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Un Donald Trump definito “vulcanico” o “pirotecnico” ha dimostrato immediatamente di voler far seguire alle promesse elettorali i fatti. Nel diluvio di ordini esecutivi firmati appena dopo il suo nuovo insediamento alla Casa Bianca il capitolo immigrazione si staglia in primo piano. Trump ha imposto una rigida sterzata in senso restrittivo su entrambi i versanti delle politiche migratorie: quello degli ingressi e quello dell’integrazione sociale. In ambo i casi le sue decisioni hanno assunto profili esorbitanti. Cercano di forzare le prerogative presidenziali, inaugurando una prevedibile stagione di conflitti con giudici, governi locali, attori umanitari della società civile. Attaccando minoranze politicamente deboli, il neo-eletto presidente sembra voler affermare un principio: il leader eletto dal popolo sovrano rivendica poteri pressoché illimitati, che né la Costituzione, né le istituzioni internazionali, né le convenzioni sui diritti umani possono condizionare.
Sul fronte della gestione degli ingressi e dei confini, Trump ha rilanciato uno dei suoi programmi più noti: il muro al confine con il Messico. Ora ha mobilitato l’esercito, accreditando l’idea che l’immigrazione non autorizzata equivalga a un’invasione armata e rappresenti una minaccia esiziale per il suo Paese. Per alzare la tensione parla continuamente di assassini, criminali, trafficanti di droga. Non ha ascoltato i consiglieri militari che hanno cercato di spiegargli che forse l’esercito, con il tipo di addestramento che riceve e i letali armamenti di cui dispone, avrebbe altri compiti.
Ma 11 milioni d’immigrati irregolari già vivono e lavorano negli Stati Uniti. Tra l’altro, due su tre sono entrati in modo regolare, senza violare i confini. Anche questi, famiglie comprese, per “The Donald” sono pericolosi criminali da catturare e deportare. Inasprendo una linea già introdotta nel primo mandato, ha ordinato l’avvio di raid della polizia federale per rintracciarli, il primo a Chicago: una di quelle “città santuario”, come si definiscono, che si oppongono alle deportazioni. E ieri ha esibito la fotografia dei primi immigrati (presunti) irregolari, incatenati che venivano caricati su un aereo.
Più in generale ci si interroga sugli effetti che potrebbero avere queste misure sul mercato del lavoro, tanto rilevante è l’apporto degli immigrati non autorizzati in diverse occupazioni, dai servizi domestici all’agricoltura, dai ristoranti alle costruzioni. Lo ha ricordato nel suo accorato appello la vescova episcopaliana. Ma sono due le misure emblematiche che rivelano il furore ideologico della politica trumpiana. Il primo è l’annuncio che la caccia agli immigrati non si fermerà neppure alle porte delle chiese, considerate finora luoghi di asilo inviolabili. Il secondo è la cancellazione del programma di reinsediamento di oltre 10.000 rifugiati, in gran parte famiglie vulnerabili, già selezionati nei campi profughi del mondo insieme all’Unhcr e pronti a partire per iniziare una nuova vita negli Stati Uniti.
Non meno importanti, e per certi aspetti inedite, sono le decisioni di Trump in materia di politiche per l’integrazione. Sono stati aboliti i programmi per favorire l’inclusione e la diversità culturale, e chiusi gli uffici pubblici che se ne occupavano, con immediate ripercussioni anche nelle grandi aziende private. È stata persino licenziata la comandante della Guardia Costiera, colpevole di troppo impegno sull’argomento. Ma ancora più dirompente è un’altra misura: l’abolizione dello ius soli, incorporato nella Costituzione degli Stati Uniti. Non si comprende come un ordine esecutivo presidenziale possa modificare la Costituzione, ma a quanto sembra di questi dettagli Trump non si cura. Un giudice si è già opposto, e le autorità locali protestano: privi di cittadinanza, i nuovi nati graveranno sui loro bilanci.
Trump non teme di dividere la società statunitense, fomentando rancore e conflitti sociali. Pensa probabilmente che gli giovino, compattando dietro di lui il Paese inquieto che l’ha votato. Forse non si rende conto che renderà più caotica, divisa e disuguale la società statunitense.
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