IA in Italia: la grande occasione che rischiamo di perdere

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A distanza di due settimane, due casi distinti ci hanno permesso di osservare come l’intelligenza artificiale possa essere trattata in modo diametralmente opposto e come nostro Paese potrebbe risolvere i problemi cronici del paese, dalla bassa produttività alla proposta della forza lavoro sfruttando il potenziale dell’IA.

Il primo riguarda una sentenza del Garante della Privacy, il secondo è un rapporto Ocse sull’impatto prospettico che l’intelligenza artificiale può avere sul mercato europeo.

La multa del Garante privacy a OpenAI

Dopo ventuno mesi di indagini e dopo che nel marzo 2023 l’Italia è stata l’unico paese OCSE a bloccare ChatGPT, abbiamo un verdetto: OpenAI è stata ritenuta colpevole di aver violato il GDPR. A fronte di ciò, il Garante della Privacy ha imposto una sanzione di quindici milioni di euro, una cifra che corrisponde a circa venti volte il fatturato di OpenAI in Italia per quel periodo.

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Le motivazioni della sentenza si possono riassumere nel fatto che OpenAI non ha stabilito una base giuridica adeguata, violando quindi gli obblighi informativi nei confronti degli utenti e non avendo introdotto la verifica dell’età. Questa sentenza probabilmente farà storia nella legislazione europea e mondiale, dimostrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, la resistenza del nostro paese nei confronti dell’innovazione. Di fatto, si è stabilito il principio che è necessario richiedere un’autorizzazione preventiva per innovare. Tuttavia, l’aspetto che susciterà maggior discussione è la disposizione del Garante, che obbliga OpenAI a, cito testualmente: “realizzare una campagna di comunicazione istituzionale di sei mesi su radio, televisione, giornali e internet. I contenuti, da concordare con l’Autorità, dovranno promuovere la comprensione e la consapevolezza del pubblico sul funzionamento di ChatGPT, in particolare sulla raccolta dei dati di utenti e non-utenti per l’addestramento dell’intelligenza artificiale generativa e i diritti esercitabili dagli interessati, inclusi quelli di opposizione, rettifica e cancellazione.”

Da qui sorge il dubbio che nelle autorità italiane non si comprenda appieno cosa sia ChatGPT. Chiunque abbia utilizzato un modello linguistico di grandi dimensioni (LLM) ha potuto constatare come sia molto più semplice cercare informazioni personali su un qualsiasi motore di ricerca rispetto a un LLM. Questo perché, diversamente da un database, un LLM opera in modo completamente diverso. È un procedimento statistico di grandi dimensioni che cerca di mettere le parole una dietro l’altra, secondo una determinata probabilità. I dati servono per addestrare il modello, ma non ne rappresentano l’output.

L’impatto prospettico dell’IA sul mercato europeo: lo studio Ocse

Fortunatamente, alcune settimane prima è stato pubblicato dall’OCSE un documento molto dettagliato intitolato “Job Creation and Local Economic Development 2024: The Geography of Generative AI“, che dovrebbe essere letto con attenzione sia dalle autorità sia dai decisori politici. Questo rapporto mostra l’impatto prospettico che l’intelligenza artificiale può avere sul mercato europeo. È un rapporto ben fatto che spiega puntualmente il motivo per cui dovremmo trattare l’argomento dell’IA alla stregua di un’infrastruttura energetica o del sistema sanitario, dato l’impatto che avrà nei prossimi anni sull’economia e, soprattutto, sul mercato del lavoro. Piuttosto che limitarsi a regolamentare l’intelligenza artificiale, con l’unico effetto concreto di incentivare la fuga di talenti e disincentivare gli investimenti, sarebbe più opportuno considerare l’IA come un settore in cui gli investimenti in Italia dovrebbero essere moltiplicati per tre ordini di grandezza.

Il documento dell’OCSE si concentra nell’analizzare paese per paese, regione per regione, settore per settore l’impatto che l’IA avrà sul mercato del lavoro in modo estremamente dettagliato e granulare. Ma facciamo una premessa.

