Storie di semi, protezione della biodiversità e del sapere tradizionale

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Un ambiente sempre più minacciato

Seed Stories (Storie di semi) è il titolo di un documentario girato ai piedi delle colline di Niyamgiri, una catena montuosa situata nello stato di Odisha (Orissa) in India, abitata fin da tempi remoti da popolazioni indigene (Adivasi).  Da alcuni decenni una delle comunità qui residenti, quella dei Dongria Kondh è emersa – suo malgrado – all’onore della cronache per aver contrastato la realizzazione di un progetto che la potente multinazionale Vedanta intendeva realizzare sul territorio abitato proprio da questa comunità, aprendo una miniera di bauxite proprio sulle pendici di una montagna sacra. Questa piccola comunità è riuscita finora a contrastare le mire della Vedanta, anche grazie all’appoggio di associazioni internazionali, come Survival International, impegnate nella difesa dei diritti umani, ma anche grazie all’eco che questa controversia ha suscitato a livello mondiale, come documenta anche una rivista regionale a noi vicina, Piemonte Parchi.

La proiezione

Il film ‘Seed Stories’ sarà proiettato domenica 2 febbraio 2025 alle ore 16.30 presso la sala Poli del Centro Studi Sereno Regis in via Garibaldi 13, nell’ambito dell’edizione invernale 2025 del festival Give Peace A Screen. A fine proiezione ne discuteremo con i co-registi Chitrangada Choudhury e Aniket Aga, collegati on line in dialogo con Daniela Bezzi del Centro Studi Sereno Regis.

 

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Si stanno riducendo rapidamente le aree dell’India (e in generale del mondo) in cui vivono ancora popolazioni che hanno conservato – insieme a tradizioni e abitudini di vita tramandate da secoli – anche preziose conoscenze, grazie alle quali sono in grado di mantenere con la natura una relazione di cura e di mutuo rispetto.  Il successo ottenuto finora dai Dongria Kondh – poco più di 8000 persone di fronte al potere del colosso minerario – fa sperare che, grazie alla crescente facilità di comunicare in rete (creando reti di sostegno), e grazie anche alla maggiore sensibilità verso le culture indigene e al più diffuso rispetto  per l’ambiente, si moltiplichino le azioni collettive – locali e internazionali – in difesa di comunità umane ricche di sapienza e di ecosistemi preziosi.

La meraviglia della biodiversità

Il paragrafo precedente ci ha introdott* nello scenario delle foreste primigenie dell’India, dove tra molte fatiche e minacce sopravvivono piccole comunità di Adivasi che ancora praticano gli antichi sistemi di coltivazione e raccolta del cibo.  Il documentario ‘Seed Stories’, girato in una zona contigua all’area di foresta abitata dalla popolazione dei Dongria Kondh, presenta le immagini di un piccolo villaggio rurale, i cui abitanti, nei pressi delle loro capanne, coltivano una gran varietà di piantine, arbusti, alberi cespugliosi che ai nostri occhi di occidentali – abituati ai filari ordinati dei nostri campi (dal grano alle patate, dal riso alla vite e ai legumi) – sembrano terreni disordinati e incolti.

Solo quando le donne del villaggio fanno vedere decine di mucchietti di semi ben ordinati e raggruppati per tipologie, e stesi in terra su grandi teli, si capisce che il disordine dei campi è solo apparente: gli abitanti del villaggio praticano una coltivazione mista, dove miglio, riso, farro crescono insieme a ceci, lenticchie e piselli.

