Dazi reciproci USA: le tariffe italiane all’import sono in media inferiori a quelle americane, ma con importanti differenze tra settori. I trasporti, auto in primis, l’agroalimentare e la meccanica ed elettronica sono i più esposti.
Dopo il report rilasciato lo scorso 12 febbraio, approfondiamo ulteriormente il tema dei possibili impatti dei dazi USA integrando le nuove prospettive di ‘reciprocità’ che il Presidente Trump ha di recente annunciato. I ragionamenti qui esposti si limitano a considerare la reciprocità dei dazi, mentre non considerano l’IVA o altre imposte perché, nonostante rappresentino un’ulteriore barriera secondo l’Amministrazione americana, mancano elementi conoscitivi imprescindibili per una chiara quantificazione del loro impatto. Tutti i dati relativi al valore degli scambi riportati in questa nota sono espressi in dollari, per coerenza con il database utilizzato per le tariffe (World Bank-WITS).
Nel 2022, in media, le imprese americane che hanno esportato in Italia hanno subito una tariffa dell’1,1%; viceversa, le imprese italiane esportatrici negli USA hanno fronteggiato dei dazi medi del 3,1%. Pertanto, da un primo sguardo sommario, l’applicazione di un principio di reciprocità parrebbe sfavorevole per gli Stati Uniti nel rapporto con l’Italia. Tuttavia, il quadro a livello di settori e singoli prodotti è molto variegato: nel complesso, il 51% di tutti i prodotti scambiati tra Italia e USA è soggetto a tariffe superiori nel nostro Paese. I dazi sono sbilanciati a favore dell’Italia soprattutto nella gomma-plastica (per il 70% dei prodotti), nei trasporti (69%), nell’agroalimentare e nella chimica e farmaceutica (67%), e nella meccanica ed elettronica (59%). Questi settori contano quindi un maggior numero di prodotti che potrebbero subire aumenti tariffari nel caso di imposizione di dazi reciproci. Considerando il valore delle esportazioni italiane, i prodotti su cui verrebbero innalzate le tariffe valgono circa 32,0 miliardi di dollari, coinvolgendo principalmente trasporti, agroalimentare e meccanica ed elettronica. Difficile, invece, ipotizzare un minor onere per le imprese italiane dei settori per i quali siamo svantaggiati in termini di tariffe, che comunque coinvolgono il 30% dei prodotti scambiati e valgono 15,9 miliardi di dollari.
I dazi reciproci annunciati dagli USA
Con un Memorandum Presidenziale del 12 febbraio 2025, l’amministrazione Trump ha annunciato lo sviluppo del Fair and Reciprocal Plan, un vasto piano che mette al centro l’aggiustamento delle attuali tariffe doganali americane in modo che siano reciproche rispetto agli altri Paesi. L’annuncio considera alcuni esempi che giustificherebbero tale piano: nei confronti dell’UE è citato il caso delle auto, che all’ingresso nel nostro continente vedono una tariffa del 10%, mentre gli Stati Uniti impongono solo un 2,5%.
La mancanza di reciprocità è individuata come una delle cause del trade deficit americano e comprende non solo i dazi doganali ma anche altre tasse imposte da Paesi esteri sulle imprese americane che esportano. Ad esempio, un consulente dell’amministrazione Trump, Peter Navarro, ha fatto riferimento all’imposta sul valore aggiunto, che arriva “quasi a triplicare le tariffe dell’UE sulle esportazioni americane”. L’IVA, infatti, si applica anche ai beni venduti da imprese extra-UE sul territorio europeo (mentre negli USA esistono solo delle tasse statali di entità minore), costituendo nella visione americana un’ulteriore barriera all’export nel nostro continente.
Dal momento che si tratta ancora di un annuncio e che mancano dettagli su come le imposte non doganali entrerebbero nella quantificazione dei nuovi dazi, la presente analisi si limita a considerare i differenziali tra le tariffe all’ingresso tra Italia e Stati Uniti, tralasciando l’impatto di IVA e altre tasse.
