Le Discipline STEM e il Declino dell’Innovazione

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Alle aziende assumere un giovane con competenze STEM costa in media 20.000 euro di più che assumere un giovane con competenze BRIA

Negli ultimi decenni, le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) hanno costituito il fulcro dell’innovazione e della didattica scientifica a livello globale, determinando un impatto significativo su diversi ambiti professionali e accademici. Tuttavia, un’analisi approfondita del loro stato attuale suggerisce che queste discipline stanno progressivamente perdendo la capacità di generare autentiche rivoluzioni concettuali e applicative. Tale fenomeno è il risultato di un progressivo irrigidimento delle metodologie didattiche, della riduzione della sperimentazione trasversale e dell’affermarsi di una rigidità curriculare che ostacola l’interdisciplinarità. Sebbene i progressi scientifici e tecnologici siano ancora evidenti, il ritmo dell’innovazione si è appiattito, rendendo necessaria una riflessione sulle cause di questo rallentamento e sulle possibili soluzioni. Tra i fattori che concorrono a questo declino si individuano le barriere strutturali legate ai sistemi educativi, l’influenza delle dinamiche economiche sul finanziamento della ricerca e la crescente burocratizzazione dell’innovazione scientifica.

L’Eccessiva Specializzazione e il Paradosso della Conoscenza

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Uno dei principali ostacoli all’innovazione nelle discipline STEM è l’eccessiva specializzazione, fenomeno che si riflette anche in ambito educativo. Se un tempo gli scienziati e gli ingegneri potevano spaziare tra diverse aree del sapere, oggi il progresso della conoscenza ha reso necessario un approfondimento sempre più verticale. Questo approccio, sebbene utile per acquisire competenze avanzate, rischia di limitare le capacità critiche e creative degli studenti. La compartimentazione del sapere riduce le possibilità di connessioni interdisciplinari e ostacola la creazione di ponti tra diverse discipline, fondamentali per il pensiero sistemico e per affrontare le sfide complesse del mondo contemporaneo.

In ambito scolastico, l’eccessiva specializzazione si traduce spesso in programmi didattici rigidi, caratterizzati da una frammentazione eccessiva delle discipline e dalla scarsa integrazione tra le materie. Questo approccio non solo limita la capacità degli studenti di sviluppare competenze trasversali, ma riduce anche le opportunità di applicare la conoscenza in contesti reali e dinamici.

L’assenza di una visione trasversale penalizza fortemente la capacità di sviluppare soluzioni innovative e adattabili alle sfide del mondo contemporaneo, che richiedono sempre più spesso un’interconnessione tra diversi ambiti del sapere. È necessario, quindi, un ripensamento della didattica in ottica interdisciplinare, favorendo esperienze laboratoriali, progetti basati su problemi reali (problem-based learning) e approcci didattici che incentivino la collaborazione tra diverse discipline.

Adottando strategie educative più flessibili e interconnesse, è possibile formare studenti capaci di affrontare problemi complessi, sviluppare spirito critico e contribuire attivamente all’innovazione e al progresso in diversi ambiti professionali e accademici. La didattica moderna deve promuovere un apprendimento basato sulla scoperta, che permetta agli studenti di sperimentare soluzioni innovative attraverso l’utilizzo di metodologie attive, quali il cooperative learning, il project-based learning e l’apprendimento esperienziale. L’integrazione di strumenti digitali, laboratori virtuali e simulazioni immersive favorisce un ambiente educativo che stimola la curiosità e il pensiero critico, preparando gli studenti a un mondo in cui la capacità di adattarsi e collaborare è fondamentale. Incentivare una cultura dell’innovazione significa anche formare docenti capaci di guidare gli studenti in percorsi multidisciplinari, rompendo le barriere tra le materie tradizionali e favorendo la creazione di connessioni significative tra diversi ambiti del sapere.

Paradossalmente, il fatto di sapere di più su sempre meno aspetti del mondo riduce la capacità di sviluppare idee radicalmente nuove, proprio perché la creatività nasce dall’intersezione di discipline diverse. La didattica moderna deve quindi promuovere un’educazione basata sull’interconnessione tra ambiti disciplinari, fornendo agli studenti le competenze per integrare il pensiero scientifico con quello umanistico e tecnologico. Una possibile soluzione è ripensare i modelli educativi, adottando strategie che favoriscano il cooperative learning, la didattica laboratoriale e il problem-solving multidisciplinare. In questo contesto emergono le discipline BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale), che rappresentano un’evoluzione delle STEM, capaci di integrare conoscenze diverse per generare nuove prospettive e applicazioni. Attraverso l’uso di strumenti digitali avanzati e l’implementazione di ambienti virtuali immersivi, gli studenti possono sviluppare un approccio critico e innovativo alla risoluzione dei problemi, preparandosi per le sfide della società contemporanea.