Ogni legume, ogni cereale è presente in diverse varietà, ciascuna con caratteristiche differenti, frutto di una naturale selezione che ha favorito un’una o l’altra a seconda dell’esposizione, del vento, dell’insolazione, della natura del terreno. Le donne e gli uomini del villaggio distinguono agevolmente i diversi tipi di piante, e ogni anno ne raccolgono i semi, moltiplicando con il passare degli anni la varietà di possibilità che esse offrono. Se il clima diventa più piovoso, oppure si incontra un periodo di siccità, si trova sempre qualche tipo di seme che risulta adatto alle mutate circostante. A sentire i contadini del villaggio, le comunità dei Dongria Kondh, che abitano un po’ più in alto, nelle colline soprastanti, coltivano una varietà ancora maggiore di piante alimentari…

Al servizio della comunità

Alcune delle scene del documentario sono girate nella Basudha Farm, nel distretto di Rayagada (Odisha), una delle banca genetiche popolari più importanti al mondo.  A fondare e a sviluppare i campi qui coltivati è stato il dott. Debal Deb, che da decenni lavora con gli agricoltori tradizionali nell’India orientale per conservare la diversità dei semi indigeni. Dopo aver studiato all’Indian Institute of Science e all’Università della California, in USA, ha lasciato il suo lavoro al World Wildlife Fund a metà degli anni ’90, per fondare Basudha, una fattoria di 1,7 acri che promuove l’agricoltura ecologica, la ricerca sulle pratiche agricole tradizionali e la salvaguardia dei semi indigeni.

Ha fondato la prima Banca non governativa dei semi di riso, chiamata Vrihi,  allo scopo di salvare almeno in parte la straordinaria diversità genetica sviluppata nei millenni dagli agricoltori. Riferendosi alla Rivoluzione verde in India come a un “genocidio dei semi”, in cui le 110.000 varietà di riso sono state ridotte a 6.000, Debal Deb promuove anche lo scambio non commerciale di colture di riso indigene e la promozione di una cultura di coltivazione di semi locali.

Tra trionfo tecnologico e disastro socio-ambientale

Interrogando Google sulla ‘Rivoluzione Verde’ si apprende che con questo termine si intende l’approccio innovativo ai temi della produzione agricola che, attraverso l’impiego di varietà vegetali geneticamente selezionate, fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e altri investimenti di capitale in forma di nuovi mezzi tecnici e meccanici, ha consentito (a partire dagli anni ’70 del Novecento) un incremento significativo delle produzioni agricole. In un sito pubblicato nel 2023 è ancora presente un’affermazione che presenta così la Rivoluzione Verde in India: è stata fondamentale per affrontare il problema dell’insicurezza alimentare in India. L’aumento della produzione di colture di base garantì un approvvigionamento alimentare più affidabile, riducendo la frequenza delle carestie e alleviando la fame e la malnutrizione tra la popolazione.

Ma gli effetti della Rivoluzione Verde si mostrarono ben presto problematici: una delle più esperte e conosciute scienziate indiane, Vandana Shiva, da decenni è impegnata a documentare i danni ambientali e sociali provocati dalla sostituzione delle pratiche tradizionali con le tecnologie aggressive e colonizzatrici importate dall’Occidente. A suo parere le origini dell’emergenza idrica e nutrizionale in cui viviamo oggi risalgono a 40-50 anni fa, con i «consigli» della Banca Mondiale e con la cosiddetta «rivoluzione verde», che ha distrutto le risorse d’acqua, il suolo, la biodiversità.

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Nel corso di molti decenni migliaia di contadini, convinti dalle imprese multinazionali a convertire le coltivazioni da sussistenza con colture da reddito (soprattutto cotone), e ad acquistare insieme ai semi anche costosi fertilizzanti e pesticidi, si sono indebitati. perdendo, oltre al denaro, la possibilità di alimentarsi con i prodotti locali.  Di fronte alle nuove e crescenti incertezze climatiche gli esiti della risoluzione verde mostrano il loro carattere tossico, nei confronti della natura e delle persone.

[Nell’ambito della rassegna “India invisibile”, presentata a Torino nel 2019,  nel film “Nero’s Guests” di Deepa Bhatia sono documentati  i suicidi dei contadini indiani, portati al fallimento per non essere riusciti –dopo annate di siccità o alluvioni – a saldare i debiti  contratti con l’acquisto di sementi e fitofarmaci].

