Un po’ di patriarcato non farebbe male

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Gentile Direttore Feltri,
tanto si è detto del podio al maschile di Sanremo, ma concentriamoci anche sulle parole degli artisti arrivati sul podio. Lucio Corsi, ottimo cantautore, ha fatto un richiamo all’umiltà in un mondo di ostentazione esaltando l’idea dell’uomo debole e arrendevole, un uomo fragile già attaccato da ogni lato, che rinuncia a essere forte e valoroso, come invece richiama la sua etimologia greca (aner, andros, cioè valoroso). L’ennesimo tentativo (subdolo?) per evitare di essere accusati di «mascolinità tossica»? E lo chiedo da donna quasi ottuagenaria, convinta che ormai la donna abbia perduto la sua raffinatezza e l’uomo la sua stabilità! Alla conferenza stampa a Sanremo ha aggiunto qualcosa a questo proposito anche Brunori Sas, affermando che il podio è maschile ma non c’è un «maschio patriarcale». E io sorrido e penso che sia una excusatio non petita.

Veronica de’ Ubertiis

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Cara Veronica,
penso che gli uomini oggigiorno si affannino nel tentativo di fornire un eccesso di prove, sebbene non formalmente richieste, per scansare l’accusa di essere sessisti, violenti, potremmo dire anche «figli sani del patriarcato», parafrasando Elena Cecchettin, le cui parole sono state sposate ed esaltate dai progressisti. Del resto, il pericolo di essere incriminati per loro, ossia per i maschi, è sempre in agguato. Conduciamo una sorta di guerra al testosterone, alla virilità, ai caratteri maschili, come se fossero elementi negativi, da debellare in quanto causa dei mali del mondo nonché di abusi, persecuzioni, sopraffazioni. Da qui la continua ostentazione, da parte delle nuove generazioni di maschi, di una femminilità che ha preso il posto della mascolinità. I giovani si truccano, indossano la gonna, si depilano, passano lo smalto sulle unghie allo scopo di esorcizzare il loro essere maschi, quindi colpevoli.

Se il maschio oggi è il demonio, ecco che molti scelgono di non esserlo più, di non esserlo proprio, di non definirsi, di esserlo ma non troppo, di essere anche un po’ femmine. Ed ecco pure che il palco di Sanremo diventa il luogo perfetto in cui esibire questa nuova mascolinità tiepidina, palliduccia, moderata, confusa, per catturare soprattutto il favore di un pubblico contagiato da questo delirio femminista, che identifica nel fallo il danno, la radice del male.

L’umiltà, richiamata dal cantante che tu menzioni, non costituisce una virtù femminile, bensì una virtù umana, e non è appannaggio dei deboli, bensì sintomo di forza e intelligenza. Trasformare taluni valori in qualità e caratteristiche proprie della donna mi sembra operazione forzata, tanto più se, dall’altro lato, si cerca di fare passare certi vizi quali peculiarità proprie dell’uomo. La violenza, ad esempio, non è agìta soltanto dai maschi, ma anche dalle femmine. Anche queste ultime uccidono, picchiano, molestano, rubano, delinquono in svariati modi, quantunque oggi prevalga lo stereotipo, totalmente falso, della donna sempre vittima di «lui» e mai carnefice.

Intanto le fanciulle, se da un lato rigettano la mascolinità, chiamata «tossica», dall’altro lamentano la mancanza di iniziativa, la mollezza, l’incapacità di protezione, di offrire sicurezza e stabilità, che contraddistinguono i ragazzi del nuovo millennio, i quali appaiono quasi spaventati dall’idea di fare i maschi, non intendono correre il rischio di essere fraintesi, equivocati, etichettati quali molestatori. Non meravigliamocene. È la nostra cultura, volta a criminalizzare il maschio, ad averlo reso un essere timoroso, frangibile, indeciso, ibrido, in estrema sintesi, senza palle. Gliele abbiamo tagliate.

Altro che patriarcato! Ve ne fosse almeno un residuo non assisteremmo allo scempio che è stato fatto del vecchio maschio, quello che non temeva di essere peloso, di fare il primo passo con una donna, di corteggiare, di mostrarsi orgoglioso di essere quello che è, cosa non più lecita, sebbene alle donne venga insegnato che devono andare fiere della loro femminilità e devono valorizzarla. Allora mi domando: essere femmine è giusto ed essere maschi è sbagliato? Essere maschi è vergognoso e turpe? Davvero ci siamo ridotti a pensarla così? E questa battaglia spietata al testosterone dove ci porterà, se non alla totale incomunicabilità tra i generi, all’aumento delle separazioni, alla solitudine, all’infelicità affettiva, all’insoddisfazione relazionale, alla esasperazione della confusione sessuale e, infine, alla estinzione della specie?

Del resto, forse è quello che auspichiamo se, come è accaduto lo scorso novembre, in un

programma della Rai la conduttrice ha chiesto con disinvoltura al suo ospite, Gino Cecchettin, «cosa dobbiamo fare per fare in modo che i figli, i maschi bianchi, figli così ce ne siano di meno?».

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Ebbene, forse non riprodurci più?



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