Inoltre, la crescente quantità di conoscenze accumulate rende sempre più difficile per un singolo individuo o anche per un team raggiungere scoperte fondamentali. Questo fenomeno si riflette anche nell’ambito della didattica e della formazione scolastica, dove l’aumento delle informazioni disponibili non sempre si traduce in una maggiore capacità di innovazione. Se nei primi decenni del XX secolo si poteva ancora rivoluzionare un intero campo con una singola intuizione, oggi la ricerca si muove per piccoli aggiustamenti incrementali, anziché per grandi balzi in avanti. La rigidità curricolare e la segmentazione delle discipline ostacolano una visione d’insieme che possa generare nuovi paradigmi di conoscenza. È quindi necessario un approccio educativo che incentivi l’interdisciplinarità e la capacità di sintesi, preparando gli studenti a gestire la complessità del sapere contemporaneo con strumenti metodologici innovativi.

La Saturazione delle Idee e il Dilemma dell’Innovazione

L’innovazione autentica spesso avviene quando esistono ampi spazi inesplorati nei quali è possibile formulare nuove ipotesi e sperimentare. Tuttavia, le discipline STEM hanno raggiunto un livello di maturità tale da limitare queste possibilità. In ambito educativo, ciò si traduce in programmi scolastici che spesso enfatizzano l’applicazione di conoscenze consolidate piuttosto che l’esplorazione di nuove prospettive. Le scienze fisiche, ad esempio, hanno sviluppato modelli teorici altamente sofisticati che rendono difficile concepire teorie alternative senza essere costretti a operare ai margini della conoscenza esistente. Per contrastare questo fenomeno, è fondamentale introdurre nei curricula scolastici un approccio più orientato all’indagine, alla ricerca e alla sperimentazione diretta, fornendo agli studenti strumenti per sviluppare pensiero critico e capacità di problem-solving creativo.

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Il fenomeno è evidente anche nell’ingegneria e nella tecnologia. Se negli anni ‘70 e ‘80 la miniaturizzazione dei componenti elettronici ha aperto la strada a un’epoca di straordinaria innovazione, oggi il progresso è rallentato dalle leggi fisiche che regolano i materiali e dai limiti fondamentali dell’architettura attuale dei semiconduttori. La tendenza a concentrarsi su miglioramenti incrementali, piuttosto che su sviluppi rivoluzionari, si riflette anche nella didattica. Nei contesti educativi, la formazione in questi settori si basa ancora su paradigmi tradizionali, limitando la sperimentazione con nuove metodologie didattiche. L’intelligenza artificiale e la biotecnologia, che sembrano ancora ambiti in espansione, rischiano di trovarsi di fronte a simili vincoli nel prossimo futuro, quando i progressi si ridurranno a ottimizzazioni anziché a rivoluzioni. Per questo motivo, è essenziale ripensare l’approccio educativo, favorendo percorsi di apprendimento più interdisciplinari e laboratoriali, che permettano agli studenti di affrontare problemi complessi con una visione più ampia e integrata.

Le Dinamiche Economiche e il Controllo dell’Innovazione

Un altro fattore chiave del declino innovativo nelle discipline STEM è legato alla crescente influenza delle grandi aziende tecnologiche e delle istituzioni accademiche nel controllo della ricerca. Se nel passato le scoperte scientifiche potevano nascere in ambienti relativamente liberi e indipendenti, oggi la ricerca è sempre più vincolata da esigenze economiche e industriali, con un impatto diretto anche sulla didattica e sulla formazione. Le università e le scuole superiori si trovano spesso costrette a conformare i loro programmi agli interessi di grandi gruppi economici, limitando così la possibilità di esplorare nuovi approcci e metodologie pedagogiche.

