verso”. Tale avanzamento era da lui scandito in tre successive fasi che denominava cosmogenesi, noogenesi e cristogenesi. Essenzialmente, infatti, vedeva attuarsi nel cosmo una spiritualizzazione della materia che egli leggeva come una fase preliminare a cui sarebbe seguita una cristificazione dello Spirito.

Scientificamente, tale processo era spiegato dal geologo francese attraverso quella che denominava legge di “complessità-coscienza”. Egli, però, descriveva gli effetti dinamici dell’evoluzione nell’interiorità dell’uomo e nell’esteriorità della società storiche, anche con altri due termini: quelli di progresso “radiale” e “tangenziale”. Per comprendere il pensiero di Teilhard de Chardin, è appunto necessario prendere confidenza con questo suo linguaggio tecnico, perché è attraverso tali neologismi che ha illustrato il proprio “Credo”.

L’evoluzionismo teilhardiano, nel cercare di farne una breve presentazione, si basa su di una cosmologia che arriva a definire “santa la materia”, ma anche in una pneumatologia “dal basso,” emergente, cioè, dal cosmo stesso, sebbene provocata dal Punto Omega e animata dal Cristo. È precisamente questa concezione dell’evoluzionismo, che egli leggeva teologicamente come un “muovere verso” il traguardo cristico, che lo ha spinto ad interpretare in modo diverso il rapporto tra la materia e lo spirito. Tale riconosciuta continuità tra le vicende terrene e l’orizzonte della fede, o, per meglio dire, tra il cammino evolutivo del pianeta e le dottrine teologiche, è la dimensione del suo pensiero che ha sollevato le maggiori perplessità.

Teilhard de Chardin è arrivato a ricomprendere teologicamente la dinamica evolutiva perché vedeva la vita cosmica coinvolta in un processo di crescente unificazione e amorizzazione in virtù dall’emersione progressiva, nel mondo e nella storia, di valori cristici. Dinamica che trovava compimento, a suo avviso, grazie all’Incarnazione e alla sua prosecuzione eucaristica, che, nella rilettura teilhardiana, svolge una funzione di reificazione e santificazione del cosmo.

Questa continuità – anziché discontinuità – tra prospettiva teologica e prospettiva scientifica, e tra dimensione materiale e dimensione spirituale, è ciò che maggiormente ha esposto il suo pensiero alla polemica e al dibattito pubblico. Il contraddittorio è stato ulteriormente enfatizzato dal fatto che egli ha cercato di giustificare questa idea teologica in termini scientifici, appellandosi cioè alla geologia e alla paleontologia. Come studioso dell’evoluzione, infatti, non poteva condividere l’interpretazione letterale che in passato è stata data ai primi capitoli della Bibbia. Inesorabilmente, però, la novità oggettiva di queste sue idee lo hanno fatto entrare in conflitto con il tradizionalismo teologico, che era condizionato, all’epoca, dal contrasto al modernismo. La novità dei temi da lui affrontati ha fatto sì che i suoi scritti, pur circolando clandestinamente, hanno incontrato una rapida ed ampia popolarità, arrivando ad influenzare alcuni dei più rilevanti teologi del primo Novecento.

Le pagine da lui firmate, che illustrano non un altro cristianesimo, ma un cristianesimo spiegato in modo diverso. Esse non offrono soltanto una visione teologica innovativa, ma forniscono anche delle chiavi che consentono di comprendere i processi in atto nel mondo contemporaneo. A distanza di settant’anni, le sue riflessioni continuano a essere attuali e offrono uno sguardo precorritore e perspicace sugli sviluppi tecnici e sociali attuali.

