L’apprensione per la salute di Papa Francesco é legata al timore di vedere la Chiesa cattolica priva del suo vertice e il mondo di un leader spirituale e politico portatore di un messaggio orientato alla pace e alla ragionevolezza in un periodo di caos e tensioni. Mai quanto oggi il vuoto lasciato da Sua Santità apparirebbe difficile da colmare, tanto sul piano religioso e devozionale quanto su quello del ruolo globale della più grande istituzione religiosa del pianeta.
Francesco e la speranza della pace
In un mondo in fiamme, la Chiesa di Francesco è stata artefice di un autentico apostolato di pace. Lo è stata in continuità con quella dei papati che l’hanno preceduta: quella di Benedetto XVI, che con la sua Caritas in Veritate plasmò l’immagine di una dottrina sociale per l’uomo e al servizio dell’uomo; quella di Giovanni Paolo II, contrario a ogni forma di totalitarismo e alle guerre mediorientali dei primi anni Duemila; quelle capaci di leggere il segno dei tempi di Paolo VI e Giovanni XXIII. Francesco col suo pontificato ha riassunto e incorporato tutti i papati precedenti.
La sua azione per la pace è stata pienamente “geopolitica” perché ha dovuto scontrarsi con un mondo mai così caotico, imprevedibile e pieno di rivalità dalla fine della Seconda guerra mondiale. Un mondo impegnato in uno scontro egemonico tra grandi potenze (Usa, Russia, Cina) con conflitti nelle linee di faglia strategiche, violenza diffusa e scontri locali e identitari, in cui le periferie sono diventate sempre di più centro. E Francesco l’ha capito, rimettendo al centro le periferie nei suoi viaggi apostolici, nella composizione del collegio cardinalizio, nella continua e dirompente azione di pace. Spes contra spem, la speranza contro ogni speranza come chiave di volta per portare ovunque il dialogo ed essere “il sale della Terra” facendo della Chiesa Cattolica una delle ultime grandi istituzioni emancipatrici presenti e attive oggigiorno.
Dalla mediazione tra Usa e Cuba nel 2015 al tentativo diplomatico di fermare il conflitto tra Russia e Ucraina, dalle preghiere quotidiane in telefonata con le parrocchie di Gaza al dialogo sul Sud Sudan e per la stabilizzazione del Venezuela, passando per il faro acceso sulle guerre dimenticate dal Sudan al Myanmar e a visite pastorali profonde come quelle in Iraq (2021) e Repubblica Centrafricana (2015), la lunga mano del pontefice venuto “dalla fine del mondo” si è sentita ovunque.
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Francesco contro le logiche della guerra e della paura
Attrezzandosi per permettere alla sua istituzione di leggere la “Guerra mondiale a pezzi” o “Guerra Fredda 2.0″ come il motore che ha alimentato in continuazione un grande disordine globale dal 2013 a oggi, papa Francesco ha utilizzato tutti gli strumenti della diplomazia vaticana per andare controcorrente in un mondo in fiamme, promuovendo la pace laddove il tempo della guerra sembrava essere dominante.
L’obiettivo? Adoperarsi per ricucire strappi, far rientrare crisi, contribuire al dialogo in contesti problematici perché, come amava ricordare, “Dio ci vuole in cammino“. Quello di papa Francesco è stato un programma attuato valorizzando tanto il peso morale e diplomatico della Santa Sede, rappresentato spesso dal Segretario di Stato Pietro Parolin, quanto un’azione di persuasione ideale e spirituale allo “scandalo della pace“, condotta tuonando contro mercanti della paura, finanziatori delle guerre che insanguinano il pianeta, seminatori di discordia.
Jorge Mario Bergoglio, gesuita di estrazione ma francescano nel nome e nello spirito, ha unito la vocazione di “pellegrino di pace” alla necessità di dialogare, senza preclusione, coi “sultani” di tutto il mondo. Promuovendo una visione multipolare delle relazioni internazionali e un’idea complessa di ordine globale fondato sul dialogo. “Nel mondo, ma non del mondo”, perlomeno non nel mondo di oggi, la Chiesa di Francesco ha costruito ponti laddove si edificavano muri e trincee. E questo basta a ricordare come degna di nota e di continuità un’azione che è stata, negli ultimi tempi, un pungolo per il mondo.
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