Bruxelles – L’inquinamento record del Mar Baltico, i sempre più lunghi periodi di siccità in sud Italia, le violentissime alluvioni che si abbattono ormai su mezza Europa. In tutti i Paesi dell’Ue, in un modo o nell’altro, c’è da affrontare un ‘problema acqua’. Ursula von der Leyen ha promesso una strategia globale sulla resilienza idrica, e messo la commissaria svedese Jessika Roswall a capo del progetto. Alla luce di quanto emerso dai rapporti diffusi oggi (4 febbraio) da Bruxelles sui progressi compiuti negli ultimi sei anni per migliorare lo stato delle acque nei Paesi membri, quello di Roswall non sarà un compito facile.
La commissaria Ue per l’Ambiente, la resilienza idrica e un’economia circolare competitiva ha fatto il punto sull’attuazione di tre importanti direttive: la direttiva quadro sulle acque, quella sulle alluvioni e quella sulla strategia per l’ambiente marino. “Abbiamo dato l’acqua per scontata per tanto tempo e ora non è più così”, ha constatato amaramente Roswall in conferenza stampa. I rapporti, oltre a valutare le informazioni ricevute dai Paesi membri sulle condizioni delle acque nazionali, sulle azioni intraprese per migliorarle e sui piani per ridurre i rischi di alluvione, forniscono alle capitali Ue raccomandazioni su misura per approfondire l’attuazione delle direttive.
“Non sono qui per puntare il dito contro qualcuno, è un punto di partenza per lavorare con gli Stati membri”, ha messo in chiaro la commissaria. Ma l’esecutivo Ue non può far altro che utilizzare il vecchio metodo del “bastone e la carota”, spiega una fonte vicina al dossier, alternando assistenza tecnica ed economica per raggiungere target ambiziosi e procedimenti di infrazione contro le capitali più pigre. “Il nostro obiettivo non è quello di portare le persone in tribunale, ma di avere acqua buona”, prosegue la fonte. Il problema però è che, se “a partire dagli anni ’90 gli Stati membri hanno fatto enormi miglioramenti per quanto riguarda l’inquinamento delle acque, ora siamo in una fase di stallo“. La domanda è se non sia venuta meno la volontà politica.
Ma “con oltre tre quarti degli europei che sostengono l’azione dell’Ue per affrontare le questioni idriche, abbiamo un chiaro mandato ad agire”, ha sottolineato Roswall. In generale, gli Stati membri hanno migliorato la conoscenza e il monitoraggio dei corpi idrici superficiali e sotterranei, hanno aumentato la spesa e hanno migliorato l’applicazione della direttiva quadro sulle acque, sebbene vi siano notevoli differenze regionali. Ma la salute media dei corpi idrici superficiali dell’Ue resta critica: solo il 39,5 per cento raggiunge un buono stato ecologico, percentuale che scende al 26,8 per cento se si guarda le acque in buono stato chimico. Ciò è dovuto, ammette la Commissione europea, “principalmente alla diffusa contaminazione da mercurio e altri inquinanti tossici”.
Per altro, finora i Paesi membri non sono obbligati a monitorare l’utilizzo degli Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate in moltissimi prodotti industriali e di consumo presenti da da decenni nelle falde acquifere di mezza Europa. Nel 2018 gli Pfas non erano stati inseriti nell’elenco degli inquinanti da monitorare. Ma ora la revisione obbligatoria della lista è in dirittura d’arrivo e – a meno che gli Stati membri non si oppongano – il controllo dei livelli di Pfas nelle acque diventerà vincolante. “Non solo il monitoraggio, ma anche il rispetto di un valore massimo“, specificano dalla Commissione europea. Roswall ha ribadito inoltre che Bruxelles imporrà un divieto sull’utilizzo di Pfas nei prodotti per il consumo, mentre sull’uso nell’industria “avremo una discussione”.
Nemmeno i mari europei godono di ottima salute. O quanto meno di attenzione politica: secondo il rapporto sulla Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, sono stati compiuti solo “alcuni limitati progressi” verso l’introduzione e l’attuazione di misure per raggiungere gli obiettivi, in particolare per quanto riguarda i rifiuti marini. E nonostante i “notevoli miglioramenti” nella gestione del rischio delle alluvioni, la “maggior parte” dei piani nazionali pervenuti a Bruxelles non avevano incluso obiettivi quantitativi, “rendendo difficile trarre conclusioni sull’efficacia” della gestione del rischio.
Tra le raccomandazioni ai Paesi membri, Bruxelles ha sottolineato l’importanza di “aumentare l’osservanza della direttiva, rispettando i limiti di inquinamento, in particolare l’inquinamento da nutrienti prodotto dall’agricoltura, e garantendo che gli scarichi delle acque reflue siano gestiti in modo adeguato per proteggere l’ambiente e la salute umana”. C’è inoltre bisogno di “assicurare finanziamenti sufficienti per colmare le lacune” e di “promuovere il riutilizzo dell’acqua e aumentare l’efficienza e la circolarità per prevenire l’eccessivo sfruttamento delle falde acquifere, combattere i prelievi illegali e mitigare la siccità”.
In conferenza stampa, a Roswall è stata chiesta una valutazione del caso italiano. “L’Italia deve ridurre i nutrienti nelle acque e l’inquinamento chimico, migliorare la rendicontazione sull’uso dell’acqua, affrontare meglio le estrazioni illegali e rafforzare il monitoraggio e l’applicazione di soluzioni basate sulla natura”, la diagnosi della neo commissaria. Che ha aggiunto: “Non vedo l’ora di lavorare con l’Italia per affrontare questi obiettivi condivisi e garantire una gestione sostenibile delle risorse idriche”.
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