Occorre riconoscere, su un piano più generale, che la sua visione religiosa concepisce Dio, il mondo e la Chiesa come nessun altro teologo prima di lui. La sua speculazione, inoltre, ambisce a spiegare il piano divino sul cosmo e il cammino umano verso il divino gettando sguardi inediti anche sul mistero del male, del peccato e della croce. Il pensiero teilhardiano, in sintesi, permette di ripensare, in modo complessivo, “l’essere” e “l’esserci”. Nella storia della teologia, prima di Teilhard de Chardin, ci sono stati ben pochi altri autori che hanno espresso una simile dirompente originalità. È questo il motivo per il quale le sue considerazioni meritano studi periodici e aggiornati.

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A meritare ulteriori ricerche, in particolare, è la sua specifica maniera di leggere con uno sguardo unitario ciò che una lunga tradizione filosofica e teologica ha sempre rappresentato in chiave dialettica. Sotto questo aspetto, Teilhard de Chardin non è solo l’uomo delle due vocazioni – quella verso la terra e quella verso il cielo – ma della loro sintesi. Là dove la tradizione teologico-filosofica ha sempre visto irriducibile discontinuità e contrapposizione, egli intravedeva invece continuità e una possibile conciliazione. La sua proposta teologica, infatti, individua una sintesi terza ad alcune tra le maggiori diadi elaborate dal pensiero umano: quella tra materia e spirito; tra monismo e dualismo; tra fissismo e progressismo; tra unità e molteplicità; tra identità e differenza; tra storicità e acosmismo; tra verticalità e orizzontalità; tra idealismo e realismo; tra vuoto e pieno.

A ciò si aggiunga che egli ha anche armonizzato, per così dire, Oriente ed Occidente. Non è un caso, a questo riguardo, che molti missionari che hanno lavorato in Asia abbiano utilizzato le sue intuizioni per lavorare nei loro contesti. Il gesuita, però, pur apprezzando le mistiche e le spiritualità dell’Oriente, è sempre stato uno strenuo e appassionato difensore della civiltà occidentale. In contrapposizione netta al monismo panteista o al dualismo radicale di cui sono espressioni le metafisiche orientali, ha proposto infatti una spiritualità che, pur fondata sulla necessità di liberarsi dalla pesantezza materiale, non si oppone alla terra, ma la “attraversa” considerandola un orizzonte evolutivo e convergente verso lo spirito.

La mistica in cui egli si riconosceva, aveva come oggetto, per l’appunto, l’unificazione del cosmo, e, più ancora, un Regno di Dio conquistabile non fuggendo il mondo ma impegnandosi e operando nella storia. La categoria centrale in cui egli si è riconosciuto, è appunto la trasfigurazione, concetto che, in fondo, non è né escatologista né incarnazionista, perché suppone che la realtà cosmica non vada letta in sé stessa, ma alla luce della sua simbolicità e nell’ottica del suo destino escatologico finale.

I quindici contributi del presente saggio intendono dunque approfondire e fare un bilancio – ciascuno da un punto di vista disciplinare differente – l’articolata visione teologica teilhardiana; le sue svariate proposte di sintesi; e i suoi sguardi ancora attuali sulla modernità. È significativo, del resto, che egli, prendendo a modello il cardinale Newman, intendesse portare alla Chiesa ciò che c’era di bello e buono nel mondo moderno[1].

Teilhard de Chardin si stupiva, e persino rammaricava, di essere il solo ad avere avuto una tale visione unificante capace di dialogare con le società e le dimensioni contemporanee. Com’è noto, il Monitum del 1962 ha anzi giudicato ambigua la portata innovativa delle sue idee e le inconsuete aperture del suo pensiero religioso[2]. Come rimarcava Ludovico Galleni, uno dei pochi studiosi che ne abbia studiato l’opera scientifica, oltre a quella teologica, il silenziamento sulla sua riflessione succeduto a quel richiamo, ha impedito la libera di discussione e rallentato non poco il chiarimento teologico delle questioni da lui sollevate[3]. In fondo, però, già Gaudium et spes 44, con le sue aperture al mondo contemporaneo, si può leggere come una condivisione della visione teilhardiana. Il ripensamento teologico di cui il gesuita è stato promotore, inoltre, è del tutto in linea con quello sviluppo della dottrina – da non associare al concetto di evoluzione del dogma – ripetutamente auspicato da papa Francesco.