Perché l’Italia dovrebbe concentrarsi sull’AI

Perché concentrarsi sull’intelligenza artificiale dovrebbe essere fondamentale, particolarmente in un paese come il nostro? Perché, date le caratteristiche del nostro mercato del lavoro e della nostra struttura produttiva, l’IA rappresenta la maggiore opportunità degli ultimi cinquant’anni per correggere alcune delle disfunzioni che affliggono la nostra economia. Tuttavia, se non ci si organizza per tempo, potrebbe rivelarsi un rischio per un mercato del lavoro già di per sé fragile.

Le opportunità sono evidenti in relazione ai due problemi più radicati del nostro mercato del lavoro.

Il numero di lavoratori attivi

Problema numero uno: il numero di lavoratori attivi. L’Italia si trova agli ultimi posti in Europa (58,2%) insieme a Grecia (57,2%) e Romania (61,9%), mentre i Paesi Bassi registrano la quota più elevata (80,1%), seguiti da Germania (75,8%) e Danimarca e Malta (entrambe con il 75,5%). Questa situazione diventerà ancora più critica nel tempo, visto che l’Italia è il paese OCSE che presenterà nei prossimi anni il più forte decremento della popolazione in età lavorativa.

Bassa produttività del lavoro

Problema numero due: bassa produttività del lavoro e bassissima crescita della stessa. Tra il 2003 e il 2023 la produttività italiana è cresciuta del 2,5%, in Francia del 9,7%, in Germania del 16%, in Spagna del 18% e nell’intera Unione Europea del 19,6%. Questo problema, a differenza di quasi tutti i paesi OCSE, non è fortemente regionalizzato, indice questo di un problema molto più strutturale nel nostro paese.

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Con gap di produttività nel paese più bassi rispetto a quelli di Francia, Germania, UK, Stati Uniti, Canada e quasi tutti i grandi paesi OCSE. I problemi di cui sopra si manifestano in un contesto di finanza pubblica già oggi disastrato. Che vede nel pagamento degli interessi sul debito e nelle pensioni le prime due voci di spesa del budget pubblico. Con il triste primato di secondo debito europeo rispetto al PIL.

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Problema numero due: la bassa produttività del lavoro e la bassissima crescita della stessa. Tra il 2003 e il 2023, la produttività italiana è cresciuta del 2,5%, mentre la Francia ha registrato un aumento del 9,7%, la Germania del 16%, la Spagna del 18% e l’intera Unione Europea del 19,6%.

Questo problema, a differenza di quasi tutti i paesi OCSE, non è fortemente regionalizzato, indicando un problema molto più strutturale nel nostro paese. Con gap di produttività nel paese più bassi rispetto a quelli di Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e quasi tutti i grandi paesi OCSE.

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Con un gap di produttività nel paese più bassi rispetto a quelli di Francia, Germania, UK, Stati Uniti, Canada e quasi tutti i grandi paesi OCSE

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I problemi sopra menzionati si manifestano in un contesto di finanza pubblica già oggi disastrato, caratterizzato dal fatto che il pagamento degli interessi sul debito e le pensioni rappresentano le prime due voci di spesa del budget pubblico. L’Italia detiene inoltre il triste primato del secondo debito europeo rispetto al PIL.

I settori che potranno beneficiare dell’IA

In questo contesto, tuttavia, l’intelligenza artificiale, se utilizzata e gestita correttamente, potrebbe avere un impatto positivo significativo, in particolare nei comparti che negli anni hanno subito maggiormente la crisi della produttività italiana.

Mentre l’industria esportatrice, che negli anni ha sempre performato bene, vedrà un impatto marginale dell’intelligenza artificiale, i settori con le performance peggiori in Italia, pubblici e privati, potrebbero beneficiare considerevolmente dell’IA. Grazie all’intelligenza artificiale, sia la produttività sia la capacità di sostituire la forza lavoro, che nel prossimo ventennio diminuirà, potrebbero vedere un incremento.

