Covid, la figlia del secondo morto veneto: «Il derby, gli amici al bar e l’isolamento in ospedale. Ancora oggi non si sa come venne contagiato»

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di
Michela Nicolussi Moro

La testimonianza di Manuela, figlia di Renato Turetta:«Sembrava che il virus circolasse solo a Vo’, i residenti dei Comuni vicini ci trattavano da untori»

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«Sono stati giorni dolorosi e difficili, condizionati da un grande punto di domanda. Non si sapeva niente di questo virus, erano tutti spaesati e noi di più, per l’improvviso distacco da papà». Manuela è la figlia di Renato Turetta, 67 anni, uno dei primi due contagiati dal Covid-19 nel Veneto, insieme ad Adriano Trevisan. «Ha cominciato a sentirsi male il 19 febbraio 2020 — ricorda la figlia — aveva mal di schiena e una febbre che non passava mai, nemmeno con l’antibiotico. E allora abbiamo chiamato l’ambulanza, che l’ha portato all’ospedale di Schiavonia, dove gli è stata diagnosticata una polmonite bilaterale. Gli hanno fatto il tampone per la Sars e per l’influenza suina, entrambi negativi. Un medico, contravvenendo alle direttive dell’Oms che lo prevedeva solo per i sintomatici, ha disposto il test per il Sars-Cov2, risultato positivo».

La zona rossa

Era il 21 febbraio e la stessa diagnosi viene tracciata per l’amico Adriano Trevisan. Manuela è al lavoro nella sua enoteca quando, alle 19, arriva la chiamata da quello che in quel momento diventa il primo Covid Hospital d’Italia, chiuso per ordine del governatore Luca Zaia: nessuno poteva entrare né uscire. «Mi è stato comunicato che mio padre era positivo al coronavirus (al tempo si chiamava solo così, ndr) — ricorda —. Non capivo come una minaccia mondiale potesse essere arrivata non in una metropoli ma proprio a Vo’ (Padova, ndr), un paesino di tremila anime, senza ristoranti nè negozi cinesi. Comunque sono corsa a Schiavonia e un’ambulanza con il personale protetto da tute da astronauta ha trasferito papà, me e mia madre in Malattie infettive a Padova, dove siamo stati sottoposti a tampone. Intanto Adriano era morto».




















































La corsa in ospedale e la morte

Manuela non ha più potuto avere contatti con Renato Turetta: «L’hanno intubato, potevo parlare solo con i medici finché, il 10 marzo, papà è morto. Ancora adesso non sappiamo come sia stato contagiato, nessuno di noi era stato all’estero, nè aveva avuto contatti con viaggiatori. Mio padre era in pensione da anni, faceva l’idraulico e curava i campi di mia nonna. Era un alpino, non aveva malattie pregresse, gli piaceva la montagna: è stato tutto un fulmine a ciel sereno. Forse lui e Adriano si sono infettati al Bar Sole, quando sono andati a vedere la partita Inter-Milan — aggiunge la donna —. I tamponi effettuati nelle ore successive a tutta la popolazione dal professor Andrea Crisanti hanno rilevato il Sars-Cov2 in altri avventori di quel locale. Anche mia mamma è stata contagiata, per fortuna non in forma grave, mentre io il Covid-19 l’ho preso due volte nel 2021». Poi Manuela riflette: «Sto realizzando oggi quello che è successo: Vo’ si è trovato all’improvviso all’attenzione del mondo e non è stata una passeggiata. All’inizio sembrava che il virus circolasse solo nel nostro paese, i residenti dei Comuni vicini ci guardavano male, ci trattavano da untori. E invece già dall’ottobre 2019 eravamo tutti sulla stessa barca. Senza saperlo».

L’arrivo di Mattarella

Sensazioni condivise da Giuliano Martini, iconico sindaco-farmacista-alpino di Vo’ fino al 2024, eletto con il 77% di preferenze, come Zaia. «Non scorderò mai la telefonata con cui, il pomeriggio del 21 febbraio 2020, l’allora direttore generale dell’Usl Euganea, Domenico Scibetta, mi annunciò la zona rossa. In poche ore avevamo 12 posti di blocco, eravamo chiusi dentro e con l’aiuto di Provincia e prefettura riorganizzammo il rifornimento di alimentari, farmaci e tutto ciò che serviva. Intanto in Comune arrivavano 200-300 telefonate al giorno di cittadini smarriti e altrettante nella mia farmacia. Ed ero solo, perché le tre dottoresse erano in quarantena. Come i tre medici di famiglia. È stato un periodo durissimo, chiuso però dall’arrivo del presidente Sergio Mattarella, che il 14 settembre 2020 inaugurò l’anno scolastico. Gli regalai un quadro di Thomas Prearo, giovane artista padovano, e gli piacque talmente che la settimana successiva ci ricevette al Quirinale in visita privata — aggiunge —. Sono orgoglioso anche dei 150mila euro che abbiamo donato per la ricerca Covid all’Università di Padova con la vendita di altrettante bottiglie di vino prodotto a Vo’».

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20 febbraio 2025 ( modifica il 20 febbraio 2025 | 09:38)

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