Se la bibliografia dedicata a Teilhard de Chardin, in varie lingue, conta un numero di saggi pari se non superiore a quella di cui sono stati oggetto i grandi teologi novecenteschi del Vaticano II, non deve essere considerato un caso. L’attenzione verso la speculazione teologica di cui è stata autore, va infatti letta come un indicatore significativo di quanto il cristianesimo e la Chiesa del nostro tempo abbiano bisogno di sguardi inediti per pensare la fede e adattarla alle sfide della contemporaneità.

Per un profilo biografico

Pierre Teilhard de Chardin ha concentrato in un’unica esistenza molte vite. È stato prete, scienziato, esploratore, professore universitario, teologo ed eroe di guerra. Soprattutto, però, è stato un gesuita bersagliato dalla Chiesa che, nonostante le vessazioni subite, gli è rimasto fedele fino all’ultimo dei suoi giorni.

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Nato a Sarcenat, nella regione dell’Alvernia, il 1° maggio 1881, proveniva da una famiglia di antica nobilità ed era il quarto di undici figli. Il padre Emmanuel, che si occupava del castello e della fattoria, era anche uno studioso di storia locale e un naturalista, mentre la madre, Berthe-Adèle de Dompierre d’Hornoy, era una discendente di Voltaire. È da lei, che tutte le mattine attraversava il bosco all’alba per andare a messa, che, come scrisse, nacque in lui “una scintilla di fede”.

La dinamica della sua vocazione religiosa, però, l’ha raccontata egli stesso ne Il cuore della materia, in uno dei suoi rari spunti autobiografici, spiegando che ha avuto anche un’altra fonte: l’attrazione verso la natura e l’ordine del cosmo. Potremmo dire che il suo cammino di fede è passato dall’ordine naturale all’ordine divino, attraverso una sorta di attrazione nei confronti dell’inalterabile e dell’eterno. Non sorprendente, pertanto, che nella lettera alla famiglia in cui preannunciava la sua decisione di abbracciare la vita religiosa nella Compagnia di Gesù, abbia spiegato che a motivarlo era il “desiderio del più perfetto”. A scuola dai gesuiti, doveva aveva studiato, come dirà in seguito padre Brémont, si era distinto per “essere il primo in tutto, ma di una disperante compostezza”, rimproverandogli, da stimato critico letterario che apprezzava la scrittura del giovane Teilhard, la sua dispersiva “passione per le pietre”.

Il suo lungo percorso di formazione nella Compagnia di Gesù, ebbe come tappe Aix-en-Provence, il Cairo ‒ dove insegnò anche fisica ‒, e Hastings, in Gran Bretagna, dove nel 1911 ricevette l’ordinazione sacerdotale. L’entrata definitiva tra i chierici regolari avvenne nel 1912, dopo aver ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 24 agosto 1911.

Mentre ancora frequentava il terzo anno di teologia a Canterbury, nell’agosto del 1914, esplose il flagello della prima guerra mondiale. Dichiarato idoneo al servizio, su sua richiesta, il 20 gennaio 1915, venne inviato al fronte come barelliere di seconda classe delle truppe d’Africa, le più esposte. Nominato caporale, rifiutò – per condividere fino in fondo la sorte dei compagni –, di diventare barelliere onorario o cappellano poilu. In virtù di questa scelta, sperimentò la vita dura della trincea e fu attore delle battaglie più cruenti. Una guerra vissuta a così stretto contatto con le sofferenze e le privazioni, lascia inevitabilmente il segno.