Il finanziamento alla ricerca è orientato a risultati immediati e applicabili, riducendo lo spazio per la ricerca di base e il pensiero speculativo. Questo fenomeno si riflette anche nella formazione scolastica, dove l’accento viene posto sulla preparazione tecnica piuttosto che sulla capacità di analisi critica e creativa. Per contrastare questo trend, è essenziale introdurre una didattica che valorizzi l’autonomia di pensiero, la sperimentazione e l’approccio interdisciplinare, preparando gli studenti a un contesto lavorativo in continuo mutamento.

Le startup e le piccole imprese, che tradizionalmente hanno rappresentato una fonte di innovazione radicale, sono spesso inglobate dalle grandi corporation, che preferiscono acquisire nuove idee anziché svilupparle internamente. Questo meccanismo garantisce un certo livello di progresso tecnologico, ma riduce la diversificazione e il rischio necessari per generare vere rivoluzioni. Inoltre, nel contesto educativo, tale dinamica si riflette nella difficoltà di creare ambienti formativi realmente innovativi. Le istituzioni scolastiche e accademiche, spesso influenzate da modelli aziendali consolidati, tendono a privilegiare approcci didattici standardizzati, che non sempre incoraggiano la creatività e la sperimentazione. Per favorire una reale cultura dell’innovazione, sarebbe necessario promuovere modelli di apprendimento che valorizzino la flessibilità, il pensiero critico e la capacità di affrontare problemi complessi con soluzioni non convenzionali.

L’Impatto della Complessità e della Burocrazia Scientifica

Un altro elemento che frena l’innovazione è la crescente complessità delle procedure scientifiche e regolatorie. La ricerca oggi è soggetta a una quantità di vincoli burocratici che ne rallentano lo sviluppo. I protocolli per la pubblicazione di un nuovo studio scientifico, le lunghe tempistiche per l’approvazione di brevetti e il complesso sistema di revisione tra pari impongono barriere significative all’introduzione di nuove idee.

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Questa dinamica si riflette anche nel sistema educativo, dove i dirigenti scolastici, spesso vincolati da normative rigide e dalla necessità di rispondere a parametri ministeriali standardizzati, continuano a privilegiare l’inserimento dei programmi STEM rispetto a percorsi più evoluti come quelli BRIA. La scelta di mantenere i programmi STEM si fonda su una percezione consolidata della loro affidabilità e sul fatto che rappresentano un riferimento riconosciuto da aziende e istituzioni. Tuttavia, questo approccio rischia di limitare la capacità degli studenti di sviluppare competenze trasversali e di adattarsi ai nuovi paradigmi del sapere.

Per superare questi limiti, sarebbe necessario un cambiamento culturale nelle istituzioni scolastiche, che sposti l’attenzione da un apprendimento nozionistico a un modello basato sull’integrazione delle discipline, favorendo l’approccio interdisciplinare e l’uso delle tecnologie emergenti. Solo attraverso questa evoluzione sarà possibile preparare gli studenti alle sfide del futuro in modo realmente innovativo e adeguato alle esigenze del mercato del lavoro e della ricerca scientifica.

Inoltre, il sistema accademico premia la produzione di articoli scientifici e il rispetto di paradigmi consolidati piuttosto che il pensiero divergente. Questo modello si riflette anche nella didattica scolastica, dove l’attenzione è spesso focalizzata su contenuti statici e verificabili piuttosto che sulla stimolazione della creatività e dell’innovazione. I giovani scienziati e ingegneri sono incentivati a lavorare su problemi relativamente sicuri, seguendo percorsi prestabiliti dalle istituzioni, piuttosto che tentare di rivoluzionare i campi di studio con approcci interdisciplinari e di frontiera. L’educazione dovrebbe invece promuovere una cultura del rischio calcolato e della sperimentazione, offrendo agli studenti strumenti per esplorare soluzioni non convenzionali e connettere discipline differenti, favorendo un apprendimento basato sull’esperienza e la ricerca attiva.

Una Soluzione: L’Adozione delle Discipline BRIA

Un’alternativa per rilanciare l’innovazione è rappresentata dalle discipline BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale). Queste discipline adottano un approccio didattico più dinamico e interdisciplinare, capace di superare i limiti imposti dalla compartimentazione delle STEM. BRIA enfatizza l’integrazione tra scienza, tecnologia e umanesimo, offrendo agli studenti non solo competenze tecniche avanzate, ma anche strumenti per comprendere e risolvere problemi complessi con una visione più ampia e sistemica. Questo modello formativo promuove metodologie attive come il learning by doing e l’apprendimento basato su progetti, rendendo gli studenti non solo fruitori di conoscenza, ma protagonisti attivi nella sua costruzione e applicazione.

