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 Energia e agricoltura, serve un nuovo modello. O i Paesi ricchi rischiano
Jørgen Randers, economista norvegese: nel 2025 uscirà in Italia, per Edizioni ambiente, il suo nuovo libro “Tax the rich”

«Dirò forse qualcosa di inaspettato ma non temo il collasso ambientale da qui ai prossimi 30 anni. Quello che mi spaventa è il collasso sociale che si verifica quando un’ampia fetta della popolazione vede crollare il benessere percepito dopo anni di crescita». Esperto nel campo degli studi futuri, Jørgen Randers è uno delle figure di riferimento a livello globale quando si tratta di analizzare le intersezioni tra economia, ambiente e benessere. Di incrociare migliaia di dati legati all’impatto umano sulla Terra. Lo incontriamo per un caffè a Milano, ha con sé una copia della nuova edizione di 2052. Scenari globali per i prossimi anni, libro che ha scritto nel 2012, in cui si analizzano gli effetti della rotta imboccata dall’umanità: dall’iperconsumismo all’aumento delle disuguaglianze, fino alla spinta tecnologica. Un testo ancora «tristemente attuale», dice.

L’economista Jørgen Randers: «La buona notizia è la previsione del rallentamento nella crescita della popolazione. Ma si investa in tecnologie verdi per rallentare la crisi, altrimenti il benessere crollerà, in primo luogo nel Nord del mondo»

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Da ecologista – è stato vicedirettore generale del Wwf e tra gli autori del noto report The Limits to Growth del 1972–, Randers spiega che purtroppo non è cambiato abbastanza da quando le sue previsioni aprirono il dibattito sulla questione della sostenibilità e del consumo sproporzionato di risorse. «Allora non si parlava ancora di cambiamento climatico o sviluppo sostenibile in questi termini», racconta. «Oggi se ne discute molto ma nonostante i passi avanti troppo poco è stato fatto soprattutto per il mantenimento della temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi. Viviamo in un modo che non potrà essere portato avanti dalle generazioni future senza importanti cambiamenti». In base ai calcoli nel testo se il modello di crescita economica non cambia, in 100 anni andremo incontro a shock economici, sociali e ambientali senza precedenti. «Non ci sarà abbastanza energia per tutti, non abbastanza cibo», aggiunge, «e l’agricoltura non reggerà il passo delle nostre esigenze. Il che polarizzerà la società tra chi ha accesso a queste risorse e chi no».

Il picco e poi la discesa

Per lo scienziato non arriveremo però al collasso ambientale. E non per meriti sul fronte della sostenibilità ma per via del declino demografico nei Paesi Ocse. «La crescita delle popolazione, ed è l’unica buona notizia per il Pianeta, si ridurrà. La popolazione raggiungerà un picco intorno al 2040 per poi decrescere lentamente con una conseguente riduzione degli impatti sulla biosfera», aggiunge. Secondo il professore infatti la principale impronta ecologica dell’umanità è legata all’uso dell’energia («emettiamo ogni anno il doppio dei gas serra che foreste e oceani sono in grado di assorbire») che influisce sul clima. Pesano poi la produzione e il consumo di cibo che distrugge la biodiversità.

Stati sviluppati in difficoltà

Secondo Randers la crisi, che sarà prima sociale e poi ambientale, interesserà non i Paesi più poveri ma i Paesi ricchi, dove si rischia di subire maggiormente la stagnazione dell’economia. Un impasse che potrebbe portare al declino del benessere collettivo reale e percepito. Dice: «Posto che i danni climatici aumenteranno, avremo più eventi estremi da alluvioni a inondazioni, cresceranno anche le disuguaglianze sociali. Il miliardo di persone che oggi vive nella parte più sviluppata del mondo, di cui fa parte anche l’Italia, vivrà, senza un reale aumento dei salari, con un reddito pro capite più basso». Questa tensione avrà conseguenze su tutta la società. «Porterà a un calo della fiducia nella capacità dei governi di migliorare la situazione e a posizioni estremiste». Dopo anni di crescita sperimenteremo quindi un declino generalizzato della qualità della vita.

Rispettare i limiti planetari

Per invertire la rotta Randers spiega che occorre una risposta molto più forte e veloce da parte della società a quelli che chiama i limiti planetari. «Serve un’azione più decisa nel campo del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità. Il che significa una rapida riduzione dell’uso di carbone, petrolio e gas in favore delle fonti di energia rinnovabile. E una rapida riduzione del taglio delle foreste a cui si aggiunge la spinta sull’agricoltura rigenerativa». Fondamentale però, spiega il professore, che questa questa transizione sia pagata dai ricchi in ottica redistributiva. «La maggioranza dei lavoratori giustamente si opporrebbe all’aumento delle tasse o dei costi dell’energia. I più abbienti possono e devono farsi carico di una parte significativa dei costi sociali di questa azione. Penso a tasse per finanziare i costi aggiuntivi dell’energia sostenibile, del cibo e dei medicinali».

Usare la tecnologia

Il mondo che ci attende al 2052 e oltre sarà secondo il professore un mondo fatto di megalopoli, dominato dall’urbanizzazione. Saremo iperconnessi con una cultura urbana e artificiale,

lontana dal mondo naturale che sarà sul viale del tramonto. La tecnologia sarà il ponte tra noi e gli altri. Con un «ma», precisa Randers. «Le persone avranno comunque bisogno di energia e cibo. Sarà importante produrli in modo da non danneggiare l’ambiente aumentando ad esempio l’efficienza energetica e l’uso intelligente delle risorse. Chi vivrà in queste mega città dovrà poi essere disposto a pagare un prezzo più alto per avere elettricità da fonti rinnovabili. In breve, pagare di più per ridurre i danni all’ambiente derivanti dall’uso del digitale».

Le tasse da pagare

La tecnologia potrà essere d’aiuto in questo processo solo se ben gestita e se utilizzata in modo intelligente. «I dati», dice, «penso all’intelligenza artificiale di cui tanto si parla oggi, ci aiuteranno a comprendere meglio i fenomeni naturali estremi ma non a fermarli. Questo vorrei fosse chiaro». Per contrastare il climate change spiega Randers servono azioni forti. «E qui ritorno ai temi dei costi. Abbiamo già le tecnologie necessarie per sostituire i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Il problema è che le alternative green sono più costose». La vera sfida è accelerare l’introduzione di queste soluzioni nel minor tempo possibile. «Non credo che l’intelligenza artificiale sarà determinante. Lo sarà invece convincere le persone: il principale ostacolo è che la maggior parte delle persone non è disposta a pagare tasse extra necessarie per finanziare i progetti per accelerare la transizione verde». I cittadini però hanno la possibilità di agire per il clima spiega il professore. «I singoli dovrebbero fare del loro meglio per ridurre il più possibile l’uso di carbone, petrolio e gas. E sostenere l’agricoltura rigenerativa utilizzandone i prodotti». E poi c’è la politica. «Se si vuole cambiare il sistema la scelta è sostenere quei partiti che sono davvero verdi e scrivono nei loro programmi che sono disposti a sacrifici per accelerare la transizione verde. Resto convinto, nonostante siano passati anni da quando ero attivista, che sia necessaria un’azione collettiva, un’azione sociale che diventi azione governativa».

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