Un podcast e una campagna video contro le MGF

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“INTERE. Una rivoluzione senza cicatrici” è un vodcast di 7 episodi della durata di 15 minuti circa che è possibile ascoltare su Spotify o in versione video sui canali social di Amref e su YouTube, sottotitolato in inglese e francese e italiano. É stato lanciato in occasione della Giornata Internazionale della Tolleranza Zero contro le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) prevista per il prossimo 6 febbraio come parte della campagna Y-ACT (Youth in Action). In ogni puntata viene affrontato un particolare aspetto delle MGF dai vari attivisti coinvolti nel progetto, perché il messaggio si diffonda anche tra i più giovani.

Ma perché, si chiede la moderatrice Yohamin Teshome Kumbi, è necessario un podcast di questo tipo, proprio in Italia?

Nonostante sia illegale non solo in Europa ma anche in molti dei paesi in cui viene ancora praticata, e l’Italia è uno dei paesi europei con il numero maggiore di donne escisse. L’Università Bicocca di Milano ha infatti stimato che, nel nostro Paese, sono 87.000 le donne che hanno subito le MGF di cui 7600 sono minori, nonostante la pratica sia illegale e penalmente punibile, anche se commessa all’estero, dal 2006.

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Ma perché allora continua ad essere praticata? Ci si aspetterebbe che, lontano dalla pressione sociale delle comunità di origine, le famiglie immigrate si sentissero svincolate dall’obbligo di aderire a tradizioni pericolose e lesive ai danni delle proprie figlie, magari nate in Italia, ed invece spesso accade il contrario. La paura di perdere il contatto con la propria cultura, di subire il rimprovero morale della comunità e di infrangere la tradizione, può spingere le famiglie ad aderire ad una pratica violenta e traumatica, con conseguenze irreversibili sulla salute fisica e piscologica della donna. Diventa allora quanto mai necessario indagare le ragioni storiche e culturali che ancora sostengono questa pratica, spiegare quali conseguenze abbiano dal punto di vista medico e legale e quali siano gli ostacoli da affrontare per sensibilizzare le comunità e le famiglie.

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono considerate una violenza di genere specifica che non ha alcun fondamento religioso, tant’è che neppure il Profeta Maometto la impose alle proprie figlie. Hanno radici lontane, sono nate in seno a società patriarcali e sono antecedenti l’avvento delle principali religioni monoteistiche. In molti Paesi in cui sono radicate rappresentano perciò una tradizione imprescindibile ma, anche se formalmente sono considerate illegali, mancano completamente organi di monitoraggio e sanzioni penali seriamente applicate. Contrastare la tradizione comporterebbe, per gli organi di Governo, inimicarsi grandi fette di elettorato e così è più semplice dichiarare le MGF legalmente perseguibili ma di fatto chiudere un occhio e fingere di non sapere.

“Quando le radici sono profonde non c’è ragione di temere il vento”, ossia il cambiamento, quando diventa necessario. Se non vogliono morire, cultura e tradizioni devono evolversi nel tempo. Lo sanno bene le seconde generazioni nate e cresciute in Europa che devono trovare un compromesso tra due mondi spesso molto diversi, dove la possibilità di perdere il legame con la propria cultura è reale e spinge le famiglie immigrate ad essere più conservatrici di quanto lo sarebbero in patria.

Shahd Newir, ventenne originaria dell’Egitto e studentessa di psicologia alla Bicocca di Milano, ritiene che in virtù di questa doppia identità, capace di sposare e comprendere entrambe le culture, i giovani di seconda generazione abbiano più risorse per portare avanti un cambiamento reale all’interno delle loro comunità. Sostiene che sia necessario aprire un dialogo intragenerazionale sulle MGF, per sfatare falsi dogmi ed elaborare riti di passaggio alternativi all’età adulta, che siano rispettosi sia della donna che della tradizione.

Un altro importante fattore da considerare è poi la paura della stigmatizzazione nei confronti delle proprie figlie, ossia precludere loro la possibilità di essere accettate e riconosciute degne al matrimonio dalle comunità d’origine, in quanto si ritiene che le MGF preservino la verginità , l’onore e prevengano l’infedeltà coniugale. Il ritorno a casa per le vacanze estive può allora diventare l’occasione per sottoporre le ragazzine al taglio, incalzati dalle richieste di parenti e famigliari, anteponendo “la rispettabilità sociale” al benessere futuro delle proprie figlie. Ma vivere all’estero regala una libertà di cui bisogna approfittare, afferma Fatima Zare, 31 anni di origine sudanese. Pur riconoscendo quanto possa essere dolorosa la stigmatizzazione rivolta verso una ragazzina che non ha subito il taglio da parte della comunità e delle sue stesse coetanee, come madre ha deciso di mettere al primo posto la salute e diventare attivista a Torino, perché le prime a cambiare siano le donne e le madri.

Cruciale è anche il sostegno degli uomini, dei padri e dei mariti, soprattutto all’interno di società di tipo tradizionale dove il potere decisionale ultimo spetta a loro. Poiché le MGF sono sempre state considerate un’area unicamente femminile, molti uomini ignorano le reali conseguenze fisiche e psicologiche arrecate sul corpo della donna e quanto queste possano condizionare la gravidanza, il parto e la stessa vita matrimoniale. Dolore, ansia, stress, disordini post traumatici, sono solo alcune delle cicatrici indelebili di una pratica volta a tutelare unicamente l’onore e la rispettabilità sociale della donna a scapito delle irreversibili conseguenze arrecate al suo corpo e a tutta la sua vita.

“Vogliamo lasciare due cose in eredità ai nostri figli: la prima sono le radici, la seconda sono le ali”, afferma un proverbio sudanese, ossia le famiglie devono fornire solide radici per non perdere la propria identità, ma anche la libertà di esplorare e di scegliere il proprio cammino. Questo è lo sforzo richiesto alle famiglie, non solo della diaspora, nei confronti delle tradizioni, soprattutto di quelle dannose come le MGF.

“Diamo voce al silenzio” è invece la campagna video in cui, partendo da una parola chiave, cinque giovani donne provenienti da Sudan, Somalia, Egitto e Nigeria parlano del loro coinvolgimento nel progetto Y-ACT e riassumono i principali punti della campagna. Le MGF sono una forma di violenza di genere ed è fondamentale rompere il silenzio che circonda questa pratica e le donne che l’hanno subita perché ogni bambina possa crescere SANA, senza paura e senza dolore. Tutti sono tenuti a contribuire con la propria voce, per abbattere il muro di INCONSAPEVOLEZZA che ancora esiste sulle conseguenze fisiche e psicologiche arrecate al corpo di una donna, causate da una TRADIZIONE che giustifica la propria esistenza su false credenze, su dogmi inesistenti e sulla paura del cambiamento anche quando è necessario, perché cambiare non significa necessariamente perdere la propria identità. Purtroppo, parlare di salute sessuale femminile, in certe società, è ancora un TABÚ anche tra le stesse donne, rassegnate ad una tradizione mai questionata anche se lesiva, abituate alla sopportazione silenziosa del TRAUMA perché prive di uno spazio dove il loro dolore sia accolto ed il loro pudore protetto. “Una ferita continuamente nascosta non guarisce mai”, afferma un proverbio sudanese. È necessario dare voce al silenzio, per una rivoluzione senza cicatrici.

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Hashtag #thevalueofthegirl per partecipare alla conversazione

Natascia Accatino
(04 febbraio 2025)

 

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