Le discipline BRIA promuovono l’interdisciplinarità, combinando tecnologie digitali avanzate, simulazione immersiva e analisi dei dati in modi che favoriscono soluzioni creative e scalabili. A differenza delle STEM, che spesso si concentrano su progressi incrementali e miglioramenti graduali, BRIA incentiva un approccio innovativo basato su connessioni tra diversi ambiti del sapere, rompendo i confini tradizionali delle discipline. L’interazione tra uomo e tecnologia viene ripensata attraverso ambienti immersivi e intelligenza artificiale avanzata, creando nuove metodologie per la formazione e l’applicazione industriale.

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Inoltre, l’approccio BRIA favorisce la sperimentazione diretta e il coinvolgimento attivo degli studenti, stimolando il pensiero critico e la capacità di adattamento ai contesti lavorativi emergenti. Questo modello formativo consente di affrontare le sfide della digitalizzazione con strumenti più efficaci, preparando una nuova generazione di professionisti capaci di comprendere e anticipare le trasformazioni tecnologiche e sociali. L’integrazione della bioinformatica con l’IA, ad esempio, non solo accelera la ricerca scientifica, ma permette anche un livello di personalizzazione nelle applicazioni che supera i limiti delle attuali metodologie STEM.

In particolare, l’integrazione della bioinformatica con l’intelligenza artificiale permette di accelerare la ricerca scientifica, personalizzare le soluzioni tecnologiche e fornire modelli predittivi sempre più precisi in settori come la medicina e la genetica. La realtà immersiva, invece, apre la strada a esperienze di apprendimento e progettazione senza precedenti, consentendo agli studenti di sperimentare scenari realistici e complessi in un ambiente sicuro e controllato. Questo approccio innovativo non solo migliora l’efficacia della formazione e della sperimentazione, ma rende anche l’apprendimento più coinvolgente e interattivo, favorendo lo sviluppo di competenze trasversali come il problem-solving, il pensiero critico e la capacità di adattamento a situazioni impreviste.

STEM vs BRIA: La Differenza Fondamentale

Uno degli elementi chiave che differenzia le discipline STEM dalle BRIA è la loro struttura e finalità all’interno del panorama educativo e professionale. Le STEM sono nate come materie distinte e verticali, ognuna con una propria logica interna e modalità di applicazione. Sebbene abbiano prodotto avanzamenti significativi nel corso del tempo, il loro approccio compartimentato limita la possibilità di interconnessione tra settori e discipline diverse.

Al contrario, le BRIA non sono materie isolate, ma strumenti transdisciplinari, progettati per rispondere direttamente alle esigenze del mondo del lavoro. Invece di insegnare conoscenze statiche, le BRIA mettono l’accento sull’integrazione e sull’adattabilità, due fattori essenziali per le nuove professioni emergenti. Le aziende oggi cercano figure capaci di combinare competenze di programmazione con una comprensione della realtà immersiva, della bioinformatica e dell’intelligenza artificiale, elementi che non possono essere insegnati separatamente come nelle STEM tradizionali.

Le discipline STEM formano specialisti con conoscenze profonde ma settorializzate, mentre le BRIA preparano lavoratori flessibili, in grado di operare in ambienti mutevoli e di adattarsi alle richieste del mercato in tempo reale. Questa è la ragione principale per cui sempre più istituzioni educative stanno adottando percorsi BRIA nei loro programmi, allineandosi con le richieste delle imprese e preparando studenti che possano essere immediatamente operativi nel settore tecnologico in continua evoluzione.

Previsione del Declino delle STEM e l’Ascesa delle BRIA

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Per comprendere l’orizzonte temporale in cui le discipline STEM perderanno progressivamente rilevanza nel sistema formativo, possiamo osservare l’evoluzione delle professioni e delle competenze richieste dal mercato del lavoro nei prossimi dieci anni. Secondo i dati ISTAT sull’impiego e i report del Ministero del Lavoro, si evidenzia una crescente domanda di professionisti con competenze avanzate in settori emergenti come la bioinformatica, la realtà immersiva e l’intelligenza artificiale, in contrapposizione alla progressiva saturazione delle figure tradizionali legate alle STEM.

