Munther Isaac: la Cisgiordania sta diventando “una serie di prigioni a cielo aperto”

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Il reverendo della Chiesa luterana di Betlemme, in tour in Italia assieme all’avvocata per i diritti umani Sahar Francis e all’attivista sociale e politico Rifat Kassis,, racconta la drammatica situazione in cui vivono i palestinesi tutti ed esprime le paure più profonde su quello che sarà il destino del popolo

Joseph Tulloch – Città del Vaticano

La Cisgiordania sta attraversando uno dei suoi “momenti più bui”. Gli insediamenti e i blocchi stradali israeliani stanno rapidamente rendendo la zona “inabitabile”, isolando le aree edificate tra loro e dai villaggi circostanti e trasformando di fatto la Cisgiordania in “una serie di prigioni a cielo aperto”. Il reverendo Munther Isaac, pastore delle parrocchie luterane di Betlemme e Beit Sahour, racconta ai media vaticani il deterioramento della situazione nella regione, commentando la proposta del presidente statunitense Trump di sfollare in massa i gazawi e sottolineando l’importanza dei ripetuti appelli di Papa Francesco per la pace.

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Kairos Palestine

Accanto al pastore ci sono altri due attivisti cristiani palestinesi: l’avvocata per i diritti umani Sahar Francis e l’attivista sociale e politico Rifat Kassis, tutti e tre sono in Italia per una settimana in un tour organizzato da Kairos Palestine, gruppo nato dal Documento Kairos del 2009 redatto da alcuni leader cristiani. Attorno a Betlemme, racconta Isaac, ci sono circa 80 posti di blocco che spesso richiedono sei o sette ore per essere attraversati. A questo si aggiunge la devastazione economica. Betlemme contava molto sul turismo religioso che ora è quasi del tutto cessato, di conseguenza le Chiese passano la maggior parte del loro tempo ad aiutare coloro che non hanno un reddito per sopravvivere. Sono almeno cento le famiglie cristiane di Betlemme – e i cristiani sono da ritenersi “una piccola comunità che lotta per sopravvivere” – che hanno abbandonato la città dall’inizio della guerra a Gaza. Ma la minaccia più grande, tuttavia, secondo il pastore, proviene dal crescente numero di allontanamenti forzati. Sono circa 45.000 i palestinesi finora sfollati a causa delle incursioni militari israeliane nei campi profughi della Cisgiordania e, come spiega ancora il reverendo, il timore è che questa devastazione si diffonda. “Vediamo quello che sta accadendo a Gaza – sottolinea – e ci chiediamo: sarà questo il nostro destino?”



Betlemme, Munther Isaac mentre prepara il presepe con il bambino Gesù tra le macerie

Le condizioni dei prigionieri palestinesi

Sabato scorso, Israele e Hamas hanno effettuato il sesto scambio di prigionieri, prolungando il fragile cessate il fuoco a Gaza. Ma mentre gli ostaggi israeliani attualmente rilasciati sono stati sequestrati durante l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023, molti dei palestinesi con cui vengono scambiati, come spiega l’avvocata Sahar Francis, sono in carcere da molto più tempo. Negli ultimi decenni, “centinaia di migliaia” di palestinesi, compresi i bambini, sono stati detenuti arbitrariamente. Nelle carceri israeliane possono subire “intimidazioni e umiliazioni, molestie sessuali, percosse, fame” e altre violazioni dei diritti umani. La scabbia, malattia dilagante tra i detenuti palestinesi, negli ultimi 15 mesi ha ucciso almeno 60 prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. Israele, inoltre, sta sì rilasciando un gran numero di prigionieri palestinesi per ogni ostaggio israeliano liberato, ma sta anche effettuando nuovi arresti di massa, tra cui, osserva Francis, il riarresto di prigionieri rilasciati in precedenti scambi. Per l’avvocata, ciò significa che il sistema giudiziario israeliano “non si occupa di attuare la giustizia”, ma è piuttosto “uno strumento per l’oppressione e il controllo della società palestinese”.

Rifat Kassis durante l'intervista con Joe Tulloch

Rifat Kassis durante l’intervista con Joe Tulloch

Sfollamento di massa e diritto internazionale

Rifat Kassis, segretario generale di Kairos Palestina, ricorda che il Documento Kairos del 2009 fu un tentativo, “fondato sulla fede e sul nostro impegno per la resistenza non violenta”, di parlare delle difficoltà quotidiane affrontate dai palestinesi. Tuttavia, la situazione è talmente, inaspettatamente, peggiorata dal 7 ottobre, a Gaza come in Cisgiordania, che ora Kairos sta lavorando a un nuovo documento che integri la dichiarazione di 16 anni fa. Inoltre, è il suo timore, la situazione rischia di peggiorare ulteriormente, soprattutto se il piano del presidente Trump per lo sfollamento di massa dei gazawi dovesse entrare in vigore. A questo proposito, Kassis cita una recente dichiarazione dei Patriarchi e dei capi delle Chiese di Gerusalemme, che condanna il progetto, bollandolo come “un’ingiustizia che colpisce il cuore stesso della dignità umana”. Considerando il caos che comporterebbe lo spostamento forzato dei 2 milioni di abitanti di Gaza, indica ancora Kassis, la proposta non equivale solo a una pulizia etnica, ma anche a un “appello a una guerra continua, non solo in Palestina, ma nell’intera regione”. Viene quindi ancora una volta ribadita l’importanza del rispetto del diritto internazionale, anche per quanto riguarda i mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale contro il comandante militare di Hamas Mohammed Deif e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. La Corte penale internazionale è stata istituita a Roma, precisa Kassis, e questo è sicuramente un motivo per cui sia l’Italia che la Santa Sede sono “doppiamente preoccupate” per l’applicazione delle sue sentenze. 

Papa Francesco e la Palestina

Nel corso della visita dei tre attivisti a Roma, era stata programmata la loro presenza all’udienza generale di mercoledì 19 febbraio del Papa, evento saltato a causa dei problemi di salute del Pontefice. Tutti e tre ora stanno pregando per lui. Ed è il reverendo Isaac a sottolineare l’amore che la Palestina tutta prova per Francesco. Isaac non solo sottolinea l’importanza delle conversazioni telefoniche del Papa con la parrocchia cattolica di Gaza, ma anche la sua visita in Cisgiordania nel 2014 e quel “ricordo indelebile per i palestinesi” che fu la preghiera recitata da Francesco vicino al muro che separa Betlemme da Gerusalemme. “In quel momento – conclude Isaac – toccò la profondità dei nostri cuori. Spesso ci chiediamo: ma al resto del mondo interessiamo? Siamo considerati alla pari? Ecco, quello fu il momento in cui ci sentimmo umanizzati”.



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