La (non) reciprocità dei dazi tra Italia e USA: il quadro aggregato e i settori
Sebbene per valutare l’eventuale impatto di dazi reciproci sia necessario considerare i singoli prodotti, è utile partire da un’analisi aggregata della bilancia commerciale e “doganale” dei settori italiani rispetto ai corrispettivi americani.
Considerando tutti i prodotti scambiati tra i due Paesi e i relativi dazi, nel 2022 le imprese americane che hanno esportato in Italia hanno subito una tariffa media dell’1,1%; viceversa, le imprese italiane esportatrici negli USA hanno fronteggiato dei dazi medi del 3,1%.1 Da questi dati la “bilancia doganale” risulterebbe quindi sbilanciata a favore degli Stati Uniti. Ciononostante, la bilancia commerciale è fortemente positiva per il nostro Paese: in media tra 2022 e 2024, l’Italia ha fatto registrare un surplus di 48,9 miliardi di dollari (dati World Bank-WITS).
Figura 1: Bilancia commerciale (media 2022-2024) e differenziale tariffe (2022) tra Italia e USA
Fonte: elaborazione Centro Studi Assolombarda su dati World Bank-WITS
Scendendo a un primo livello di dettaglio (Figura 1), nella media tra 2022 e 2024, l’Italia ha conseguito un surplus negli scambi in tutti i settori (eccetto che nei combustibili)2, con punte nella meccanica ed elettronica (14,5 miliardi di dollari), nell’agroalimentare (6,7 miliardi), nei trasporti (6,4 miliardi) e nella chimica e farmaceutica (5,7 miliardi), oltre che nella moda se si sommano abbigliamento e prodotti tessili, calzature e pelli e cuoio (per un totale di 7,1 miliardi).
Risulta più variegato il quadro del differenziale tra le tariffe. In Figura 1 è mostrata per settore anche la bilancia doganale, intesa come differenziale tra la tariffa praticata dall’Italia sulle importazioni dagli Stati Uniti e la tariffa imposta dagli USA sulle nostre imprese: un differenziale positivo indica una maggiore “protezione” per le imprese italiane di quel settore. Negli scambi tra Italia e Stati Uniti, le imprese italiane pagano dazi superiori in special modo nei settori legati alla moda, con differenziali negativi di 6 punti percentuali (p.p.) per pelli e cuoio, di 2,6 p.p. per le calzature e di 1,5 p.p. per abbigliamento e prodotti tessili; anche per i prodotti da minerali non metalliferi c’è un differenziale di 3,8 p.p. che pesa sulle imprese italiane. Al contrario, le tariffe sono sbilanciate a sfavore delle imprese americane nei trasporti (+1,8 p.p.), nella gomma-plastica (+1,3 p.p.), nella meccanica ed elettronica (+0,9 p.p.) e nei metalli (+0,7 p.p.).
I prodotti italiani più esposti in caso di dazi reciproci
Per comprendere meglio quale potrebbe essere l’impatto di dazi reciproci, l’analisi in questa sezione si sposta sui singoli prodotti (o categorie di prodotto). Nello specifico, è stata considerata la classificazione merceologica SH6, fino a un dettaglio di 4 digit, arrivando così a comprendere quasi 1.200 prodotti scambiati tra Italia e Stati Uniti.3 Rispetto alla sezione precedente, questa analisi permette di concentrarsi sulle singole merci cui sono solitamente applicati i dazi (come nell’esempio delle tariffe UE del 10% sulle auto).4
Nel complesso, poco più della metà dei prodotti (il 51%) è soggetta a tariffe superiori in Italia rispetto agli Stati Uniti (vedi Figura 2); per il 30% la situazione è opposta, mentre per il restante 19% la bilancia doganale è perfettamente equilibrata (nella maggior parte dei casi grazie a dazi nulli in entrambe le direzioni). Le tariffe sono sbilanciate a favore dell’Italia soprattutto nella gomma-plastica (per il 70% dei prodotti), nei trasporti (69%), nell’agroalimentare e nella chimica e farmaceutica (67%), e nella meccanica ed elettronica (59%). Questi settori contano quindi un maggior numero di prodotti che potrebbero subire aumenti tariffari nel caso di imposizione di dazi reciproci.
