Detrazione Iva relativa ai “transaction costs” per le holding

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Dopo le discutibili indicazioni riguardanti la detraibilità dell’Iva nell’ambito delle operazioni di merger leveraged buy out (MLBO), recentemente disattese dalla giurisprudenza di legittimità, con la risposta a interpello n. 250/E/2024, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito all’esercizio della detrazione Iva da parte delle holding la cui attività consiste nel reperire risorse finanziarie per le controllate, alle quali concedono prestiti o garanzie.

Nel caso in esame, in relazione alla riorganizzazione della catena partecipativa del gruppo Alfa, diretta alla creazione di un sistema di indebitamento considerato più sostenibile, sono state costituite 2 “sub holding” prive di mezzi e personale (Beta e Gamma) al fine di reperire risorse finanziarie ed erogare finanziamenti a una controllata (Alfa) per l’acquisizione di una società (Zeta).

Le 2 sub holding hanno sostenuto alcuni costi per consulenze professionali, nonché oneri notarili, che in base agli accordi tra i soggetti del gruppo avrebbero dovuto essere riaddebitati ad Alfa, cioè alla società che avrebbe proceduto all’acquisizione, essendo stati sostenuti a beneficio dell’acquisto della partecipazione nella controllata e al suo rifinanziamento.

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− sul piano giuridico, le 2 sub holding costituiscono soggetti passivi Iva, nonostante le loro caratteristiche di holding di partecipazioni a struttura c.d. “leggera”, dotate del solo amministratore unico e, correlativamente, se le prestazioni di servizi per il riaddebito dei “transaction costs” e le prestazioni di servizi per gli interessi attivi sul finanziamento soci ricevuti siano da considerare operazioni rilevanti ai fini dell’Iva;

− nel caso in cui sia riconosciuta la soggettività passiva Iva delle sub holding, sia detraibile l’Iva assolta sui “transaction costs” in ragione agli addebiti effettuati a favore della controllata.

Soggettività passiva delle sub holding

L’articolo 9, § 1, Direttiva 2006/112/CE contiene, al comma 1, la definizione di soggetto passivo Iva, per tale intendendosi “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”. Nel successivo comma 2 dello stesso § 1, viene specificato che, per attività economica, s’intende “ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate”. Costituisce, in particolare, attività economica, “lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”.

Alla luce di tali disposizioni, la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, con un orientamento ormai consolidato[1], distingue la prospettiva “statica” da quella “dinamica”, affermando che: “non ha lo status di soggetto passivo dell’Iva, ai sensi dell’articolo 4 della sesta direttiva[2], e non ha diritto a detrazioni in base all’articolo 17 di tale direttiva una società holding il cui unico scopo sia l’assunzione di partecipazioni presso altre imprese, senza che tale società interferisca in modo diretto o indiretto nella gestione delle stesse, fatti salvi i diritti che tale società possiede nella sua qualità di azionista o di socio”. Ad avviso dei giudici comunitari, “il mero acquisto e la mera detenzione di partecipazioni societarie non devono essere ritenuti attività economiche ai sensi della sesta direttiva, tali da conferire al soggetto che le abbia effettuate la qualità di soggetto passivo. Infatti, la semplice assunzione di partecipazioni finanziarie in altre imprese non costituisce sfruttamento di un bene al fine di trarne introiti che abbiano carattere stabile, in quanto l’eventuale dividendo, frutto di detta partecipazione, discende dalla mera proprietà del bene”.

Tali conclusioni non valgono: “qualora la partecipazione sia accompagnata da un’interferenza diretta o indiretta nella gestione delle società di cui si sono acquisite le partecipazioni, fatti salvi i diritti che chi detiene le partecipazioni possiede nella sua qualità di azionista o socio”.

In questa diversa prospettiva (c.d. “dinamica”), infatti, la Corte ha sostenuto che: “l’interferenza di una società holding nella gestione delle società nelle quali ha assunto partecipazioni costituisce un’attività economica ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della sesta direttiva, ove essa implichi il compimento di operazioni soggette all’Iva ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva, quali la prestazione di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici da parte della società holding alle sue controllate”.

