Bab-al-Tabbeneh, la “favela” libanese dove si combatte la droga e si sogna la pace

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Al terzo giorno di missione in Libano, il cardinale Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo integrale, si è spostato a Tripoli dove, nel quartiere più povero di tutto il Mediterraneo, colpito da una guerra di quasi 40 anni tra sunniti e alawiti, ha visitato la struttura di “Forsa”, progetto sostenuto da musulmani e cristiani per la riabilitazione dei tossicodipendenti. Tappa anche nella scuola Al-Moutrane Al-Raaiya, dove i piccoli alunni inneggiano a un futuro “senza guerra e ingiustizia”

Salvatore Cernuzio – Tripoli

Hussein ha 32 anni e ha iniziato a drogarsi a 15. È biondo, alto, dai tratti quasi caucasici, e non si direbbe che per oltre dieci anni è stato tossicodipendente, senzatetto, spacciatore occasionale per racimolare una dose per sé stesso. Hussein ha poi intrapreso un percorso di riabilitazione e da anni non fa più uso di sostanze. La classica storia a lieto fine, di cadute e risalite, potrebbe sembrare quella del giovane libanese di Tripoli, nord del Paese. Ma tra l’iniziare a drogarsi e il “ripulirsi” completamente, c’è in mezzo un’ampia gamma di lacerazioni umane, fisiche e spirituali. Ferite, forse più profonde da quelle inflitte dall’eroina, che si rimarginano dopo anni e anni. Hussein le ha rimarginate e questa, probabilmente, è la più grande vittoria. Ce l’ha fatta grazie ad un progetto chiamato Forsa, il primo centro di riabilitazione per le dipendenze a Tripoli, Libano del Nord, dedicato a ragazzi come lui finiti per strada e in trappole da cui è difficile uscire da soli.

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Una veduta di Tripoli

Musulmani e cristiani insieme

L’iniziativa – visitata e incoraggiata ieri, terzo giorno di missione nel Paese dei Cedri, dal cardinale Michael Czerny, prefetto dal Dicastero per lo Sviluppo umano integrale che sostiene il progetto – è realizzata dalle organizzazioni Al Manhaj e Oum El Nour sotto il patrocinio di Dar Al Fatwa (l’autorità religiosa islamica), l’Arcidiocesi Maronita di Tripoli e l’Esercito Libanese.

Musulmani e cristiani, quindi, uniti per dare una risposta alla piaga dell’abuso di droghe che affligge l’intera città di Tripoli, priva, a causa della crisi, di strutture per trattamento e riabilitazione, e travolge in particolare la zona in cui sorge la struttura di Forsa: Bab-al-Tabbaneh. Un quartiere povero ma così povero da essere conosciuto come la “favela del Mediterraneo”. Colpa di un conflitto quarantennale (1976-2015) tra residenti musulmani sunniti e alawiti del vicino quartiere Jabal Mohsen, che, oltre a una lunga scia di morti, anche giovanissimi (i volti, elogiati come “martiri”, campeggiano in gigantografie appese per strada) ha generato violenza, povertà, incertezza. E anche un abbrutimento dell’intero distretto, ridotto a palazzi diroccati tutti dello stesso tono grigiastro, con l’unico colore dei panni messi ad asciugare nelle inferriate, spazzatura e cumuli di stracci o addirittura piumoni abbandonati sui marciapiedi, botteghe e mercati fatiscenti che vendono tappeti, borse e scarpe fake, frutta e verdura. Frutta e verdura ovunque: in cestoni, vaschette, carretti posizionati in mezzo alla strada a restringere le carreggiate e aumentare il traffico.

Il progetto “Forsa” per dare forza a chi è vittima delle dipendenze

Non è facile addentrarsi in questo dedalo di stradone e stradine, dove si guida come se non esistessero corsie, ci si veste come se non ci fossero stagioni, si fuma come se non ci fosse un domani. Solo nell’ultimo tratto, quando il canto del muezzin va scemando, la strada diventa più ampia e sterrata e in lontananza appare un cartello bianco con una scritta multicolore, Forsa. Una parola araba che significa alla lettera “chance, opportunità” ma che suona come un incoraggiamento: “Forza!”. Quella che si cerca di infondere agli undici ragazzi dai 18 ai 30 anni in recupero in questa struttura a tre piani dalle pareti bianche e dal forte odore di vaniglia. Tutti uomini, tutti ex tossicodipendenti. Gli operatori si prendono cura di loro a 360 gradi, non trascurando il lato psicologico e affettivo. “Si lavora sul bene integrale della persona e sulla dignità”.

Lavoro sul bene integrale e sulla dignità

Si lavora, quindi, anche su dialogo e interazioni per colmare quei vuoti dell’anima che si è tentato di riempire con le droghe. Si inizia dalle piccole cose, come le camerette da condividere sempre in tre “così da aiutarsi e controllarsi a vicenda e creare una fraternità che aiuta”, come spiega il presidente di Forsa al cardinale Czerny, accompagnato dal Muftì di Tripoli, Mohammad Imam, dal nunzio apostolico Paolo Borgia e dall’arcivescovo maronita Youssef Soueif. Alcuni dei ragazzi si fanno trovare in un salotto, in semicerchio, e salutano con italiano stentato il cardinale: “Buonasera”, dicono, ma non sono neppure le 10 del mattino. Alcuni poggiano la fronte sulla mano del porporato, in segno di riverenza.