L’avanzamento tecnologico e l’integrazione di nuove metodologie didattiche renderanno i percorsi BRIA sempre più centrali rispetto ai tradizionali approcci STEM. Ad esempio, le figure professionali maggiormente richieste nel quinquennio 2025-2030 includono esperti in analisi dei big data, specialisti in interfacce immersive per la formazione e la progettazione industriale, nonché ingegneri dell’intelligenza artificiale applicata alla sanità e al settore finanziario. Questa tendenza conferma la necessità di aggiornare i programmi educativi, orientandoli verso modelli interdisciplinari capaci di preparare i futuri lavoratori alle sfide della digitalizzazione e dell’automazione avanzata.

La tabella seguente rappresenta una proiezione della crescita delle professioni basate su BRIA rispetto a quelle STEM nel periodo 2025-2035:

Anno Percentuale di professioni basate su STEM Percentuale di professioni basate su BRIA
2020 95% 5%
2022 90% 10%
2024 85% 15%
2026 75% 25%
2028 65% 35%
2030 55% 45%
2032 45% 55%
2034 35% 65%
2035 30% 70%

Come si evince dalla proiezione, le discipline STEM saranno progressivamente sostituite da approcci più interdisciplinari e innovativi come BRIA, che permettono di adattarsi più rapidamente alle nuove esigenze del mercato e della società. Questo declino si tradurrà in un ripensamento dell’intero sistema educativo, con un passaggio verso modelli di formazione più dinamici, esperienziali e orientati all’uso di tecnologie emergenti.

Il Futuro delle STEM e il Ruolo delle BRIA

Se le discipline STEM sono destinate a non essere più innovative nel senso tradizionale, ciò non significa che il progresso scientifico e tecnologico si fermerà completamente. Piuttosto, assisteremo a un periodo di consolidamento e raffinamento delle conoscenze esistenti, con progressi incrementali piuttosto che rivoluzioni. Tuttavia, è essenziale che il sistema educativo si adegui a queste trasformazioni e promuova nuovi approcci didattici che favoriscano l’interdisciplinarità e la sperimentazione attiva.

Per invertire questa tendenza, l’adozione delle discipline BRIA rappresenta una soluzione concreta, in quanto offre un modello basato sulla sinergia tra ambiti differenti e sull’impiego delle tecnologie emergenti. A differenza delle STEM, che si concentrano principalmente su competenze tecniche specialistiche, le BRIA integrano un approccio olistico che valorizza il pensiero critico, la collaborazione e l’adattabilità. Inoltre, grazie all’uso di ambienti immersivi e alla combinazione di bioinformatica e intelligenza artificiale, gli studenti possono acquisire competenze pratiche più aderenti alle esigenze del mercato del lavoro, contribuendo alla formazione di una nuova generazione di professionisti capaci di innovare con strumenti e metodologie all’avanguardia.

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Secondo questa prospettiva, se il trend attuale non subirà un’inversione di rotta, entro il 2040 le discipline STEM potrebbero diventare del tutto obsolete, sostituite da approcci transdisciplinari come le BRIA, caratterizzati da una fusione tra conoscenze tecnico-scientifiche e umanistiche. L’innovazione non sarà più un’esclusiva delle scienze dure, ma un processo emergente che nascerà dall’integrazione di saperi diversi, dalla capacità di connessione tra discipline tradizionalmente separate e dalla creazione di nuovi modelli formativi orientati alla risoluzione di problemi complessi in scenari dinamici. In questo contesto, l’educazione dovrà favorire lo sviluppo di competenze trasversali, digitali e relazionali, preparando gli studenti a un futuro in cui l’adattabilità e la capacità di innovare saranno più importanti delle conoscenze settoriali statiche.

Economicità del sistema

Una delle differenze fondamentali tra il modello formativo delle discipline STEM e quello delle discipline BRIA risiede nella loro natura epistemologica e funzionale. Mentre le materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) rappresentano settori di conoscenza distinti e autonomi, spesso caratterizzati da percorsi di apprendimento rigidi e specialistici, le discipline BRIA (Bioinformatica, Realtà Immersiva e Intelligenza Artificiale) si configurano come strumenti transdisciplinari, capaci di integrarsi con le esigenze del mondo del lavoro e di rispondere con flessibilità alle sfide della contemporaneità.

