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Questo articolo è tratto dal capitolo “PNRR e Coesione” dell’Annual Report 2024 di FPA (la pubblicazione è disponibile online gratuitamente, previa registrazione)


L’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non gode di buona narrazione e su tutto incombe anche il pathos crescente della scadenza ravvicinata. La stampa, la comunicazione nelle sue varie declinazioni, ma anche i documenti istituzionali come quelli economici o di monitoraggio civico che commentano l’attuazione del PNRR mettono in evidenza il countdown al 2026 come fosse una deadline non tanto vissuta come termine di attuazione ma proprio come definitiva fine di un esperimento. Si legge da un sito dedicato che mancano circa 800 giorni e altre poche ore e minuti alla “chiusura del PNRR”.

Sorprende per contro, e dà ragione a chi riflette che il PNRR non può considerarsi esperienza transitoria, l’intensità del word cloud che compare nel frontespizio della Relazione sullo stato di attuazione del PNRR della Corte dei Conti del maggio 2024: salute, giovani, parità di genere, istruzione e ricerca, divari territoriali, e ancora inclusione e coesione, obiettivi e traguardi, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture per una modalità sostenibile, digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura.

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Le sfide poste dal PNRR in così tanti comparti, l’aver rivoluzionato il metodo di valutazione del raggiungimento degli obiettivi passando dall’assorbimento della spesa al raggiungimento di target, aver definitivamente sposato l’idea che alle scelte economiche e agli investimenti pubblici che fanno da volano a quelli privati debbano essere associate le riforme politiche e istituzionali, aver fatto convergere tutti gli Stati membri verso un debito comune che sostenga sviluppo, inclusione e competitività, non possono ragionevolmente portarci a credere né ad accettare che si tratti di un esperimento che possa essere archiviato per raggiunto termine di fine corsa. Perché in effetti oltre che di profonda trasformazione anche di corsa si è trattato e si tratta quando si parla di attuazione del PNRR.

Il tema della scadenza e dei soli cinque anni stabiliti per l’attuazione è un tema cruciale per i tempi di attuazione, elemento di grande difficoltà e sofferenza da sempre nel nostro paese per le amministrazioni locali e centrali, che reca con sé anche il tema del futuro e del “dopo 2026”. Risulta difficile accettare che sia sensato pensare che fra due anni e mezzo tutto sarà finito e si tireranno nel bene e nel male le somme senza una prospettiva né finanziaria in termini di risorse per la gestione degli investimenti effettuati né di governance.

Riesce difficile perché in materia di PNRR e proprio visionando i materiali oramai copiosi sia sull’impianto che sull’attuazione del Piano emerge non solo una grande ambizione di visione ma una portata di cambiamento e di innovazione così marcata che è impossibile credere che tutto quanto messo in campo a livello UE e di Stati membri in termini di diverso approccio alle politiche di sviluppo, di inversione verso una politica economica espansiva e di stretta partnership fra SM e UE realizzata attraverso un debito comune, possa arenarsi su una scadenza di medio termine che non può essere adeguata per ottenere risultati strutturali.