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In particolare, settori come l’amministrazione, il legale, le operazioni finanziarie e bancarie, e le vendite, vedranno nell’IA una forte capacità di sostituire una forza lavoro che già oggi è difficile da trovare. In altri settori come l’educazione, la gestione, l’ingegneria, la forte complementarietà dell’intelligenza artificiale permetterà di aumentare notevolmente la produttività di figure professionali che attualmente le imprese fanno fatica a reperire.

Citazione testuale dal rapporto dell’OCSE: “La maggior parte dei settori dell’economia può beneficiare dell’IA generativa. La composizione industriale è il principale fattore delle differenze nell’esposizione all’IA generativa nei mercati del lavoro locali. Solo il 5% dei lavoratori in agricoltura è considerato esposto all’IA generativa rispetto al 71% dei lavoratori nel settore dell’informazione e delle comunicazioni. La percentuale di lavoratori altamente esposti nel settore finanziario e assicurativo in futuro potrebbe essere ancora più alta, quasi al 97%. Quasi la metà di tutti i settori potrebbe vedere la maggioranza dei propri lavoratori altamente esposti all’IA generativa. In otto dei diciotto settori analizzati nell’Unione Europea, oltre il 50% dell’occupazione potrebbe essere altamente esposto nel prossimo futuro. In quattro settori, attività immobiliari, informazione e comunicazione, attività professionali e scientifiche, e servizi finanziari e assicurativi, la quota di lavoratori esposti potrebbe superare l’80%.”

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Un’analisi accurata dei rischi

In questo contesto, è imprescindibile condurre un’analisi accurata dei rischi per mitigare gli effetti negativi potenziali.

Analizzando le proiezioni, emerge come le donne siano maggiormente esposte rispetto ai colleghi maschi all’IA generativa. Questo fenomeno rappresenta un’inversione delle tendenze precedenti ed è attribuibile principalmente al fatto che i settori dell’istruzione, della salute umana e del lavoro sociale, che impiegano una percentuale significativa di lavoratrici, sono quelli più suscettibili all’impatto dell’IA generativa. In particolare, queste industrie rappresentano oltre il 30% dell’occupazione femminile, ma soltanto circa il 9% di quella maschile.

Diversamente, settori come l’agricoltura, le costruzioni, la produzione manifatturiera, i trasporti e l’estrazione di materiali, che sono tradizionalmente a maggioranza maschile, risultano meno impattati dall’intelligenza artificiale generativa.

IA, la sfida ignorata dall’Italia

Purtroppo, non sembra che l’ecosistema italiano stia percependo con sufficiente urgenza la sfida posta dall’intelligenza artificiale. Se da un lato il committente pubblico non sta istituendo piani di implementazione dell’IA a tappeto, dall’altro il settore privato sta muovendo risorse che appaiono del tutto ininfluenti.

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Nel 2024, l’intero Venture Capital italiano ha investito in startup AI circa 130 milioni di euro, una cifra irrisoria rispetto al già asfittico panorama europeo, dove paesi come Francia e Germania hanno investito circa 2 miliardi di euro ciascuno. Questi numeri diventano ancora più sconcertanti se confrontati con gli Stati Uniti, che attualmente investono ben oltre i 100 miliardi di dollari annui, con una crescita costante.

Come colmare il gap

Come possiamo recuperare questo divario? Il settore pubblico ha un disperato bisogno di moltiplicare di almeno un ordine di grandezza la sua produttività. Parallelamente, tra fatturazione digitale, banche dati delle camere di commercio, database delle varie sanità regionali, PagoPA, catasti e altro ancora, il settore pubblico è il più grande detentore di dati.

