nel Principato la messa si dice in munegascu

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Si sono felicemente conclusi i due giorni di festa nazionale-patronale in onore di Santa Devota (26 e 27 gennaio) nel minuscolo Principato da sogno dove, a una manciata di chilometri dalla frontiera di Ventimiglia, dimora una quantità inusitata di plurimilionari.

Si possono ora esaminarne alcuni aspetti storici, culturali e linguistici, che legano l’antica Mùnegu alle tradizioni liguri.

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Si tratta, infatti, di un evento ricco di peculiari aspetti tradizionali, che rivelano, al di là dei consueti lustrini del jet set cosmpolita, una dimensione sociale nascosta, più intima, di questo micro-Stato di 2,02 chilometri quadrati.

E’ quella della sua Comunità autoctona, formata dai circa 9.800 Mùnegaschi: i soli abitanti dotati dello status di cittadini, acquisito in primis per ius sanguinis (discendenza da almeno da un genitore autoctono), ma anche per matrimonio o adozione. E, in un novero minoritario di casi, per naturalizzazione, su decisione del principe.

Qualche cenno storico sulla vecchia Mùnegu

In buona sostanza, si tratta, per la maggior parte, dei discendenti dei 1.200 Monegaschi censiti nel 1861, quando l’antica Mùnegu, abbarbicata sull’alto promontorio a picco sul mare, era quasi isolata via terra.

Allora la Rocca era un paesotto rivierasco remoto, relegato in un minuscolo Principato semi-deserto e non ancora lanciato nel firmamento dell’alta società internazionale. Lo sarà grazie alla geniale invenzione del quartiere chic di Monte-Carlo con suo il famoso Casinò, giunta qualche anno dopo (1866), per intervento del principe Carlo III.

Da quel momento lo Stato monegasco e la famiglia Grimaldi si arricchiranno enormemente, tanto da poter concedere i notori benefici fiscali (esenzione dalle imposte dirette sui redditi da lavoro) dapprima ai cittadini (1868) e poi ai residenti stranieri.

La popolazione da allora aumenterà esponenzialmente, sino agli attuali quasi 40.000 abitanti.

Munegaschi e Gente de Mùnegu

I 9.800 Mùnegaschi vanno ben distinti dalla Gente de Mùnegu: i circa 30.000 residenti, di ben 139 diverse nazionalità, stabilitisi qui da tutto il mondo per godere dei benefici fiscali.

L’elemento identitario principale della Comunità originaria in questo micro-Stato, dal 1861 circondato via terra dalla Francia e divenuto così francofono (il francese sostituì l’italiano, come lingua ufficiale, nel XIX secolo), è costituito dalla millenaria lingua popolare locale: u munegascu, varietà ligure di tipo intemelio (e parente stretto di ventemigliusu e zenéize). Nel Principato gode dello status di lingua nazionale. Un elemento culturale essenziale, che lega il presente all’epoca ancestrale della fondazione di questo borgo rivierasco fortificato da parte di coloni genovesi nel 1215.

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Sebbene la lingua popolare oggi non sia più diffusa nella Roca (se non sulle lapidi viarie di carrugi e carrugeti) e siano pochi anziani a mantenerne l’uso vivo (sporadico), lo Stato monegasco ne promuove assiduamente lo studio: dal 1976 è materia obbligatoria nelle scuole del Principato (dapprima alle elementari e poi, via via, sino alle medie).

Il munegascu è impiegato anche in occasioni solenni, sia di tipo civile che religioso.

La messa in mongasco

La cerimonia religiosa identitaria più importante in cui si ritrova lo spirito originario di questo popolo piccolo quanto ricco e potente, guidato dal 1297 dalla famiglia patrizia di origine genovese dei Grimaldi (non senza iniziali, lunghi contrasti con la madrepatria), è la messa in monegasco celebrata ogni anno la mattina del 26 gennaio, vigilia della festa della patrona, Santa Devota, nell’omonima chiesetta prospiciente il porto.

Anche quest’anno l’appuntamento, in una giornata radiosa, ha richiamato le famiglie monegasche più legate alle tradizioni, alla presenza delle autorità locali e giunte dai centri gemellati di Dolceacqua (in provincia di Imperia), Ostenda (in Belgio) e Lucciana (in Corsica).