Nella sentenza di cui alla causa C-320/17 del 5 luglio 2018, è stato opportunamente puntualizzato, avendo riguardo alla specifica fattispecie esaminata, che “gli esempi di attività che sono manifestazione di un’interferenza della holding nella gestione delle sue controllate non costituiscono un elenco esaustivo” e che “la nozione d’“interferenza di una holding nella gestione della sua controllata” deve pertanto essere intesa nel senso che comprende tutte le operazioni che configurano un’attività economica ai sensi della direttiva Iva, effettuate dalla holding a favore della sua controlla”.

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Nella sentenza causa C-249/17 del 17 ottobre 2018, la soggettività Iva in capo alla holding sussiste anche se i servizi di gestione a favore della controllata non sono stati resi, in quanto la completa neutralità dell’imposizione fiscale esige che la detrazione sia riconosciuta se le spese sono sostenute in funzione di un’attività economica, anche se di fatto la stessa non viene svolta[3].

Nello stesso senso si è pronunciata la Corte di Giustizia UE nella sentenza di cui alla citata causa C-320/17 del 17 ottobre 2018, con la quale i giudici dell’Unione Europea, in merito al requisito dell’interferenza nella gestione delle partecipate, indispensabile per operare la detrazione, hanno specificato che ad assumere rilevanza sono non solo i servizi forniti dalla holding alle controllate, ma anche quelli “che essa abbia tentato di sviluppare nei loro confronti”.

La stessa conclusione è stata confermata, sia pure in modo implicito, dalla sentenza resa nella causa C-502/17 dell’8 novembre 2018, avente per oggetto la detrazione dell’Iva relativa ai servizi di consulenza acquistati in vista della cessione di una partecipazione che, però, non è stata effettuata per mancanza di potenziali acquirenti.

Disallineamenti con la disciplina nazionale

È il caso, peraltro, di osservare che esiste un disallineamento tra la disciplina interna e quella comunitaria in merito alla soggettività passiva Iva delle holding.

Nella disciplina nazionale (articolo 4, comma 5, ultimo periodo, lettera b), D.P.R. 633/1972), infatti, come interpretata in un primo tempo dall’Amministrazione finanziaria[4], la holding assume lo status di soggetto passivo Iva se possiede una struttura preordinata ad esercitare un’attività finanziaria o un’organizzazione idonea a gestire le partecipate, senza che sia espressamente richiamata la condizione, prevista dalla giurisprudenza comunitaria, relativa all’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini Iva nei confronti delle partecipate, considerata indispensabile affinché si realizzi quell’interferenza, anche solo indiretta, nella gestione delle partecipazioni che i giudici dell’Unione Europea richiedono ai fini dell’acquisizione della soggettività Iva, definita sul piano normativo dall’articolo 9, Direttiva 2006/112/CE.

Più recentemente, a partire dalla circolare n. 6/E/2016, avente per oggetto il trattamento fiscale delle operazioni di acquisizione con indebitamento, il richiamo compiuto dall’Agenzia delle entrate alle pertinenti disposizioni della Direttiva 2006/112/CE e alle indicazioni della Corte di Giustizia UE porterebbe a ritenere che le condizioni previste dal citato articolo 4, comma 5, ultimo periodo, lettera b), D.P.R. 633/1972 debbano essere necessariamente interpretate in chiave comunitaria, cosicché la holding non può considerarsi un soggetto passivo Iva se, pur essendo dotata di una struttura preordinata a esercitare un’attività finanziaria o di un’organizzazione idonea a gestire le società partecipate, non effettua operazioni soggette a imposta nei loro confronti.

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Detraibilità dell’Iva nelle operazioni di MLBO

In particolare, come specificato dall’Agenzia delle entrate, “la mera detenzione di una partecipazione societaria, senza il compimento di operazioni ulteriori e soggette ad Iva, non configura lo svolgimento di un’attività economica, in forza della quale una società può acquisire la qualifica di soggetto passivo dell’imposta. Risulta, in tal modo, precluso il diritto alla detrazione dell’imposta, legato inscindibilmente alla qualificazione dell’operatore come soggetto passivo di imposta …. Tale riconoscimento, infatti, è subordinato all’avvenuta “ingerenza” o “interferenza” nella gestione delle stesse società controllate …, che si traduce nel compimento di operazioni rientranti nell’ambito applicativo dell’imposta, quali le prestazioni di servizi amministrativi, finanziari, commerciali e tecnici verso le società consociate”[5].