Nella vita dell’ancora giovane sacerdote, si deve considerare una sorta di spartiacque, e non può non stupire che egli l’abbia poi ricordata parlando di una “nostalgia del fronte”. Sensazione difficile da capire, che può forse essere spiegata mettendo in evidenza come la guerra produca talvolta, nei soldati, un sentimento di libertà, perché vita e morte diventano egualmente indifferenti. Animato da tale spirito, il caporale si distinse per il suo coraggio incosciente. A chi gli chiedeva: “Ma non hai paura di morire?”, lui rispondeva: “Se verrò ucciso cambierò stato di coscienza, tutto qui”. Per il servizio prestato in guerra, ricevette tre menzioni al merito, la croce di guerra e la medaglia al valor militare. Nel 1921, su richiesta del suo vecchio reggimento, venne persino nominato cavaliere della Legion d’onore, la massima onorificenza della Repubblica francese. Alla fine del conflitto bellico, decise di proseguire gli studi in paleontologia già iniziati a Parigi nel biennio 1912-1914. Nel 1922 giunse alla laurea diventando, quello stesso anno, professore aggiunto all’Institut Catholique.

Teilhard de Chardin si sentiva, per così dire, un uomo realizzato. Aveva trovato la vita che cercava. Di lì a poco, però, un episodio non previsto e non immaginato cambiò completamente i suoi progetti esistenziali. Quello stesso anno, infatti, padre Riedenger, gesuita professore allo scolasticato di Enghien, gli chiese delle pagine che sintetizzassero la sua problematizzazione del peccato originale, tema sul quale aveva scritto delle osservazioni già due anni prima, giacché, da paleontologo e geologo, non poteva non porsi il problema della narrazione biblica della prima coppia e del giardino dell’Eden.

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Queste carte erano private e non destinate alla diffusione, vennero però fatte circolare, e ciò gli valse una denuncia alla curia romana che era allora guidata dall’intransigente Merry del Val. Per ricostruire il quadro di quel periodo, occorre ricordare che nel 1907 era stata emanata l’enciclica Pascendi contro il Modernismo, che, oltretutto, reindirizzava la teologia verso la Scolastica.

L’esito finale di tale contenzioso fu, nel 1926, l’invito a partire per la Cina, dove già era stato per alcune spedizioni di ricerca. Complessivamente, anche se con delle brevi interruzioni, Teilhard de Chardin ha vissuto in Cina vent’anni. Proprio in questo paese, però, ha raggiunto una certa notorietà scientifica internazionale, per aver scoperto il Sinantropo, una forma sconosciuta di ominide.

A Parigi tornò solo dopo la Seconda guerra mondiale. Aveva oramai compiuto 68 anni. Si sentiva anziano ed era abitato da un certo disincanto. Scoperse, però, di essere diventato una sorta di celebrità, perché i suoi scritti, sia pure sottobanco, avevano circolato molto ed erano diffusamente conosciuti, sia negli ambienti scientifici che in quelli teologici. Nella capitale francese trovò alloggio nei locali annessi alla rivista Etudes, e poté frequentare alcune delle massime figure della cultura francese del tempo. Le sue attività, però, erano limitate dal fatto che su di lui pesava ancora il divieto di pubblicare e parlare in pubblico su argomenti religiosi. A ciò si aggiunga che già pochi mesi dopo il rientro dalla Cina, il suo pensiero, insieme a quello di altri esponenti della nouvelle théologie, era stato duramente attaccato dal teologo domenicano Garrigou-Lagrange. Nella notte tra il 1° ed il 2, giugno, inoltre, venne colpito da un infarto che lo lasciò tra la vita e la morte per quindici giorni.

L’ampio apprezzamento per il suo lavoro scientifico, comunque, gli procurò, quasi subito, la nomina a direttore del Centre National de la Recherche Scientifique. Successivamente gli venne anche proposta una cattedra al prestigioso Collège de France. Sia per chiedere l’autorizzazione all’insegnamento alle autorità della Chiesa, sia per difendere la sua opera principale, Il fenomeno umano, nel 1948 si recò a Roma. Probabilmente, proprio l’imprudenza di non aver scisso i due ambiti dell’insegnamento scientifico e della riflessione teologica, ebbe come esito un rinnovato divieto a svolgere attività pubbliche, e un nuovo invito a lasciare la Francia.