L’eventuale proroga del PNRR oltre la scadenza del 2026 di cui si discute è invece già realtà per gli “strumenti finanziari” che permettono di superare questa deadline. Questi strumenti, che includono fondi la cui costituzione e alimentazione sono inserite tra gli obiettivi anche del PNRR italiano, consentono agli Stati membri di spendere le relative risorse anche dopo il 2026. In Spagna, ad esempio, questi fondi ammontano a quasi il 50% dei 163 miliardi previsti dal PNRR mentre per l’Italia i veicoli finanziari previsti valgono 11,8 miliardi di euro[1] su 194,4 miliardi totali del nostro PNRR. Potrebbe essere già questo elemento non solo la spia ma anche il game changer protagonista della evidente necessità di proseguire con il PNRR, ma avranno un ruolo anche la volontà delle imprese degli Stati membri che, come hanno recentemente sottolineato Spagna e Italia, hanno preso coscienza delle grandi opportunità di azioni congiunte per guadagnare produttività e far risalire alla UE la china della competitività decrescente a livello globale. È recente la dichiarazione congiunta di Confindustria e l’omologa spagnola CEOE dove si condivide che “la sfida più grande che abbiamo davanti è quella di colmare il gap di competitività dell’Unione nel suo complesso” e per farlo si chiede proprio che venga posposta la deadline, negoziata una proroga della scadenza del PNRR che ha fra le sue ricadute intrinseche il recupero dell’attrattività della UE sostenuto dalla fiducia come precondizione stessa degli investimenti. Un utilizzo efficace delle risorse, considerando i processi altamente trasformativi che la nostra economia sta attraversando e il panorama internazionale piuttosto instabile, esige che l’industria e le imprese in generale ma anche la ricerca abbiano il tempo di strutturarsi e le infrastrutture di essere realizzate.

Del resto, anche lato occupazione e lavoro i sindacati di vari Paesi, in particolare Italia, Spagna, Belgio e Francia[2], chiedono di confermare l’approccio PNRR per consentire “investimenti sociali, investimenti verdi, il finanziamento dei servizi pubblici e dei sistemi di protezione sociale e il sostegno pubblico alla transizione giusta e alla decarbonizzazione delle industrie europee”. Questa si sostiene è la strada giusta affinché “nessuno resti indietro”.

A livello UE e non solo italiano i motivi dei ritardi di attuazione destano preoccupazione e sono vari e importanti: le circostanze esterne innanzitutto, come ad esempio l’inflazione, la mancanza di approvvigionamento energetico dovuta alla guerra subita dall’Ucraina, ma anche, più banalmente, la sottovalutazione del tempo necessario per attuare le misure, le incertezze relative a specifiche norme di attuazione del PNRR, come il principio di non arrecare danno significativo (DNSH) specialmente in ambito ambientale o la questione del divieto di doppio finanziamento che pone molte incognite sulla strada degli attuatori e le sfide connesse alla capacità amministrativa degli Stati membri e in particolar modo la mancata assunzione del personale necessario, o la sua permanenza nella Pubblica Amministrazione (PA) centrale e locale dopo avere ricevuto una formazione solida, un problema che ha toccato e che tocca fortemente l’Italia.

Il Next Generation EU (NGEU) nell’ambito del quale nascono e sono concepiti nella loro attuazione i PNRR dei diversi Stati membri guarda all’UE nella sua globalità e cerca di porre rimedio ad un male europeo che, salvo che nelle politiche di coesione, affligge l’Unione: articolare obiettivi comuni ma senza la capacità di definire poi priorità e azioni comuni di sostegno. Il NGEU avendo posto le basi di una collaborazione la cui logica è che le azioni finanziate producono benefici per l’intera UE indipendentemente da dove gli interventi vengono programmati e messi a terra ha cercato di superare nell’impostazione quella frammentazione di risorse nazionali e comunitarie che ha nuociuto alla competitività dell’Unione globalmente e quindi anche a quella di ciascun Stato membro. E ha nuociuto di riflesso anche sulle condizioni di vita e lavoro dei cittadini europei.

La sfida posta dal NGEU e dal suo meccanismo di sostegno Recovery and Resilience Facility (RRF) è stata così ambiziosa e coraggiosa e all’altezza delle difficoltà cui voleva dare risposta che in ogni caso se anche non dovesse esserci una continuità operativa ci sarà sicuramente un’eredità di risultato e di metodo perché quantomeno saranno sedimentate buone prassi e attitudini alla collaborazione interistituzionale per fare accadere le cose misurandone l’impatto in termini di soddisfazione del fabbisogno vista la natura qualitativa delle milestone oltreché la rilevanza che assumono i target fisici.

