Il Petrolchimico di Priolo, capace di sfornare circa il 22% del carburante circolante in Italia, rischia di morire di raffinazione, con un effetto domino sulla Sicilia che sarebbe drammatico, sotto l’aspetto economico, occupazionale e sociale. Dal 2035, così come indicato dall’Unione europea, nel Vecchio continente non potranno circolare mezzi alimentati con combustibile fossile, gasolio e benzina, ma solo quelli con energia pulita.
Le criticità: la crisi dell’automobile, i costi energetici e le tasse
Dunque, o si procede con la Transizione energetica o il Petrolchimico rischia di essere solo un vecchio rudere. In realtà, potrebbe soffocare prima ma per altre ragioni, come spiega Gian Piero Reale, presidente di Confindustria Siracusa, ospite della trasmissione Talk Sicilia: tra queste, i costi energetici, le tasse sulle emissioni di anidride carbonica, e la concorrenza selvaggia di Cina ed India.
Le auto elettriche
Il futuro della zona industriale è anche connesso allo stato di salute delle aziende produttrici di automobili, tutte europee, come Italia, Francia e Germania, che, sostanzialmente, non riescono a produrre mezzi elettrici a costi contenuti e sono indietro rispetto a Stati Uniti, con Tesla di Elon Musk, e Cina.
Confindustria, “Green deal da rivedere”
Innanzitutto, “va detto che sono tanti studi tesi a dimostrare che non si potrà fare a meno dei combustibili fossili almeno fino al 2040 e forse anche oltre” dice Reale che confida in una rivisitazione del cosiddetto Green Deal, troppo integralista nell’attuale stesura, per definirne un altro, il Green industrial Deal più vicino alle esigenze “dell’industria dell’automobile data la gravissima crisi in diversi Paesi, dalla Germania alla Francia all’Italia”.
La difficile Transizione ecologica del Petrolchimico
E la Transizione del Petrolchimico? “La trasformazione – dice Reale- del polo industriale di Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta non è semplice. Non lo è perché è un settore che necessita di fortissimi investimenti per trasformarsi e poi perché le norme europee non consentono di chiarire il quadro economico e dunque il futuro, per cui c’è moltissima incertezza. Le aziende hanno grosse difficoltà a identificare la giusta traiettoria e qualsiasi ipotesi non sta in piedi se non supportata da forti incentivi e forti finanziamenti che ad oggi non sono stati previsti in Italia per le industrie le cui emissioni di CO2 sono difficili da abbattere”.
Servono soldi pubblici
Le aziende, come assicura Confindustria, da sole non ce le faranno mai a cambiare pelle e diventare più verdi. “Sì, parliamo di finanziamenti pubblici, finanziamenti europei e statali che possano consentire appunto alle aziende di avere un business plan” ma l’associazione degli industriali di Siracusa ha, di recente, presentato al Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, lo studio strategico sulla decarbonizzazione e la competitività del Petrolchimico in collaborazione con TEHA Group. Un piano che, senza gli incentivi ed i finanziamenti pubblici, non potrà mai partire.
Il problema del costo dell’energia
Uno dei macigni per le aziende del Petrolchimico sono i costi energetici, indicati come fattore di grande criticità proprio in quel piano. “L’Italia ha costi di energia che sono sette volte più elevati rispetto a quelli in Russia e circa cinque quelli degli Stati Uniti. Inoltre, l’Italia, nel bacino europeo, indossa la maglia nera: più 70% rispetto alla Spagna, circa il 60 alla Francia” dice Reale.
La tasse sulle emissioni di CO2
L’altro Everest per le aziende è rappresentato dalle tasse per le emissioni di CO2, l’anidride carbonica. “L’Europa ha deciso di tassare – dice Reale – le emissioni di anidride carbonica di CO due con la normativa chiamata ETS che è la più penalizzante del mondo. Se lo paragoniamo a quella degli Stati Uniti o di altre aree del mondo, non c’è confronto”
250 milioni di euro l’anno
Andando alla ciccia della questione, i soldi che le aziende versano ecco il conto. “Già oggi il polo industriale di Siracusa paga quasi 250 milioni di euro – dice Reale – l’anno di tasse e nel 2027 ne saranno pagate molte di più. Quindi già oggi i bilanci delle aziende sono in rosso a causa di queste tasse ma a queste si sommano i costi dell’energia, del lavoro senza contare le turbolenze geopolitiche che non sono controllabili. Evidentemente tutto questo porta a una situazione di crisi che può fare temere di non traguardare la transizione energetica”
Tavolo col Governo
Dunque, senza l’oste, gli aiuti pubblici, i conti non tornano. “Il ministro del Made in Italy – dice Reale – ha dato una importantissima apertura, istituendo un tavolo per il polo industriale di Siracusa” che dalle informazione di Confindustria si aprirà a marzo e coinvolgerà altri Ministeri, la Regione siciliana ed i Comuni.
L’idea è di lavorare su delle proposte e comprendere quali sono percorribili e finanziabili. “Ci saranno due prospettive, una di breve termine per dare ossigeno alle alle alle imprese che vivono questo momento di grave difficoltà, ed un’altra meno immediata per definire un quadro di norme cui fare riferimento e presentare contestualmente le domande di finanziamento sia sui fondi europei sia nazionali”
Il piano Eni
C’è, però, preoccupazione per la decisione dell’unica azienda, l’Eni, che ha deciso di riconvertire l’impianto di Priolo; diventerà, secondo quanto prospettato dal colosso italiano, una bioraffineria ma i sindacati, su tutti la Cgil, teme un effetto domino sul Petrolchimico perché le altre aziende non hanno piani di riconversione, per cui il timore di disarticolare la zona industriale è alto. “Eni è presente nel territorio con tutte le sue produzioni, quindi per il momento non c’è nessun effetto domino. È chiaro che il Polo industriale è una realtà interconnessa e non può immaginare di trasformarsi senza effetti domino”.
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