Pensioni, cosa cambia dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla rivalutazione?

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Di recente la Corte Costituzionale si è espressa sulla rivalutazione delle pensioni, in particolare riguardo alle misure di raffreddamento previste dalla legge di Bilancio 2023 (poi confermate nel 2024). Quest’ultima ha imposto regole diverse per la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici, con percentuali di adeguamento agli indici Istat meno favorevoli. Sostanzialmente, nel biennio 2023-2024 i pensionati italiani hanno percepito pensioni più basse rispetto all’aumento del costo della vita dovuto all’inflazione (nel solo caso di assegni il cui importo supera di 4 volte il trattamento minimo).

La questione ha sollevato l’apprensione dei sindacati, che ora mostrano delle perplessità sulla sentenza. La Corte Costituzionale ha infatti confermato la legittimità della Manovra finanziaria, ponendo di fatto un freno a ulteriori ricorsi e pretese di adeguamento e rimborso. Cambiano così le prospettive per i pensionati italiani, molti dei quali avevano sperato fino a questo momento di ottenere una riparazione della perdita del potere d’acquisto.

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Cosa dice la sentenza

Con la sentenza n. 19/2025 la Corte Costituzionale risponde alle questioni di legittimità sollevate dalle Corti dei Conti della Toscana e della Campania. Come anticipato, i giudici hanno confermato la legittimità della legge n. 197/2022, per l’appunto la legge di Bilancio 2023. Quest’ultima ha abbassato le percentuali di rivalutazione per alcuni scaglioni delle pensioni, nel dettaglio a partire dai trattamenti superiori a 4 volte il minimo Inps. Le percentuali di perequazione sono state via via diminuite per le pensioni in proporzione alla loro entità, comportando incrementi non pienamente adeguati rispetto all’aumento del costo della vita.

Secondo la Corte Costituzionale, si è trattato di una decisione del tutto legittima e coerente con la politica economica cui è chiamato il governo. Assicurando la piena perequazione alle pensioni più basse e riducendola progressivamente per le altre è stata infatti garantita la tutela delle fasce più deboli, senza ledere i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza. La questione è stata affrontata rispetto all’articolo 3 della Costituzione, che sancisce l’uguaglianza e la pari dignità dei cittadini, e all’articolo 38. Quest’ultimo definisce per l’appunto il diritto dei cittadini ai trattamenti pensionistici, coerenti con le esigenze di vita degli stessi.

La decisione di ridurre le percentuali di adeguamento al costo della vita per le pensioni superiori a 4 volte il minimo Inps non è quindi considerata contraria alla Costituzione italiana. I diritti dei cittadini vengono rispettati attraverso la tutela delle fasce più deboli, limitando alle pensioni più elevate e meno lese dalla perdita del potere d’acquisto la riduzione, che è comunque temporanea, proporzionata e giustificata dalle finalità di politica economica.

Cosa cambia ora

Con la sentenza della Corte Costituzionale sulla rivalutazione pensionistica si spengono definitivamente le speranze di tanti pensionati italiani. Nel biennio appena trascorso – la rivalutazione è tornata alle regole ordinarie previste dalla legge di Bilancio 2020 dal 1° gennaio 2025 – molti hanno lamentato l’ingiustizia della misura, sperando così in rimborsi e arretrati. Nulla di tutto ciò, il raffreddamento è stato imposto validamente e non dà diritto alla compensazione della perdita del potere d’acquisto così patita.

La sentenza attesa con grande apprensione non soddisfa quindi le aspettative di molti cittadini, ma conferma il potere del governo di indirizzare la politica economica. D’altra parte, la Corte Costituzionale ha invitato a tener conto della rivalutazione ridotta applicata ad alcuni trattamenti pensionistici nelle future manovre di indicizzazione degli stessi.

In questo modo il danno subito potrà essere indirettamente compensato, per quanto non ci siano obblighi in tal senso. I giudici ricordano, infatti, che bisogna tenere conto delle esigenze di spesa pubblica e del progetto di gestione delle finanze. L’importante è che non siano lesi i diritti dei pensionati, garantendo alle pensioni più modeste le misure idonee a rimediare all’inflazione. Naturalmente, ciò non preclude l’azione legale dei pensionati che, per qualche motivo, hanno percepito un trattamento inferiore a quanto spettante per legge.

Le perplessità dei sindacati

Mentre il governo pare soddisfatto della sentenza, difendendo la necessità della misura di raffreddamento per la tutela stessa del sistema pensionistico, i sindacati sono perplessi. Nonostante non sia stata accertata una lesione dei diritti costituzionalmente garantiti rimane, infatti, una lesione del potere d’acquisto di una grande fetta di cittadini. Le organizzazioni sindacali puntano così a una riforma strutturale, che preveda regole stabili per limitare il margine di manovra del governo.

I sindacati Cgil e Spi, inoltre, non si sono arresi e hanno deciso di portare avanti il contenzioso per l’applicazione della percentuale di rivalutazione ridotta alla sola parte del trattamento superiore all’importo di riferimento. La questione è ancora aperta in diversi tribunali italiani, pertanto nulla è ancora deciso, ma è innegabile che la decisione della Corte Costituzionale non apre spiragli positivi. Le sigle sindacali si dichiarano in ogni caso insoddisfatte dell’operato del governo, che ha così colpito maggiormente proprio i cittadini che hanno contribuito di più al sistema pensionistico. Una scelta che stride con i disagi dovuti all’evasione fiscale e contributiva, che fa dubitare sull’equità stessa della decisione. Dal punto di vista costituzionale, comunque, non ci sono dubbi: sono stati garantiti i diritti dei cittadini e non c’è spazio per azioni legali.

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