Una guerra sporca   

Riferendosi alla Rivoluzione Verde in India come a un “genocidio dei semi”, nella seconda parte del documentario la regista Chitrangada Choudhury illustra la propaganda aggressiva delle multinazionali dei semi, che con consumata abilità e grandi risorse economiche promuovono la diffusione di colture geneticamente modificate e di erbicidi tossici. In un articolo del settembre 2024 (pubblicato su The wire)  alcune giornaliste denunciano che una società di consulenze e servizi con sede negli Stati Uniti sta profilando segretamente persone e associazioni impegnate a combattere l’opposizione ai pesticidi e alle colture geneticamente modificate (GM), in India e in altri Paesi.

Le giornaliste hanno scoperto l’esistenza di un social network privato (v-Fluence) che ospita i profili di oltre 500 persone in tutto il mondo, tra cui Vandana Shiva, Debal Deb e altri scienziati e accademici.  Le grandi imprese multinazionali non esitano – ancor oggi – a mettere in campo le loro strategie per ostacolare la liberazione sociale, culturale ed economica  delle popolazioni ex-colonizzate. Il documentario mette efficacemente in luce quanto risulti  difficile – oltre che contrastare la pubblicità pervasiva delle grandi aziende – valorizzare le conoscenze dei contadini, di fronte alla consolidata abitudine – anche da parte degli strati sociali più poveri (in India come altrove) –  di disprezzare e mortificare le popolazioni indigene e tribali, considerandole arretrate, indolenti e ignoranti.

Dall’anonimo globale al presente personale

In una bella recensione del documentario ‘Seed stories’  l’antropologa Dolly Kikon sottolinea la scelta di Debal Deb di allontanarsi dai nomi scientifici di piante e semi e concentrarsi invece sui nomi locali, della comunità indigena di Adivasi. La telecamera si sofferma sul colore, la consistenza, le dimensioni e i caratteri dei semi, mentre i suoni e le immagini di uccelli, formiche, altri insetti e pioggia ci ricordano l’importanza di protestare contro la distruzione e la perdita di natura che accompagnano le pratiche tecnologiche dell’agricoltura industriale.

Seed Stories intreccia magistralmente la storia della monocoltura (la coltivazione del cotone) e l’attrattiva del profitto e di una bella vita raccontando una storia di false promesse da parte di avide aziende che vendono semi ed erbicidi geneticamente modificati, illudendo i contadini che grazie alle coltivazioni ‘moderne’ avrebbero sconfitto la povertà. Abbandonando la ricca biodiversità, che la natura offriva gratis, per coltivare il cotone – una coltura delicata ed esigente, non alimentare – i contadini sono diventati dipendenti dai venditori e dagli acquirenti: cioè da scambi di denaro su cui non hanno nessun potere o controllo – non solo in India ma in tutto il mondo contadino.

La regista

storie di semi Chitrangada Choudhury è una giornalista, regista e geografa indiana. Il documentario da lei diretto, ‘Seed stories’ ha ricevuto numerosi premi, in India e a livello internazionale.  Choundhuri ha fatto parte del team fondatore di The People’s Archive of Rural India, un importante progetto di recupero delle tradizioni culturali e artistiche dell’India rurale, realizzato con Palagummi Sainath, un famoso giornalista e scrittore indiano, che da più di trent’anni raccoglie, conserva e diffonde testi, video, saggi, documenti, testimonianze delle popolazioni contadine dell’India rurale, mettendo a disposizione del pubblico uno straordinario archivio vivente, continuamente arricchito.

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Dal 2014 Chitrangada Choudhury  pubblica sul sito degli Archives of Rural India articoli, saggi,  fotografie che affrontano vari problemi e controversie che le comunità rurali devono affrontare per difendere le loro terre e la loro cultura dalla prepotenza dalle grandi aziende multinazionali, sempre più alla ricerca di risorse da sfruttare: dalle miniere alle foreste, dai semi alle fonti di acqua. Il documentario ‘Seed Stories’ è il tassello più recente di un impegno che la vede attiva con continuità sia come studiosa che come attivista. Diffondere questo documentario a livello internazionale può contribuire ad accrescere la sensibilità verso queste controversie socio-ambientali, e a creare gruppi di sostegno per le comunità indigene minacciate dalle politiche aggressive dell’economia estrattivista.


 



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