Case diroccate e carretti di frutta a Bab-al-Tabbeneh

Case diroccate e carretti di frutta a Bab-al-Tabbeneh

La testimonianza di Hussein

Tra loro c’è Hussein, unico a rendere una testimonianza ai presenti. Proveniente da una famiglia di cinque figli, racconta: “Non sono riuscito a trovare amore dai miei genitori, allora sono andato per strada a trovarlo con gli amici. Ho iniziato con la droga a 15 anni, ho cominciato a rubare a mamma e papà per comprarla. Ho ferito tanto i miei genitori che mi aspettavano fino alla mattina che tornassi. Mi hanno visto fuori di me. Nessuno vorrebbe vedere gli occhi dei propri genitori in queste situazioni”.

Il ragazzo dice di essere diventato “uno schiavo” di sostanze e spacciatori: “Mi chiedevano di uscire alle 3 del mattino, prendere una macchina rubata e far arrivare la droga a qualcuno, così potevo ricevere una dose anch’io. Poi mi lasciavano lì per strada. Sono diventato un senzatetto”. Hussein ha iniziato a odiare sé stesso: “Mi guardavo allo specchio e mi urlavo contro parole brutte. Mi ero stancato di me”. Non lo ha fatto sua madre: “In dodici anni non mi ha mai mollato”. E lo ha portato al centro Forsa dove “è iniziata la mia nuova vita”. “Anzitutto – racconta Hussein – ho imparato a essere buono con me stesso, ho iniziato a organizzarmi, a controllarmi, a vivere il giorno come giorno e la notte come notte, non il contrario. Ho imparato a dialogare con me e con gli altri. E ho scoperto la dignità come persona e che la vita è bella”.

Un segno per tutta la società

Un grosso applauso saluta la testimonianza, alla quale segue l’intervento del cardinale Czerny: “Questo posto è un messaggio, un segno per tutta la società”, afferma. Dopo di lui il nunzio Borgia che si rivolge in particolare agli operatori: “Pensate a un bambino andato a giocare fuori che torna sporco, abbiate lo stesso amore del papà e della mamma che lo aiutano a pulirlo. Tirate fuori la bellezza dentro ciascuno”.

La scuola dai due ingressi, in mezzo al conflitto 

E se la bellezza avesse un volto sarebbe quello degli oltre cento bambini che, con copricapi tradizionali e grembiulini, accolgono il cardinale nella successiva tappa nella scuola Al-Moutrane Al-Raaiya, istituto storico di Tripoli dalla collocazione strategica, esattamente all’incrocio tra Bab-al-Tabbaneh e Jabal Mohsen. Si racconta infatti che nella scuola ci fossero due ingressi: da uno entravano i sunniti, dall’altro gli alawiti. “Lasciavano i figli a scuola e poi andavano ad ammazzarsi”. Fondata nel 1963 sui terreni della chiesa Saydet Al-Hara (Nostra Signora del Quartiere), la più antica chiesa di Tripoli di oltre 1200 anni, la scuola – una delle quindici dell’Arcidiocesi maronita – è divenuto nel tempo luogo di incontro e di pace.

Il cardinale con i bambini della scuola

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Educazione comune per bambini di tutte le religioni

Oggi i bambini di tutte le confessioni (i cristiani sono circa il 2%) ricevono “un’educazione comune” e i genitori si incontrano in spirito di rispetto. Passata la guerra, c’è da combattere però l’altra “guerra”, la crisi economica. Molti studenti sono costretti infatti ad abbandonare gli studi per lavorare. Per questo ad Al- Moutrane Al-Raaiya non esistono tasse né rette, si versa una quota minima annuale e si sostiene chi non riesce a pagare. Non sono i soldi quelli che importano all’istituto, ma poter “costruire la nazione costruendo l’uomo” attraverso la promozione di valori umani e cristiani, quali il dialogo, l’accettazione dell’altro, la cittadinanza. Un bagaglio di cui si dicono grate diverse mamme, ex alunne: “Qui ci hanno insegnato ad avere dignità, ambizione, ci hanno aiutato a realizzare tutto quello che volevamo realizzare”. Per questo hanno voluto iscrivere i figli nello stesso istituto.

Il saluto agli alunni di Al-Moutrane Al-Raaiya

Il saluto agli alunni di Al-Moutrane Al-Raaiya

Inno di pace

Proprio loro, i bambini, sono i protagonisti della parte conclusiva dell’incontro, danzando per il cardinale Czerny e intonando un canto in francese. Il ritmo di una filastrocca, ma un testo programmatico: “Liberi, uguali e fratelli, nonostante la povertà e la guerra, vi renderemo orgogliosi di noi… Costruiamo un Paese senza povertà. Sogniamo un Paese moderno e pieno di vita. Vogliamo, sì! Possiamo, sì!”.



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