Viceversa, i settori del sistema moda si caratterizzano per una maggior quota di prodotti con barriere doganali più “aperte” in Italia: 61% dei prodotti nelle calzature, 54% nell’abbigliamento e nei prodotti tessili, 53% nelle pelli e nel cuoio. In questi casi, l’applicazione di un principio di reciprocità dovrebbe teoricamente portare a un abbassamento dei dazi americani, anche se tale ipotesi non sembra rientrare nelle intenzioni dei policymakers d’oltreoceano.5
Figura 2: Suddivisione prodotti, per settore, in base al differenziale delle tariffe tra Italia e USA (2022)
Fonte: elaborazione Centro Studi Assolombarda su dati World Bank-WITS
In totale sono quindi 485 i prodotti esportati dall’Italia verso gli Stati Uniti che subirebbero un aumento tariffario in caso di dazi (perfettamente) reciproci, con incrementi che arriverebbero a un massimo del 16,9%. Tuttavia, la maggior parte dei prodotti (l’89%) vedrebbe aumenti tariffari moderati, inferiori a 5 p.p.
Questi prodotti rappresentano 32,0 miliardi di dollari di esportazioni italiane (media tra 2022 e 2024). Riaggregandoli nei rispettivi settori è possibile identificare quelli più esposti all’eventuale politica dei dazi reciproci. Il grafico in Figura 3 mostra il valore dei settori e l’incremento medio delle tariffe in caso di reciprocità (calcolato pesando l’incremento dei singoli prodotti con il relativo valore di export). Il settore della meccanica ed elettronica risulta essere il più importante in termini di valore (11,8 miliardi di dollari), ma gli incrementi tariffari sarebbero relativamente limitati (+1,4 p.p.). I trasporti invece, e le auto in particolare, combinano una quota importante di export (6,6 miliardi) con degli aumenti significativi nei dazi (5,6 p.p.). Un quadro simile caratterizza i prodotti dell’agroalimentare, che valgono 1,9 miliardi e subirebbero un incremento delle tariffe di 5,8 p.p.
Viceversa, sono 288 i prodotti che a oggi fronteggiano tariffe più alte negli Stati Uniti. Rappresentano 15,9 miliardi di dollari per l’export italiano e coinvolgono principalmente il sistema moda, i prodotti da minerali non metalliferi e una parte di meccanica ed elettronica.
Figura 3: Valore export (media 2022-2024) e potenziale incremento tariffario (rispetto a 2022) dei prodotti con dazi favorevoli all’Italia, per settore
Fonte: elaborazione Centro Studi Assolombarda su dati World Bank-WITS
Tutti i 485 prodotti sono mostrati nel grafico interattivo in Figura 4, che li posiziona in termini di valore dell’export italiano (asse verticale) e di potenziale aumento tariffario.
1 Tutti valori citati in questa nota fanno riferimento a tariffe ad valorem. Inoltre, le tariffe medie aggregate, e quelle che seguono per i settori, corrispondono a una media ponderata che tiene conto della struttura delle importazioni: se un Paese importa una quantità maggiore di un prodotto soggetto a dazi doganali di poca entità, la tariffa media aggregata sarà relativamente più bassa.
2 Il settore dei combustibili non è considerato in questa analisi date le sue peculiarità.
3 Nello specifico si tratta di 1.188 prodotti. Di questi sono 956 quelli per cui sono disponibili informazioni sulle tariffe applicate in entrambi i Paesi.
4 Questa analisi più disaggregata permette anche di depurare (in gran parte) l’effetto della struttura degli scambi sulle tariffe medie pesate. La depurazione non è comunque completa perché, a loro volta, questi prodotti sono disaggregati in sottoprodotti sui quali le tariffe possono essere diverse. Per questo motivo, anche nell’analisi che segue, sono considerate le tariffe medie pesate per prodotto.
5 Questa ipotesi è discussa con i commenti di alcuni analisti in un articolo del Financial Times del 14 febbraio.
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