Il fotografo Massimo Sestini, la foto e quella glottide bloccata sotto il ghiaccio: «Ho rischiato la morte due volte»

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«Sono un incosciente, non volevo
andare in ospedale. Rischio per raccontare», spiega a Walter Veltroni sul Corriere della Sera. I soccorsi, il risveglio, la figlia Chiara: «Mi ha detto che vuole lavorare con me. E questa gioia mi ripaga della paura e del dolore»

Il fotografo Massimo Sestini, uscito pochi giorni fa dal coma dopo esser stato salvato da un malore sul lago ghiacciato di Lavarone, racconta in un’intervista a Walter Veltroni al Corriere della Sera cosa è successo. «Cominciamo col dire che io una foto l’ho fatta, anche quel giorno. Ci sono riuscito. Mi ero immerso con il reparto sommozzatori di San Benedetto della Guardia Costiera che era in addestramento nel lago di Lavarone, sotto il ghiaccio. Non era facile, l’acqua torbida, solo un buco dal quale entrare e uscire. Per me non era la prima volta, lo avevo fatto con il Consubin della Marina Militare anni fa. Il giorno dopo dovevo volare sulla Marcialonga con l’elicottero, come sai mi piace guardare le cose che racconto da punti di osservazione particolari…». E lì, sott’acqua, spiega, gli è successa una cosa che non aveva previsto. «Un evento rarissimo, mi si è bloccata la glottide, paralizzata. Ero per fortuna con la testa appena sotto il ghiaccio, neanche a mezzo metro di profondità vicino al buco, ma ho creduto che si fosse rotto il mio erogatore. Allora ho usato quello secondario. I subacquei hanno sempre due erogatori, uno di riserva, in caso di emergenza. Prendo l’erogatore secondario ma non funziona e non mi spiego perché. Non capisco, nella concitazione, che mi si è bloccata la glottide, penso solo che non vada bene l’erogatore. Avevo un subacqueo accanto a me, gli ho chiesto a gesti di darmi il suo erogatore ausiliario, perché credevo che i miei fossero rotti. Ma anche il suo, per me, non funzionava, non poteva essere possibile. Nel frattempo ho cominciato a ingerire acqua da tutte le parti. Lui mi ha dato quello con cui stava respirando regolarmente e quando gli ho fatto capire che per me anche questo era rotto, ha subito compreso che la glottide era bloccata e in fretta mi hanno tirato fuori».

«Guarda che potresti morire, se non vieni potresti morire»

In trenta secondi era disteso sul ghiaccio: «Sputavo acqua e sangue, e Giuseppe Simeone, capo del primo nucleo sub della Guardia Costiera, mi ha fatto un doppio massaggio cardiaco. La mia fortuna è stata che lui si era appena brevettato, venti giorni prima, istruttore di salvataggio. Lui fa il salvataggio a Lampedusa con la Guardia Costiera e mi ha raccontato per loro è un onore anche solo recuperare un cadavere e poterlo riportare ai suoi cari. Vite esemplari». Sestini torna cosciente. Afferma di stare benissimo, che non c’è bisogno dell’ospedale. Arriva l’eliambulanza. Il medico che lo ha raggiunto ha insistito, fino a diventare molto, giustamente, netto. «Mi diceva che era necessario un elettrocardiogramma, un controllo della pressione. Io ho risposto che non se ne parlava proprio, stavo bene. A quel punto il dottore mi ha detto chiaramente: “Guarda che potresti morire, se non vieni potresti morire”. Mi è sembrato un argomento convincente e a quel punto sono andato. Eccome se sono andato». Ed è stato meglio così perché poi Sestini riperde di nuovo i sensi. Una polmonite molto grave lo ha di nuovo messo in fin di vita dopo l’arresto cardiaco nel ghiaccio. «Sono qui, grazie all’efficienza dei soccorsi immediati e alla meravigliosa organizzazione della sanità del Trentino. Avranno anche più soldi del resto del Paese, ma li spendono bene. Le loro ambulanze sono gli elicotteri. Ed è incredibile con quanta passione civile e professionalità loro riescano a salvare vite. Sarò sempre grato a queste persone in divisa e in camice che mi hanno tirato fuori dalla morte». E il risveglio: «La voce dell’anestesista che mi diceva con dolcezza: “Massimo, mi sente?”. In quel momento mi sono reso conto che stavo tornando nel mondo, come una rinascita. E ho visto i volti delle persone che mi sono care. Mia figlia Chiara è stata eccezionale. Ha trent’anni, vive lontano da me e non ci vediamo tanto. Ma è venuta a Trento e ha preso il comando delle operazioni, ha tenuto il rapporto con i medici, mi ha aiutato, insieme a Camilla Baresani e a mio fratello Marco, a smaltire le risposte alle migliaia di messaggi e richieste che sono arrivati da tutto il mondo. Non credevo che tanta gente mi volesse bene. Ora Chiara mi ha detto che vuole lavorare con me. E questa gioia mi ripaga della paura e del dolore».

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