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Già oggi credo si possa indicare quali siano gli elementi che dovremmo difendere perché restino vitali dopo il 2026 e molto oltre, e questi elementi potrebbero essere determinanti anche per scegliere di proseguire. L’attenzione ai risultati, la solidarietà fra amministrazioni, la cultura del monitoraggio per cui si sta facendo uno sforzo di accountability anche interno alla PA e soprattutto sul sistema REGIS, vista l’accresciuta pratica del monitoraggio civico. Il PNRR ha implementato poi la cultura del rapporto con i soggetti attuatori, che sono sostenuti e verso cui si fa tutoraggio specie sulle procedure di allineamento formale ma anche su tutta la messa a terra degli investimenti. Il tema dell’accompagnamento all’attuazione è un tema con cui ci confrontiamo da tempo come Italia e che è stato messo in campo già alla chiusura della programmazione 2007-2013, quindi oltre dieci anni fa, con le task force per i programmi nazionali e regionali in ritardo di attuazione. Il PNRR però ha declinato questo strumento introducendolo nella sensibilità amministrativa della PA centrale e mettendo a disposizione degli attuatori grandi attori competenti come Cassa Depositi e Prestiti e Invitalia, quindi un’assistenza tecnica che potremmo definire non esternalizzata.

L’intenso dibattito che ancora oggi si apre ogni volta che si affronta il tema dell’avanzamento del PNRR verte su cosa sia veramente un piano di performance, altra caratteristica da difendere negli strumenti per le politiche di sviluppo a venire, perché spesso le difficoltà interpretative di declinare fino in fondo questa sua peculiare natura l’hanno di fatto tradita.

La nostra cultura amministrativa non è una cultura di performance e questo sicuramente gioca contro l’esplicazione completa dei vantaggi connessi all’impianto del PNRR e si fa fatica a superare l’ottica della spesa e dell’adempimento. Proprio per questo sin d’ora si possono individuare anche quali siano i fattori nelle procedure e nei controlli che rappresentano invece un rischio di soffocamento delle novità introdotte con il PNRR che ne snaturano le caratteristiche mentre lo attuiamo e ne diminuiscono la portata di cambiamento.

Le significative difficoltà procedurali determinate da una soffocante e ridondante applicazione dei controlli quasi triplicati e la mentalità immutata che pone la rendicontazione su binari diversi dal monitoraggio, che non consente di dare il giusto valore all’output fisico ma fa sempre prevalere la ricostruzione storica dei documenti formali, sono il segnale che i controlli non sono ancora finalizzati alla verifica dei risultati e che la strada da percorrere è ancora lunga. Tuttavia, il PNRR ha innescato un processo di consapevolezza attuativa e di concretezza che ha dato e continuerà a dare buoni frutti.

Un ultimo cenno riprendendo l’incipit di questo contributo che metteva in evidenza la cattiva narrazione che si fa dell’attuazione del PNRR è doveroso su come viene declinata la necessità posta dall’articolo 34 del Regolamento (UE) 2021/241 «di garantire adeguata visibilità ai risultati degli investimenti e al finanziamento dell’Unione europea attraverso la diffusione di informazioni coerenti, efficaci e proporzionate, destinate a pubblici diversi tra cui i media e il vasto pubblico». Tale necessità pone il suo fondamento proprio nell’azione collettiva che l’UE ha voluto sollecitare per realizzare il NGEU con il coinvolgimento di tutti, dalla Commissione agli Stati membri nel loro complesso, Governo, Regioni, Città, attori come gestori di risorse e attuatori, e beneficiari intesi anche come cittadini che migliorano le loro condizioni di vita e lavoro.

Questa visibilità per il legislatore europeo la meritano i risultati ed è a questi che dobbiamo guardare per convincerci che il PNRR debba avere vita oltre al 2026 oltre ogni debolezza amministrativa e burocratica.


[1] MEF BEI Fondo di Fondi Ripresa e resilienza Italia.

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[2] Lettera al Parlamento Europeo, Aprile 2024.



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