Dossieraggi, spie e segreti. Al Copasir non solo Elmasry

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«Volete sapere cosa ha detto Mantovano al Copasir? Leggete l’intervista di Minniti al Corriere della Sera».
La voce non viene da destra, ma appartiene a un parlamentare di lungo corso piuttosto esperto di questioni di sicurezza. Nel pomeriggio di ieri, comunque, quando il sottosegretario è stato ascoltato per quasi due ore dal comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti a palazzo San Macuto, non si è parlato solo del caso Elmasry. Anzi, il punto di partenza della discussione era proprio un altro: la vicenda di Gaetano Caputi, il capo di gabinetto di Giorgia Meloni che l’Aisi avrebbe messo sotto controllo accedendo ai suoi dati presenti sul database Punto fisco. Materiale finito in un documento riservato messo nel fascicolo aperto con la denuncia sporta dallo stesso Caputi contro quattro giornalisti di Domani. Il problema è che, per legge, le carte dei servizi non dovrebbero essere messe a disposizione delle parti, che possono averne lettura ma non copia. Su questo la procura di Roma retta da Francesco Lo Voi rischia quantomeno un’ispezione del ministero della Giustizia. Sarebbe l’ennesimo capitolo dello scontro ormai durissimo tra l’esecutivo e la magistratura. La posizione di Mantovano, sul tema, è che da palazzo Chigi nessuno avrebbe mai chiesto di spiare il capo di gabinetto.

IN QUESTO contenitore, poi, rientra anche un’altra storia molto poco edificante, quella della cosiddetta «Squadra Fiore», una presunta banda di trafficanti di dossier e informazioni riservate che, secondo Samuele Calamucci – uno degli indagati a Milano per lo scandalo Equalize – sarebbe capeggiata da Giuseppe De Donno, vicedirettore dell’Aisi (che ha risposto denunciando Calamucci per calunnia). La vicenda, va detto, ha dei confini molto incerti ed è abitata da un sottobosco di funzionari delle forze dell’ordine (ex o in servizio), agenti dei servizi e faccendieri vari che trafficano con le banche dati investigative per i motivi (e i clienti) più disparati.

PER QUANTO riguarda Elmasry, tutto il discorso ruota intorno ai tempi della vicenda. La Corte penale internazionale per il governo, avrebbe fatto diversi errori, a partire dalla redazione di un testo, quello con i capi d’accusa, ritenuto «confuso» e «non inattaccabile», anche perché, nel collegio dei tre giudici che hanno chiesto l’arresto, c’era il parere dissenziente della messicana Maria Socorro Flores Liera. Che però, a dirla tutta, non contestava i fatti in sé ma l’opportunità di tenere aperto l’intero dossier libico sulla base di valutazioni fatte nel 2011 (quando l’Onu decise di aprire il caso). Da qui, in ogni caso, derivano i tentennamenti di via Arenula quando, lunedì 20 gennaio, 24 ore prima del rilascio del boia libico, la Corte d’appello di Roma gli ha chiesto di intervenire. Poi c’è la linea complottista governativa: perché nessuno ha fermato Elmasry che era arrivato in Europa il 6 gennaio e, prima di arrivare a Torino aveva attraversato almeno altri tre paesi? La risposta è che la sua identificazione è avvenuta solo il 17 gennaio in Germania, con il mandato che è stato spiccato il giorno successivo e ha coinvolto le polizie di sei stati diversi. E, comunque, il 6 gennaio Elmasry era sbarcato proprio in Italia, facendo scalo a Fiumicino, dove, nella zona di transito, ha esibito un passaporto della Dominica (paese del Commonwealth) e un visto decennale concesso dagli Usa. Sull’espulsione, infine, Piantedosi ha a modo suo già spiegato alle Camere: «Era un pericolo per la sicurezza nazionale» e per questo è stato allontanato in fretta e furia.

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IL TEMA della sicurezza nazionale, del resto, è quello che più viene agitato dai propagandisti del governo che da due settimane si affannano a fornire scuse e giustificazioni in tv e sui giornali. Da ultimo al coro si è unito Marco Minniti. Il ministro dell’Interno del governo Gentiloni, protagonista nel 2017 del famigerato memorandum libico che tra le altre cose appaltava a quel paese la gestione del flusso di migranti verso le coste italiane, ha spiegato in maniera chiarissima al Corriere della Sera come stanno le cose. «La Libia è strategica», ha detto rispondendo alle domande di Goffredo Buccini. E ancora: «La Libia era ed è una questione di interesse nazionale al suo livello più alto: la sicurezza nazionale, cioè l’incolumità anche fisica di ogni cittadino». Questo perché è la «base più avanzata dei trafficanti di esseri umani», perché «vi si gioca una partita energetica essenziale» e perché «l’Africa è il principale incubatore di terrorismo internazionale e solo qualche anno fa la capitale moderna della Libia, Sirte, era in mano allo Stato Islamico».

L’UNICO PROBLEMA, però, è che se davvero con il caso Elmasry è entrata in gioco la sicurezza nazionale, il governo dovrebbe mettere il segreto di Stato su tutta la vicenda. Ma non l’ha fatto. Non ancora.



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