In una nazione che, proprio a causa della sua ossessione per la procedura e l’adempimento, ha digitalizzato i suoi processi senza renderli più semplici e lineari, si crea il panorama ideale per l’IA. Questa abbondanza di dati codificati rappresenta infatti un terreno fertile per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Se il settore pubblico cominciasse a definire chiaramente i suoi obiettivi e le sue necessità al settore privato, con un particolare focus sulle startup, e fornisse accesso anonimizzato e in modalità open data ai suoi database, si potrebbe creare un ecosistema molto ricco di dati accessibili.

Inoltre, se si promuovessero le sandbox normative, in cui il privato può operare liberamente senza cercare di identificare i rischi ex-ante, avremmo un contesto che, sebbene non ricco di capitale, sarebbe ricco di dati accessibili, talenti a basso costo e con una buona qualità dell’accademia. Questo potrebbe consentire un miglioramento significativo delle performance, anche con risorse limitate.

Qualcosa però inizia a muoversi. Nel silenzio generale, l’Italia è attualmente una vera superpotenza del calcolo in Europa e nel mondo, seconda solo agli Stati Uniti. Con due supercomputer nella Top500, rispettivamente HPC6 di Eni al quinto posto e Leonardo di Cineca al nono, se questi venissero messi a sistema con hardware e dati accessibili alle startup, avremmo un’opportunità non tanto per colmare immediatamente il gap, ma per iniziare un percorso promettente. Questo, naturalmente, supponendo che si riesca prima a ridurre la bulimia normativa e la pervasività delle varie authority.

Purtroppo, non sembra che l’ecosistema italiano stia percependo con sufficiente urgenza la sfida posta dall’intelligenza artificiale. Se da un lato il committente pubblico non sta istituendo piani di implementazione dell’IA a tappeto, dall’altro il settore privato sta muovendo risorse che appaiono del tutto ininfluenti.

Nel 2024, l’intero Venture Capital italiano ha investito in startup AI circa 130 milioni di euro, una cifra irrisoria rispetto al già asfittico panorama europeo, dove paesi come Francia e Germania hanno investito circa 2 miliardi di euro ciascuno. Questi numeri diventano ancora più sconcertanti se confrontati con gli Stati Uniti, che attualmente investono ben oltre i 100 miliardi di dollari annui, con una crescita costante.

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Come possiamo recuperare questo divario? Il settore pubblico ha un disperato bisogno di moltiplicare di almeno un ordine di grandezza la sua produttività. Parallelamente, tra fatturazione digitale, banche dati delle camere di commercio, database delle varie sanità regionali, PagoPA, catasti e altro ancora, il settore pubblico è il più grande detentore di dati.

In una nazione che, proprio a causa della sua ossessione per la procedura e l’adempimento, ha digitalizzato i suoi processi senza renderli più semplici e lineari, si crea il panorama ideale per l’IA. Questa abbondanza di dati codificati rappresenta infatti un terreno fertile per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Se il settore pubblico cominciasse a definire chiaramente i suoi obiettivi e le sue necessità al settore privato, con un particolare focus sulle startup, e fornisse accesso anonimizzato e in modalità open data ai suoi database, si potrebbe creare un ecosistema molto ricco di dati accessibili.

Inoltre, se si promuovessero le sandbox normative, in cui il privato può operare liberamente senza cercare di identificare i rischi ex-ante, avremmo un contesto che, sebbene non ricco di capitale, sarebbe ricco di dati accessibili, talenti a basso costo e con una buona qualità dell’accademia. Questo potrebbe consentire un miglioramento significativo delle performance, anche con risorse limitate.

Qualcosa però inizia a muoversi. Nel silenzio generale, l’Italia è attualmente una vera superpotenza del supercalcolo in Europa e nel mondo, seconda solo agli Stati Uniti. Con due supercomputer nella Top500, rispettivamente HPC6 di Eni al quinto posto e Leonardo di Cineca al nono, se questi venissero messi a sistema con hardware e dati accessibili alle startup, avremmo un’opportunità non tanto per colmare immediatamente il gap, ma per iniziare un percorso promettente. Questo, naturalmente, supponendo che si riesca prima a ridurre la bulimia normativa e la pervasività delle varie authority.



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