Ne consegue che, “ove ci si trovi in presenza di una situazione in cui la società veicolo (c.d. Special Purpose Vehicle – SPV o BidCoo newCo) esercita quale attività la sola detenzione di partecipazioni, senza interferire in alcun modo nella gestione delle società controllate, si è del parere che non possa essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’Iva gravante sulle other fee né alla predetta società veicolo, né – successivamente alla fusione – alla società target qualora la stessa sia stata incorporata o abbia incorporato la citata SPV. A diverse conclusioni circa la detraibilità dell’Iva addebitata si potrebbe giungere, ovviamente, nel caso in cui la società veicolo non rivesta un ruolo di mero detentore di partecipazioni, svolgendo un’attività commerciale ai sensi di quanto disposto dall’articolo 9 della direttiva n. 112 del 2006, così come recepito dall’articolo 4 del d.P.R. n. 633 del 1972[6].

Dunque, secondo la prassi amministrativa, la mera acquisizione del capitale sociale della società target da parte della società veicolo, anche se preordinata alla successiva fusione, se non è accompagnata da un’interferenza nella gestione societaria della controllata che implichi l’effettuazione di operazioni imponibili, è di per sé sufficiente a escludere la soggettività passiva della società veicolo, con la conseguente indetraibilità dell’Iva assolta sull’acquisto di beni/servizi.

La posizione dell’Agenzia delle entrate è disattesa dalla giurisprudenza, sia di merito sia di legittimità[7].

L’imposta dovuta o assolta dalla società veicolo, qualora correlata ad acquisti di beni e servizi che si accertino preordinati alla realizzazione dell’operazione di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, è in linea di principio detraibile ai sensi dell’articolo 19 e ss., D.P.R. 633/1972, qualora la società risultante dalla fusione con la società target sia qualificabile alla stregua di soggetto passivo Iva e goda, a propria volta, del diritto alla detrazione dell’imposta.

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La disciplina Iva subordina, infatti, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta a un duplice presupposto, in quanto, da un lato, è necessario che il soggetto che invoca la detrazione sia titolare dello status di soggetto passivo dell’imposta che ambisce a detrarre; dall’altro lato, è imprescindibile che i beni e servizi acquistati siano impiegati da tale soggetto passivo in funzione di operazioni sue proprie, soggette a Iva, ossia di operazioni imponibili o di operazioni a esse assimilate ai fini della detrazione.

Le fasi dell’operazione di MLBO rendono evidente che l’acquisizione della partecipazione nel capitale della società target, da parte della società veicolo, rappresenta una fase meramente temporanea e strumentale alla fusione della società veicolo medesima con quella che – transitoriamente – è la propria controllata. La fusione tra società veicolo e società target assurge, infatti, “ab origine”, a presupposto necessario dell’intera operazione, in quanto funzionale alla congiunzione del debito finanziario della società veicolo con il patrimonio della società target.

La società veicolo è in grado di svolgere nel contesto dell’operazione in discorso un ruolo del tutto divaricato rispetto a quello di una holding destinata alla detenzione ed eventuale gestione di partecipazioni societarie. La società veicolo, infatti, non nasce a meri fini di detenzione di partecipazioni, connotandosi, piuttosto, come strumento finalizzato ad attingere le risorse indispensabili all’acquisizione della società target, allo scopo precipuo di gestirne in via diretta l’azienda e di implementarne la struttura economico-finanziaria, in seguito al perfezionarsi di una già preordinata fusione.