Santa Devota

Santa Devota è patrona, oltreché del Principato e della famiglia principesca, anche della Corsica, dove visse la sua breve vita. Nata attorno al 283 a Lucciana, fu martirizzata a Mariana nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani. Secondo la tradizione il governatore romano ordinò di bruciarne il cadavere. Il corpo però venne nottetempo trafugato da due marinai cristiani allo scopo di darne degna sepoltura. Imbarcatolo sul loro naviglio, si diressero verso l’Africa. Ma si scatenò una tempesta e la barca perse la rotta.

Fatta cessare la tempesta, la santa fece miracolosamente fuoriuscire una colomba dal proprio corpo. Questa indicò ai due pii marinai la giusta rotta fino alla costa prospiciente Les Gaumates (il vallone di Galmati, oggi parte del Principato). Nei pressi del punto d’approdo, secondo la tradizione avvenuto il 27 gennaio 312, sulla tomba della santa fu costruito un oratorio, poi trasformato nell’attuale chiesetta.

La funzione è stata accompagnata da musiche e canti in munegascu a cura del Gruppo U Cantin d’a Roca. Va rilevato, peraltro, che numerosi fedeli, compreso alcuni giovani, cantavano e recitavano la liturgia nell’antica lingua dei loro avi. È intervenuto anche un coro corso.

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Alla cerimonia in monegasco, officiata dall’Arcivescovo David e da Padre Di Leo (bravissimo a officiare in lingua monegasca), era presente, con il proprio stendardo, anche una delegazione del Cumitàu Nasiunale d’ë Tradiçiùe Munegasche, storica associazione (ha compiuto 100 anni nel 2024) che tutela e promuove le peculiari tradizioni del Principato. Era guidato dalla sua Presidentessa, Claude Manzone.

Erano presenti anche Claude Passet e Inès Igier, Presidente e Segretaria Generale dell’Accademia delle Lingue Dialettali, fondamentale istituzione del Principato per lo studio scientifico del monegasco e degli altri idiomi dialettali neolatini.

Dopo la messa, sul sagrato l’Arcivescovo ha impartito la benedizione del mare.

Altre cerimonie e riti

Le celebrazioni sono proseguite in serata. L’arca contenente le reliquie della santa è stata portata in processione. Nella chiesetta di Santa Devota è stato celebrato il saluto al Santissimo Sacramento.

Alberto II, la principessa Charlene e i due figlioletti gemelli (il principe ereditario Jacques e la principessina Gabriella) hanno poi dato il via a un rito davvero particolare: il simbolico falò della barca, alla quale hanno appiccato il fuoco con le loro fiaccole sul Quai Albert I, insieme al sindaco Georges Marsan, ai membri del Consiglio comunale, a vari alti rappresentanti delle istituzioni e del clero monegaschi.

Questo rito di sapore pagano ma cristianizzato (come altri che coinvolgono l’accensione di falò in Liguria e in aree geografiche esterne, ma di antica cultura ligure) è celebrato dal 1874. E si riconnette a un altro episodio leggendario: secondo una tradizione, nell’XI secolo (quindi due secoli prima che sorgesse il borgo fortificato) un pescatore malvagio avrebbe rubato le sacre reliquie e tentato di trasportarle altrove con la sua barca.

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Altri pescatori, al contrario animati da spirito di devozione, avrebbero sorpreso il reo e, una volta recuperata la sacra refurtiva, lo avrebbero punito, bruciandone anche la barca.

Secondo una credenza popolare, i chiodi ardenti della barca, una volta cessato il rogo, sono un portentoso portafortuna. E non pochi astanti se li contendono.

I festeggiamenti si concludono il 27 gennaio (giorno di Santa Devota) con la messa solenne nella Cattedrale alla presenza dei principi, un’altra processione (quest’anno tenutasi in chiesa a causa della forte pioggia) e il ricevimento al Municipio di Monaco.

La maggiore specificità culturale di queste manifestazioni tradizionali di sapore ancora paesano e molto sentite, resta comunque, soorattutto per i Liguri, la messa in lingua munegasca del 26 gennaio.

Ecco, per concludere con un pratico esempio, tratto dalla peculiare liturgia, coralmente partecipata da molti dei presenti, il Padre nostro in monegasco: “Paire nostru che sì ünt’u celu, che u To nume sice santificau, che u To regnu arrive. In sci’a terra cuma ünt’u celu, sice fà a To vuruntà. Dane anchoei, cuma tüti i giurni, u nustru pan. Perdùnane i nostri pecai, cuma perdunamu a chëli che n’an fau de mà. Nun ne lascià piyà da tentaçiun, ma lìberane d’u mà”.

La Santa Messa celebrata in “munegascu

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