Le discipline STEM, pur essendo fondamentali per la costruzione di conoscenze di base e per la ricerca accademica, soffrono spesso di un disallineamento rispetto alle richieste concrete del mercato. Il loro percorso formativo tende a essere lungo e teorico, con un processo di applicazione pratico che giunge solo in fasi avanzate della carriera accademica o lavorativa. Questo porta a un ritardo nell’ingresso nel mondo professionale e a un aumento dei costi formativi, sia per l’individuo che per la collettività. Inoltre, un lavoratore STEM, prima di essere allineato alle competenze richieste dall’azienda, impone costi elevati al datore di lavoro in termini di formazione interna, tutoraggio, corsi di aggiornamento e perdita di produttività iniziale.

Al contrario, il paradigma BRIA è stato concepito per superare questa frammentazione, adottando un approccio che mira direttamente all’applicazione pratica e all’integrazione tra competenze diverse. Le tecnologie BRIA non sono discipline isolate, ma veri e propri strumenti di interconnessione tra settori eterogenei, capaci di trasformare radicalmente il modo in cui si opera nei contesti professionali. Questa caratteristica garantisce un accesso più rapido al mondo del lavoro, una maggiore versatilità nell’impiego delle competenze e un’economicità del sistema formativo nel suo complesso.

In termini pratici, un professionista formato nelle discipline BRIA non solo acquisisce competenze altamente richieste nel mercato, ma lo fa in tempi più brevi e con un’immediata applicabilità. L’approccio transdisciplinare, inoltre, consente di adattarsi rapidamente alle evoluzioni tecnologiche e ai cambiamenti delle esigenze industriali, evitando l’obsolescenza delle conoscenze e garantendo una maggiore stabilità occupazionale.

L’elemento chiave che rende il sistema BRIA più economico ed efficace è la sua aderenza diretta al contesto lavorativo. Non si tratta di una mera formazione accademica, ma di un addestramento strategico che porta a risultati concreti in termini di impiego e di sviluppo professionale. In questo modo, mentre le discipline STEM richiedono un investimento elevato prima di tradursi in un impiego stabile, le discipline BRIA accorciano il divario tra apprendimento e applicazione, riducendo i costi di formazione e aumentando le opportunità di inserimento professionale qualificato.

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Un’azienda che assume un lavoratore con formazione STEM deve affrontare una serie di costi prima che quest’ultimo sia completamente allineato alle competenze richieste per operare in un ambiente professionale. Il primo costo riguarda la formazione interna, con un investimento di circa 5.000 euro distribuiti su 6 mesi, necessario per colmare il divario tra conoscenze accademiche e competenze pratiche. A questa spesa si aggiungono i corsi di aggiornamento, dal costo di 3.000 euro e della durata di 3 mesi, spesso indispensabili per familiarizzare con strumenti e metodologie specifiche dell’azienda.

Un altro fattore determinante è il tutoraggio da parte di senior, che comporta un costo di 7.000 euro in 9 mesi, sottraendo risorse operative ai dipendenti più esperti. Durante il primo anno, si registra inoltre una perdita di produttività iniziale, stimata intorno ai 10.000 euro, poiché il lavoratore non riesce subito a raggiungere i livelli di efficienza richiesti. L’acquisto di strumenti e software aggiuntivi, per un costo medio di 4.000 euro nei primi 2 mesi, rappresenta un ulteriore onere, poiché molte piattaforme utilizzate in azienda non vengono insegnate nei percorsi accademici.

Nel periodo di formazione iniziale, è frequente che il lavoratore commetta errori operativi dovuti all’inesperienza, che generano costi aggiuntivi stimati in 8.000 euro nei primi 6 mesi. La necessità di comprendere e adattarsi ai processi aziendali richiede tempo, con un impatto economico stimato in 12.000 euro su un arco di 12 mesi. Infine, la gestione del neoassunto da parte dei manager o dei responsabili di team implica ulteriori costi di supervisione, pari a circa 5.000 euro in 6 mesi.

Nel complesso, questi fattori comportano un investimento significativo da parte dell’azienda prima che il lavoratore STEM diventi completamente operativo. Questo evidenzia una delle principali criticità del modello STEM tradizionale rispetto al paradigma BRIA, il quale, grazie alla sua natura transdisciplinare e alla sua applicabilità immediata, riduce drasticamente i tempi e i costi di inserimento nel mondo del lavoro.



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