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C’erano grandi aspettative per i risultati della Cop16, la conferenza sulla biodiversità tenutasi a Cali, in Colombia, e conclusasi il 2 novembre scorso. Alla Cop15 del 2022 a Montréal era stato siglato un accordo importante, con cui i Paesi partecipanti si impegnavano a raggiungere 23 traguardi per salvaguardare la biodiversità mediante il ripristino e la protezione del 30% degli ecosistemi degradati del pianeta entro il 2030. Il negoziato è stato condizionato dalle annose divisioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri sull’entità e sulla gestione dei finanziamenti con cui i primi dovrebbero aiutare i secondi nella protezione della biodiversità: in 17 Paesi «megadiversi» si riscontra la maggiore ricchezza di specie animali e vegetali. Gli osservatori hanno evidenziato che solo 44 Paesi partecipanti, oltre all’Unione europea, hanno presentato le strategie e i piani d’azione nazionali per la tutela della biodiversità, richiesti dall’accordo di Kunming-Montréal, il Gbf, Global biodiversity framework (Quadro globale per la biodiversità), che indica gli obiettivi internazionali da raggiungere entro il 2030. E solo cinque dei 17 Paesi «megadiversi» hanno elaborato i piani d’azione: Australia, Cina, Indonesia, Malesia e Messico. La quantificazione delle risorse finanziarie del Gbf è stata demandata, tra le proteste della maggior parte dei Paesi del sud del mondo, alla Global environment facility, che ha istituito il Global biodiversity framework fund, al quale hanno aderito 186 Paesi con l’impegno di versare 396 milioni di dollari. È stato ritenuto un importo del tutto insufficiente rispetto alle necessità: servirebbero almeno 800 miliardi di dollari all’anno per mettere in atto azioni efficaci. Tale situazione ha creato tensioni tra i Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo, che lamentano la mancanza di un sostegno adeguato. Un accordo è stato raggiunto per il Digital sequence information mechanism, uno strumento internazionale per la redistribuzione dei benefici derivanti dai dati genetici digitali di piante, animali e microrganismi sfruttati nella ricerca farmaceutica e nello sviluppo di nuovi prodotti. Le imprese dovranno contribuire al fondo globale con l’1% dei loro profitti o con lo 0,1% delle loro entrate, come percentuale indicativa: è solo un primo passo. Il Fondo di Cali convoglierà le risorse derivanti dall’uso commerciale della natura a favore della conservazione della biodiversità, in particolare dei Paesi in via di sviluppo, delle popolazioni indigene e delle comunità locali. Un altro risultato è stata l’istituzione dell’Organo permanente per rappresentare le popolazioni indigene nelle Cop. Non è stato raggiunto, invece, l’accordo né sull’uso dei fondi per finanziare le attività di conservazione delle specie né sulle modalità di controllo delle promesse del 2022 sull’ampliamento delle aree naturali protette. Dal 25 al 27 febbraio 2025 a Roma, presso la Fao, ci sarà la continuazione della Cop16 per assumere decisioni sugli accordi non presi a Cali. Le discussioni sulla tutela della biodiversità, connessa alla lotta al cambiamento climatico e alla desertificazione, riprenderanno poi a Bangkok, in Thailandia, in un incontro preparatorio della Cop17 in programma a Erevan, in Armenia, nel 2026. I delegati della Cop16 hanno votato a favore di un documento che associa la perdita di biodiversità al cambiamento climatico, al centro della Cop29 a Baku, in Azerbaigian.
Il 2024 è stato l’anno di tre Cop, la Cop 29 della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, la Cop 16 della Convenzione sulla biodiversità, la Cop 16 della Convenzione per il contrasto alla desertificazione. Cop sta per Conferenza delle parti, i Paesi che hanno ratificato le Convenzioni quadro dell’Onu per fronteggiare le crisi ambientali. La continua perdita di biodiversità è una minaccia esistenziale per l’umanità, confermata dalle Liste Rosse nazionali dell’Iucn, Unione mondiale per la conservazione della natura. In Italia il 68% degli ecosistemi è in pericolo, il 35% in pericolo critico, nell’ecoregione padana il 100% degli ecosistemi è a rischio. In Italia, secondo il Wwf, il 57% dei fiumi e l’80% dei laghi si trova in uno stato ecologico non buono, 21.500 km² del suolo italiano è cementificato, in 15 anni sono stati consumati 1.150 km². La biodiversità è minacciata anche dalle specie aliene invasive (+96% negli ultimi 30 anni) che hanno provocato il 54% delle estinzioni delle specie animali conosciute con la predazione di quelle autoctone o la competizione per le risorse. In provincia di Bergamo è protetto il 39% del territorio, con cinque Parchi regionali, sette Riserve naturali regionali, 26 aree di Rete Natura 2000 e 19 Plis (parchi locali di interesse sovracomunale). Ma i rischi causati dalle attività umane sono sempre in agguato: disboscamento, inquinamenti di vario tipo, terreni impoveriti per eccessivo uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, bracconaggio, abbandono di rifiuti e altro costituiscono una seria minaccia alla biodiversità del nostro territorio.
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