D’altro canto, volendo spiegare il clima dell’epoca, si può ricordare come, solo due anni più tardi, nell’agosto 1950, sarebbe stata pubblicata l’Humani generis, enciclica di Pio XII «contro le nuove e false teorie» che coinvolgevano, tra gli altri, l’amico De Lubac ‒ che tante volte lo aveva difeso ‒ e, in filigrana, anche e soprattutto lui.

Nel 1951, su consiglio della Compagnia, si stabilì a New York, nella residenza dei gesuiti di Park Avenue. Venne nominato collaboratore permanente della Wenner-Gren Foundation for Anthropological Research, una fondazione di ricerche antropologiche con la quale si recò, a settant’anni suonati, due volte in Africa. Di ritorno dal continente africano, il 12 ottobre del 1951, scrisse una missiva al generale della Compagnia di Gesù, padre Janssens, poi pubblicata nelle Lettere intime, nella quale, temendo un nuovo attacco di cuore, ebbe premura di sottolineare il suo totale attaccamento alla Chiesa e all’ordine, senza però rinunciare a ribadire gli assi irrinunciabili della propria fede: il valore unico dell’uomo al vertice della vita; la posizione assiale del cattolicesimo nelle convergenti attività umane; il compimento della creazione assunta da Cristo risorto.

Morì a New York, in seguito ad un secondo attacco di cuore, il giorno di Pasqua del 1955.

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Struttura e contesto del volume

Il 1955 fu anche l’anno della pubblicazione del primo dei tredici volumi che compongono l’opera omnia di Teilhard de Chardin. Una diecina di anni dopo, in un clima ancora conciliare, Rosino Gibellini diede alle stampe, nel Giornale di Teologia, un primo bilancio della discussione su Teilhard de Chardin, riportando le grandi interpretazioni di cui era stato oggetto il suo pensiero: quella biografica di C. Cunéot, quella marxista di R. Garaudy, quella razionalista di E. Kahane, quella protestante di G. Crespy, e quelle di teologi cattolici come C. Tresmontant, J. Daniélou, H. de Lubac e H.U. von Balthasar[4]. Idealmente, la presente raccolta del Giornale di teologia si ricollega a quella di settanta anni fa, cercando di dare dell’autore una lettura aggiornata e attualizzata.

Il saggio ospita quindici contributi che, da visuali disciplinari differenti, rileggono il pensiero religioso di Teilhard de Chardin nella convinzione che esso abbia ancora molto da dire, e non soltanto al nostro tempo, ma anche al domani della teologia e della Chiesa. Il senso della curatela, infatti, non è solo quello di celebrare la sua opera in un anniversario importante e in una fase di oggettiva riabilitazione, ma anche valorizzare la carica innovativa della ricerca teologica da lui messa in campo.

Ciò che rende originale e unico il presente volume, è che esso ospita riflessioni firmate da quindici conoscitori del pensiero e dell’opera di Teilhard de Chardin che sono altrettanto esperti, e in molti casi docenti, degli ambiti filosofici o teologici di riferimento. È la prima volta, a questo proposito, che il pensiero del gesuita francese viene analizzato con una tale organica sistematicità. Nello specifico, però, ha il merito di offrire una lettura aggiornata delle principali tematiche teilhardiane che vengono qui rilette alla luce dei più recenti sviluppi teologici e scientifici.

La logica che ha guidato la strutturazione del libro, è precisamente quella della “completezza” e della “sistematicità” in diretta corrispondenza con i vari indirizzi disciplinari che articolano la teologia dogmatica. Esso è strutturato su tre sezioni: una prima legata alla sua biografia e ai suoi studi scientifici; una seconda, più sistematica, che, prendendo atto del carattere innovativo del suo pensiero, abbiamo definito “rivoluzione teologica”; e una terza dedicata alla sua spiritualità, alle sue riflessioni sulla pluralità religiosa e alla sua comprensione escatologico-cosmica del Regno di Dio.

