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Quelli che parlano bene lo indicano come “invecchiamento attivo”. Una cosa buona?
Sì. Ma nel mercato del lavoro c’è chi privilegia il chiaroscuro. In Italia crescono gli occupati over 50, sottraendo una gran parte della popolazione a uno stigma sociale che non li voleva più idonei all’occupazione; ma d’altro canto c’è subito chi paventa una guerra generazionale e teme un rischio competenze. L’indagine Istat sull’andamento dell’occupazione nel novembre 2024 certifica la crescita di circa 1,4 milioni di lavoratori over 50 rispetto al dicembre 2019, superiore a quella degli occupati totali (+1,05 milioni). Negli anni successivi alla pandemia la coorte dei lavoratori anziani è diventata quella più numerosa (il 41% del totale degli occupati), superando quella tra i 35 e i 49 anni.
Lo ha ribadito il mese scorso anche l’annuale Rapporto dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche: «La crescita degli over 50 è l’elemento preponderante che ha caratterizzato il mercato del lavoro, pur nel contesto di ripresa dell’occupazione dei 15-34enni registrato a partire dal secondo trimestre 2021». Il presidente dell’Inapp, Natale Forlani, sindacalista di lungo corso, quindi attento conoscitore delle dinamiche del mercato del lavoro, ha aggiunto: «È un caso unico nel contesto dei Paesi europei, dovuto per la gran parte all’impatto demografico dell’invecchiamento della popolazione su quella in età di lavoro e per le conseguenze del graduale adeguamento dell’età pensionabile. L’aumento della quota dei lavoratori over 50 dipende anche dalla complementare riduzione del numero dei giovani in uscita dai percorsi formativi, che risente del vertiginoso calo della natalità registrato nel corso degli anni Novanta dello scorso secolo e del ridotto tasso di occupazione delle nuove generazioni, attualmente inferiore di 10 punti percentuali rispetto alla media europea».
UN PAESE PER VECCHI
È la demografia, bellezza. Non c’è nessuno scontro generazionale; c’è piuttosto il progressivo e letale assottigliarsi di una componente della popolazione italiana: i giovani. E quelli che ci sono, a differenza del passato, hanno una mobilità molto più alta e magari preferiscono cercare (e trovare) occupazione fuori dai confini nazionali. Cara grazia che aumentano gli occupati over 50. Qualche dettaglio di questo “boom” è stato offerto dall’indagine Aiso (Associazione italiana società di outplacement), che nello scorso dicembre aveva rilevato un aumento degli inserimenti dei lavoratori over 50 nel primo semestre del 2024, con un tasso del 70%. I percorsi di outplacement, della durata media di 4,8 mesi, hanno permesso a molti lavoratori di questa età di ritrovare una posizione professionale, con tempi di ricollocamento che variano in base al ruolo. Per i dirigenti il rientro sul mercato ha richiesto circa 5 mesi, mentre per i quadri i tempi si attestano intorno ai 4 mesi e mezzo. Viceversa, gli impiegati di primo livello hanno riscontrato un allungamento dei tempi di ricollocamento, passando da 4,3 mesi nel 2023 a 5 mesi nel 2024.
PIÙ FLESSIBILI
I settori che assumono maggiormente i lavoratori over 50 sono il chimico-farmaceutico, l’automotive e l’engineering, con una domanda crescente anche per ruoli in ambito commerciale, amministrativo e finance. Un aspetto centrale nel reinserimento lavorativo degli over 50 riguarda la tipologia contrattuale. Secondo Aiso, il 74% dei lavoratori senior ha accettato una nuova posizione con un ruolo uguale o superiore rispetto a quello precedente, con un incremento del 5,7% rispetto al 2023. Un ulteriore 65% ha trovato un impiego con un compenso pari o superiore. Inoltre, gli over 50 tendono a privilegiare forme contrattuali flessibili, dimostrando una maggiore apertura verso nuove modalità di lavoro. «I dati sull’andamento dell’occupazione dei lavoratori over 50 – aggiunge Forlani – segnalano un positivo cambiamento delle imprese rispetto ai dipendenti anziani dotati di valori ed esperienze che non sono facilmente riscontrabili nelle nuove generazioni. Una recente indagine dell’Inapp segnala che il 97% delle imprese ritiene importante ridurre il loro numero e, tra queste, il 93% di poterli sostituire con lavoratori giovani. Ma è del tutto evidente l’importanza di assicurare a questi lavoratori un’adeguata e ragionevole formazione per adattare le competenze all’utilizzo delle tecnologie digitali, di poter far loro usufruire di normative legislative e contrattuali che consentano di combinare modelli flessibili di retribuzione con le rendite pensionistiche e la possibilità di rivalutare l’importo della pensione con il riconoscimento degli ulteriori contributi versati».
POCA FORMAZIONE
E qui si intravvede una delle criticità in filigrana del boom occupazionale degli over 50. Ben vengano le assunzioni per sostenere il monte contributivo, ben vengano le assunzioni per favorire l’inclusione “attiva” di una parte della popolazione che più di altre, nel passato, ha sofferto di una marginalizzazione, ma attenti alle competenze. Il rischio è di favorire un’occupazione a basso valore aggiunto. Un’occupazione povera, scarsamente aggiornata sul fronte delle tecnologie digitali, buona soprattutto per settori – ospitalità, ristorazione, turismo – dove non sempre è richiesta una qualificazione professionale, né un titolo di studio.
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