In questo contesto, ai fini dell’Iva l’acquisizione della società target s’atteggia ad attività preparatoria dell’attività economica che in esito all’acquisizione della società bersaglio verrà esercitata. Il sostenimento di per sé, da parte della società veicolo, di spese di investimento orientate all’acquisizione delle partecipazioni azionarie fa di detto ente un soggetto passivo, ancorché i beni e servizi acquistati non siano immediatamente utilizzati per lo svolgimento di tale attività economica, ma siano prodromici al suo concreto avvio.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza comunitaria, per il principio di neutralità, le spese di investimento effettuate ai fini di un’operazione orientata all’esercizio finale dell’attività produttiva si iscrivono nel perimetro delle attività economiche. Non rileva, in altri termini, il momento in cui si realizzano le prime operazioni attive da parte di un ente, non potendosi ragionevolmente distinguere tra spese di investimento effettuate prima oppure in costanza dell’effettivo svolgimento dell’attività economica[8].

I costi sostenuti dalla società veicolo, benché anteriormente alla fusione non si risolvano in una interferenza diretta nella gestione societaria della controllata che implichi l’effettuazione di operazioni soggette a Iva, nondimeno appaiono intimamente preparatori dell’esercizio dell’attività economica e del suo rafforzamento. La società veicolo neocostituita sostiene i costi stessi con la finalità di utilizzare i beni o servizi consulenziali acquistati per la prosecuzione dell’attività economica della società target, altrimenti non avrebbe neppure ragione di acquistarli.

Anche se la società veicolo non effettua operazioni attive, nondimeno, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva, la stessa Corte di Cassazione ha più volte, dal canto suo, precisato che, se, da un lato, in ordine agli acquisti di beni e in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, d’altro lato, non è richiesto il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie, poiché è inerente all’esercizio dell’impresa anche l’acquisto di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni necessarie affinché l’attività tipica possa cominciare, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie[9].

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Le attività preparatorie costituiscono pur sempre esercizio di un’attività economica e, conseguentemente, anche l’acquisto dei beni e servizi necessari alla costituzione delle condizioni necessarie perché l’attività economica tipica dell’impresa possa concretamente iniziare devono considerarsi strumentali e inerenti allo svolgimento della futura attività economica.

Orientamento dell’Agenzia delle entrate nella risposta a interpello n. 250/E/2024

La giurisprudenza comunitaria ha stabilito che gli interessi conseguiti da una holding in relazione ai prestiti concessi alle partecipate rientrano nel campo di applicazione dell’Iva, in quanto tali interessi, a differenza di quanto accade per i dividendi relativi alle partecipazioni, non possono considerarsi il frutto della semplice disponibilità di un bene, ma costituiscono piuttosto il corrispettivo per il capitale concesso al terzo. In tal senso, la Corte ha ritenuto che una holding che concede prestiti onerosi alle partecipate agisce in qualità di soggetto passivo, in quanto le operazioni in questione vengono compiute nell’ambito di un obiettivo imprenditoriale o a un fine commerciale, contraddistinto in particolare dall’intento di garantire la redditività dei capitali investiti[10].

Nel caso di specie, le 2 sub holding sono state costituite, nell’ambito di un progetto di riorganizzazione della catena partecipativa del gruppo Alfa, al fine di reperire ulteriori risorse finanziarie attraverso l’emissione di un prestito obbligazionario garantito e la successiva erogazione a cascata di un finanziamento soci fruttifero alla propria controllata finalizzato all’acquisizione della società target.

Ad avviso dell’Agenzia delle entrate, la complessa attività di finanziamento infragruppo posta in essere dalle sub holding si sostanzia in un’attività di natura finanziaria a favore delle partecipate, che, in linea con i principi espressi dalla Corte europea, determina ingerenza o interferenza nella gestione della controllata in ragione, tra l’altro, dell’ammontare delle somme veicolate e delle garanzie prestate ai fini del rimborso dei finanziamenti.

Regime Iva del riaddebito dei “transaction costs” e degli interessi sul finanziamento

Per quanto riguarda la possibilità di considerare come prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva i riaddebiti dei “transaction costs” e degli interessi sul finanziamento, l’Agenzia delle entrate, nella risposta a interpello n. 250/E/2024, ha osservato che il riaddebito a una società dei costi sostenuti per suo conto rileva, ai fini Iva, qualora sia ravvisabile, nell’ambito dei rapporti tra le parti, lo schema giuridico del mandato senza rappresentanza. In tal caso, le prestazioni rese in qualità di mandatario senza rappresentanza, mantengono la stessa natura delle prestazioni sottostanti per quanto riguarda sia l’aliquota sia il trattamento fiscale del servizio reso, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, D.P.R. 633/1972.

