Scadenza o consumo sicuro? Come evitare sprechi alimentari inutili

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Ogni anno 57 milioni di tonnellate di cibo finiscono sprecate. L’Unione Consumatori spiega quali cibi si possono ancora mangiare e quando vanno davvero buttati

Mentre 36,2 milioni di persone non riescono a permettersi un pasto nutriente, ogni anno circa un terzo del cibo prodotto viene buttato.
Uno spreco, complessivamente pari a 57 milioni di tonnellate di alimenti, che riguarda per quasi la metà verdure (24%) e frutta (22%), ma non risparmia nemmeno cereali (12% del totale), tuberi (11%), carne (11%), colture oleaginose (10%), prodotti lattiero-caseari e uova (7,5%) e pesce (3%).

Il progetto Foodguard

Per questo, in Europa, un anno fa è stato lanciato il progetto triennale “Foodguard”, mirato in primis a rendere più sostenibili le filiere alimentari, per esempio studiando soluzioni tecnologiche innovative basate sul microbioma, sulle attività microbiche, sul packaging intelligente.
In generale, poi, Foodguard cerca di combattere gli sprechi, con soluzioni di “ecolabeling” dei prodotti che consentano di allungare e monitorare la durata di conservazione dei prodotti deperibili come carne, pesce, formaggio e verdure in busta.
Un tema sul quale, proprio nell’ambito del progetto, a cui aderisce, torna ora l’Unione Nazionale Consumatori, dando una risposta alla domanda che spesso ci si pone: si possono consumare gli alimenti dopo la data di scadenza?

C’è scadenza e scadenza

Il quesito non ha una risposta univoca. Perché, ricorda l’Unc, c’è prodotto e prodotto e le date indicate sulle confezioni si legano alla cosiddetta “shelf-life”, ovvero la sua “vita a scaffale”.

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A partire dalla produzione, infatti, decorre un periodo che può portare al decadimento delle sole qualità organolettiche del cibo o, nei casi più seri, allo sviluppo di una certa pericolosità per la salute.
Il tema della “shelf-life” è affrontato nel regolamento europeo 1169 del 2011, che impone l’indicazione della durata di conservazione del prodotto sulla confezione che lo contiene. Ma non tutte le confezioni riportano lo stesso tipo di termine. Per quanto tra loro simili, le diciture “da consumare entro” e “da consumarsi preferibilmente entro” sono infatti profondamente differenti ai fini pratici.

Prodotto scaduto? Si butta

La prima è la “data di scadenza” vera e propria. Quella cioè che indica il periodo entro cui un alimento deve essere tassativamente consumato, in quanto, una volta scaduto il termine indicato, il cibo non è più sicuro e può essere pericoloso per la salute. In questi casi, il prodotto va quindi ritirato dal commercio o, se lo abbiamo in casa, non deve essere mangiato ma gettato.
Secondo la normativa, la scadenza va espressa attraverso una data riportante giorno e mese, più eventualmente l’anno. Inoltre, nell’etichetta vanno riportate anche le modalità di conservazione dell’alimento, prima e dopo l’apertura. Un’indicazione che è obbligatoria per i prodotti rapidamente deperibili, tra cui latte e latticini, formaggi e pasta fresca, carne e pesce fresco, salumi affettati.

Il termine minimo di conservazione

Per gli altri cibi non rapidamente deperibili l’indicazione non invece è relativa alla data di scadenza, ma al termine minimo di conservazione (tmc). “Da consumarsi preferibilmente entro”, cioè, spiega fino a quando l’alimento, in caso di confezione integra e corretta conservazione, conserva tutte le sue proprietà specifiche prima perdere alcune caratteristiche di qualità, come fragranza e aroma, pur senza diventare pericoloso.

scadenza

Stabilita attraverso test di laboratorio in base alle qualità di ciascun prodotto, la durata di conservazione è dunque più lunga. Così, spiega l’Unc, il pane confezionato è ancora commestibile fino a 7 giorni dopo il tmc; dolci e biscotti confezionati, farine e cereali, pasta secca, riso e cous cous fino a 1 o 2 mesi dopo; confetture e conserve, pomodori pelati, salsa di pomodoro e verdure sottaceto fino a 3 o 4 mesi oltre il tmc.

Questi cibi, pensate bene prima di buttarli

Ci sono poi alcuni alimenti, spiega sempre l’Unione Consumatori, che non hanno nemmeno un termine minimo di conservazione. Tra questi il vino, le bevande analcoliche, il sale, lo zucchero e le caramelle. Ma anche altri il cui tmc è decisamente superiore alla scadenza, potendo raggiungere i 6 mesi, l’anno o poco meno.
Il tmc può essere sforato di mezzo anno per esempio per il latte vaccino a lunga conservazione, i succhi di frutta, le spezie e le erbe aromatiche, le salse come maionese, ketchup e senape. Si arriva ai 12 mesi per il tonno sott’olio: limite che può essere raggiunto anche per il caffè macinato, il tè e altri infusi, l’olio e l’acqua in bottiglia.

Alberto Minazzi



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