L’Italia dei Meloni. Di Pietro e dipietristi folgorati sulla via della Scrofa

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Addio partito dei giudici. Italia dei Valori, il covo del dipietrismo militante, è uscita dal gruppo dei manettari. Anche se Luigi Li Gotti – unico e ultimo sottosegretario alla giustizia di Idv – con il suo esposto-denuncia contro il governo ha rinverdito l’antica tradizione, è stato l’ultimo fuoco. Gli ex sodali la pensano diversamente. A cominciare da Antonio Di Pietro che sebbene ormai lontano dalla politica, a più riprese ha assunto posizioni in singolare sintonia con Forza Italia. “No, questo no…”, sorride Di Pietro, interpellato dall’Huffpost. “Ma a 75 anni non voglio essere ipocrita. E anche se una cosa giusta la diceva Berlusconi, non per questo devo dire che è sbagliata”.

Presidente, riavvolgiamo il nastro. Per dirla con il lessico di un tempo: tre indizi fanno una prova. Quando scoppiò il caso Arianna Meloni, lei disse che il vero obiettivo era Giorgia Meloni. “E ho sbagliato? No, anzi. Mi pare di averci preso”.  

Poi si è detto favorevole alla separazione delle carriere, invisa ai colleghi di un tempo. “E io sono a favore dal 1991. Mi dispiace anzi che Berlusconi ci abbia messo il cappello. Ma mica posso dire il contrario di quello che penso solo perché anche Berlusconi la pensava come me, o perché adesso al governo c’è il centrodestra?”

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Da ultimo, lei ha detto di non condividere l’informazione di garanzia nei confronti di Meloni e dei ministri sul caso Almasri. “E lo confermo.  Io sono semplicemente un cittadino che sa come vanno le cose e trae una valutazione soggettiva senza pre-giudizi. Qui è in gioco la ragion di stato, ma la ragion di stato è un fatto politico. Non puoi processare un governante perché la fa valere. Dopo di che io Almasri lo avrei messo in galera. Perché quello che ha combinato lui prevale rispetto alla ragion di stato, Ma tra le due posizioni, deve essere l’elettore, il cittadino a decidere qual è giusta. Che c’azzecca il tribunale?”. Oggettivamente, si è avvicinato alle posizioni di Forza Italia. “Assolutamente no. Io in questo centrodestra non mi ci riconosco. E se dico che l’informazione di garanzia a Meloni è sbagliata, nello stesso tempo dico che è cosa diversa l’avviso a comparire che fu mandato a Berlusconi nel 1994. In quel caso l’ipotesi di reato riguardava l’attività privata di un imprenditore. Qui c’è un amministratore pubblico chiamato a difendere l’interesse nazionale”. Non ci ripensa, non vuole tornare in politica? “Io sono sempre stato un liberal democratico. Penso cioè che ognuno è libero di fare quello che vuole fino a quando non pesta i piedi dell’altro. Ma a 75 anni voglio fare la politica dei cittadini. Non sarebbe serio che io tornassi ora”.

Però, da cittadino, con chi starebbe: Schlein o Meloni? “Io non sono un uomo di centrodestra. Ma devo riconoscere che Meloni si fa capire, la gente capisce quello che vuole. Schlein invece parla solo per contrastare quello che dicono gli altri. Questo centrosinistra rincorre sempre, non propone una vera alternativa. La differenza è tra una che è protagonista e uno che per essere protagonista deve parlare male degli altri. Non mi convince”. A proposito, lei ha detto che le piacerebbe spiegare a Milena Gabanelli il famoso affare delle proprietà immobiliari che portò alla fine di Italia dei Valori. “Io penso che più Gabanelli ci sono, meglio è per tutti. Dio salvi il giornalismo d’inchiesta. Dopo di che lei ha sentito le testimonianze di persone a me vicine, che hanno mentito. E sono state tutte condannate, salvo chiedere scusa al momento di pagare i risarcimenti. Mi dispiace non aver potuto spiegare come stavano le cose. Perchè quella vicenda ha decretato la fine del partito e mi è costata molto anche sul piano della salute”.

Oggi Italia dei Valori è un altro partito. Dei fasti di un tempo, quando dalla sede di Santa Maria in Via partivano i diktat contro il governo Prodi, è rimasto poco. La sede c’è ancora, ma solo nominativamente. Quella operativa, per ragioni di economia, è stata spostata a Palermo. Anche il famoso sito web – gestito dalla Casaleggio Associati, l’antesignano della politica online – si è molto ridimensionato. Nel simbolo, al posto di ‘Di Pietro’ scritto in caratteri cubitali, c’è un tricolore stilizzato. A fatica, gli ex dipietristi stanno tenendo in vita il partito. Di Pietro ha lasciato l’Idv nel 2014, dopo la fallimentare esperienza nella coalizione Rivoluzione civile, con Antonio Ingroia e Luigi De Magistris. Da allora c’è stata una diaspora: Leoluca Orlando è andato coi Verdi, Sonia Alfano con Azione, altri con M5s. Eppure 3.553 contribuenti hanno scelto Italia dei valori per donare il 2 per mille, in tutto 46.940 euro. Tra quote associative, tessere, e erogazioni liberali, il partito ha totalizzato 300 euro, 60 euro di erogazioni liberali e 240 di tesseramento.

E se Di Pietro resiste “da cittadino” nel centrosinistra, gli ex dipietristi hanno varcato il Rubicone. Giorgia on my mind. “Il Pd di Schlein è tutto e il contrario di tutto, tiene dentro dalla destra all’estrema sinistra. Meloni, invece, ha dimostrato di essere una leader credibile. Noi vogliamo essere la parte moderata della sua coalizione”, dice all’Huffpost Ignazio Messina, segretario del gabbiano, che da qualche mese è anche portavoce nazionale di Noi Moderati, la formazione di Maurizio Lupi con cui Idv è federato. Se Di Pietro può ancora rivendicare una differenza da Forza Italia, il suo ex partito è ormai un fedele alleato degli azzurri. Sul caso Almasri, Messina è più netto dell’ex pm: “Vicende di questo genere non fanno bene alla magistratura. Da un’inchiesta così eclatante che poi porta al nulla di fatto può uscirne delegittimata”. C’era una volta il partito dei giudici, insomma. “Noi ora siamo il partito della legalità”. 



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