Nella prima parte Gianfilippo Giustozzi, autore di saggi sul gesuita francese, ha scritto un contributo in relazione all’“antropologia teologica”, e quindi agli elementi che consentono di definire il suo pensiero un neo-umanesimo e un neo-cristianesimo. Carmelo Dotolo, teologo che si è occupato di Teilhard de Chardin, ha collocato il suo pensiero nell’ambito della “storia della teologia” novecentesca. Stefano Visintin, che ha anche una formazione scientifica in fisica, ha approfondito la “teologia della natura”. Lubos Rojka, da filosofo della scienza, ha approfondito la “pneumatologia”. Cosimo Quaranta, specialista di escatologia e antropologia transumanista, si è impegnato in un’analisi che ha messo a tema lo sviluppo tecnico-scientifico contemporaneo in chiave “morale”.

Nella seconda sezione, più prettamente dedicata alla dogmatica, Maurizio Gronchi, ordinario della disciplina, ha approfondito la “cristologia” del francese. Luciano Mazzoni e Anna Maria Tassone, fondatori del Centro Studi Teilhard de Chardin, hanno analizzato la sua “ecclesiologia” attenzionando anche il suo concetto del femminino. Giovanni Salmeri, teologo e filosofo, ha steso varie considerazioni collegabili alla “teologia fondamentale”. Andrea Grillo, da esperto della materia, ha approfondito le riflessioni di Teilhard de Chardin sulla “sacramentaria” e, in particolare, la sua concezione dell’eucaristia. Marco Galloni, ricercatore teologico che anni si occupa del gesuita francese, ha approfondito la sua “soteriologia” e, nello specifico, la sua rilettura della Croce e del peccato originale. Paolo Trianni, che sul tema ha già pubblicato un più ampio saggio, presenta Teilhard de Chardin come precursore della “teologia delle religioni” inclusivista. Marco Vannini, filosofo e noto studioso di misticismo, ha analizzato la sua peculiare comprensione della “teologia mistica”. Ilia Delio ha approfondito l’“escatologia” in un’ottica etico-evoluzionista. François Euvé ha analizzato “la teologia spirituale” anche in rapporto ad una salvezza non soltanto individuale ma anche cosmico-ecologica. Antonio Spadaro ha messo in evidenza il posto che Teilhard de Chardin occupa nella “storia del cristianesimo” novecentesco soffermandosi sulla sua contemporaneità e sulla progressiva riabilitazione della sua visione religiosa, anche in rapporto all’eucaristia e al recente sviluppo delle reti telematiche.

Sono questi i contenuti di un saggio che non si limita, come si diceva, a celebrare la memoria di uno dei più decisivi teologi del Novecento, ma intende altresì vagliare il suo neocristianesimo alla luce degli attuali sviluppi teologici e scientifici. L’obiettivo dichiarato è appunto quello di mettere in evidenza la sua contemporaneità e quanto esso può dare alla Chiesa del nostro tempo impegnata in un percorso di autocoscienza sinodale e in un confronto dialettico con un progresso tecnico-scientifico sempre più invasivo e totalizzante.

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[1] Cf. P. Teilhard de Chardin, Journal, 26 août 1915 – 4 janvier 1919, Fayard, Paris 1975, 90.

[2] Per la presa di posizione delle autorità romane nei riguardi del gesuita francese, si consideri: A. Daverio, Roma e Teilhard, in Il futuro dell’Uomo 1 (1983) 13-21.

[3] Cf. L. Galleni, Teilhard de Chardin, in G. Tanzella Nitti – A. Strumia (edd.), Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, Città Nuova/Urbaniana University Press, Roma 2002, 2111-2124.

[4] Cf. R. Gibellini, La discussione su Teilhard de Chardin, Queriniana, Brescia 1968.

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