Nei microstati i rapporti sociali possono influenzare la giustizia? Domanda interessante, intelligente e pertinente. A porsela è l’Istituto Giuridico dell’Università di San Marino che nella giornata di domani presenterà i risultati di una ricerca ad hoc. In attesa di apprendere la risposta, proviamo a tracciare qualche considerazione, con la doverosa premessa che lo scrivente non conosce i dettagli dello studio, né vi ha partecipato.
A San Marino, come in altre realtà di dimensioni contenute, la fitta rete di relazioni interpersonali pone interrogativi specifici sulla capacità di ogni “portatore di interessi”, sia esso magistrato, poliziotto o giornalista, tanto per citarne qualcuno, di operare al riparo da indebite influenze. Rimanendo tuttavia sul tema rilanciato dall’Ateneo, e focalizzandoci sulle toghe, le quali proprio per la dignità del proprio ruolo devono essere ancora più “specchiate” degli altri, ebbene appare doveroso riconoscere che il Titano ha compiuto passi significativi verso il consolidamento dell’autonomia della sua magistratura. L’introduzione di nuove normative, unitamente a una crescente professionalizzazione dei giudici, così come l’arrivo del Dirigente Canzio, ha contribuito a rafforzare la separazione tra poteri e a promuovere una cultura della terzietà e dell’imparzialità.
La formazione continua, l’adozione di codici etici rigorosi e la presenza di meccanismi di controllo interni ed esterni rappresentano elementi determinanti per preservare l’integrità del sistema giudiziario. Tali strumenti, uniti a una maggiore consapevolezza da parte della società civile dell’importanza della completa indipendenza del terzo potere dello Stato, costituiscono un argine efficace contro possibili ingerenze. Affermare che, in un contesto come quello sammarinese, il rischio di condizionamenti sia completamente azzerato sarebbe ingenuo. La peculiarità delle dinamiche sociali, caratterizzate da una forte interconnessione tra individui e istituzioni, impone una vigilanza costante e un continuo affinamento dei meccanismi di garanzia. Non si tratta, tuttavia, di alimentare un clima di sospetto generalizzato, piuttosto è uno sprone a promuovere l’abitudine alla trasparenza e alla responsabilità.
L’autorevolezza e l’indipendenza che la magistratura sammarinese ha saputo conquistare negli ultimi anni, certificata anche dall’Europa in più occasioni, rappresentano senza dubbio un patrimonio prezioso. Tale conquista, rende oggi più difficile, seppur non impossibile, l’esercizio di indebite pressioni. La sfida, dunque, non è tanto quella di negare l’esistenza di potenziali conflitti d’interesse, quanto di dotarsi di strumenti sempre più efficaci per prevenirli e gestirli. Il dibattito che si aprirà con il convegno dell’Università di San Marino rappresenta un’occasione preziosa per approfondire la tematica.
Lancio allora una provocazione: in un’epoca in cui la velocità delle comunicazioni e la pervasività dei social media amplificano la risonanza di ogni evento, non è proprio il “villaggio globale” a rendere ogni contesto, anche il più vasto, simile a un microstato? E in questo nuovo scenario, quali nuove forme di condizionamento, magari meno visibili ma non meno insidiose, potrebbero minacciare l’autonomia della giustizia? Interrogativi che evidentemente valgono anche per tutti coloro che svolgono funzioni di una certa delicatezza all’interno dell’ingranaggio della macchina democratica.
Probabilmente è giunto il tempo di ripensare i concetti stessi di “piccolo” e “grande”, di “locale” e “globale”. Si pensi alla cosiddetta “gogna mediatica”, alimentata dalla onnipresenza dei social network e dalla spettacolarizzazione dell’informazione. Tale fenomeno può esercitare una pressione indebita sui magistrati, influenzandone, anche involontariamente, le decisioni. Si configura così il rischio di una giustizia “mediatica”, che risponde più al clamore dell’opinione pubblica che ai rigorosi dettami della legge. Paradossalmente, esempi di questa dinamica si riscontrano anche (e soprattutto) in contesti di vasta scala, come gli Stati Uniti, la cui esperienza dimostra come la dimensione geografica non sia un fattore determinante per preservare l’integrità del processo giudiziario dalle influenze esterne. Ecco che magicamente le categorie di “piccolo” e “grande” perdono la loro tradizionale rilevanza, lasciando spazio a una nuova consapevolezza: la vulnerabilità della giustizia alle pressioni esterne è un problema trasversale, indipendentemente dalle “dimensioni”.
In definitiva, pur partendo da una realtà specifica come San Marino, la riflessione ci proietta inevitabilmente verso una sfera più ampia, che investe il futuro stesso della democrazia nell’era digitale. Un futuro in cui la salvaguardia dell’autonomia del potere giudiziario non è demandata al solo impegno della magistratura, ma richiede una sinergia tra istituzioni, media e società civile, per costruire una cultura della legalità che sappia resistere alle nuove forme di interferenza.
David Oddone
(La Serenissima)
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