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Come affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13085/2020, ai fini della detrazione dell’Iva sulle prestazioni di servizi forniti o acquistati dalla controllante a favore della controllata (“cost sharing”), devono emergere l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio, ovvero l’effettività e l’inerenza della spesa rispetto all’attività esercitata dalla controllata e il reale vantaggio che deriva a quest’ultima. In tale ordinanza, in particolare, pur dibattendo sulla detrazione in capo alla controllata, si ritengono soggette a Iva le prestazioni di servizi acquistate dalla holding a vantaggio della controllata se l’utilità di tali servizi si estrinseca nella sfera economica di quest’ultima.

Pertanto, secondo l’Agenzia delle entrate, se i “transaction costs” sono stati sostenuti dalle sub holding a beneficio della controllata, in quanto collegati al reperimento delle risorse finanziarie aggiuntive a favore di quest’ultima ai fini dell’acquisizione della società target, si può ragionevolmente ritenere che il riaddebito di tali costi sia rilevante ai fini Iva.

Modalità di esercizio della detrazione da parte delle sub holding

Infine, riguardo alle modalità di esercizio del diritto di detrazione dell’Iva e alla misura della detrazione, in base all’articolo 19, comma 5, D.P.R. 633/1972, in presenza di attività che danno luogo sia a operazioni imponibili sia a operazioni esenti, la detrazione è ridotta in ragione della percentuale corrispondente al rapporto previsto dall’articolo 19-bis, comma 1, D.P.R. 633/1972 (c.d. “pro rata di detrazione”, pari al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nel medesimo anno).

In deroga a tale regola di carattere generale, il comma 2 dell’articolo 19-bis, D.P.R. 633/1972 prevede un meccanismo correttivo in base al quale non devono essere compresi nell’ambito del suddetto rapporto e, conseguentemente, non sono rilevanti ai fini della riduzione della detrazione, le operazioni esenti di cui ai n. da 1) a 9) dell’articolo 10, comma 1, D.P.R. 633/1972, quando le stesse non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo, ovvero sono accessorie alle operazioni imponibili.

Nel caso oggetto della risposta a interpello n. 250/E/2024, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che la concessione di finanziamenti da parte delle sub holding e il riaddebito della “commitment fee” strettamente connessa alla concessione del finanziamento, che sono operazioni esenti da Iva, non possono considerarsi occasionali o accessorie ai fini del pro rata rispetto all’attività propria delle sub holding.

Di conseguenza, stante l’effettuazione da parte delle sub holding di operazioni esenti (attività di finanziamento) e di operazioni imponibili (riaddebito intercompany dei “transaction costs”), ai fini della misura della detrazione spettante alle sub holding, torna applicabile il pro rata di detrazione.

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[1] Si veda, tra le altre, sentenza cause riunite C-108/14 e 109/14 del 16 luglio 2015.

[2] Corrispondente all’articolo 9, Direttiva 2006/112/CE.

[3] Cfr. Corte di Giustizia UE sentenze causa C-268/83 del 14 febbraio 1985, causa C-396/98 dell’8 giugno 2000 e causa C‑441/16 del 21 settembre 2017.

[4] Cfr. circolare n. 328/1997 (§ 1.2.3).

[5] Cfr. circolare n. 6/E/2016, cit..

[6] Si veda la nota precedente.

[7] Si veda, in particolare, Cassazione n. 22608/2024.

[8] Cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza causa C-42/19 del 12 novembre 2020.

[9] Cfr. Cassazione n. 7344/2011, n. 1578/2015, n. 18475/2016 e n. 23994/2018.

[10] Cfr. Corte di Giustizia UE causa C-306/94 dell’11 luglio 1996, causa C-77/01 del 29 aprile 2004



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