Allarme Italia, San Gennaro facci il miracolo – NAUFRAGHI/E

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Diciamo la verità, un pasticciaccio così non si era mai visto nella storia della Repubblica italiana.

Neppure nel 2010, ai tempi del caso Ruby, lo scandalo politico-sessuale (riguardante la famosa minorenne marocchina) di cui fu protagonista il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il quale, invocando la ragione di Stato, cioè per sottrarsi alla responsabilità delle proprie malefatte, sosteneva che la ragazza da lui circuita era nipote del presidente egiziano Mubarak.

Neppure andando indietro di oltre tre decenni, ai tempi di Tangentopoli, troviamo una simile situazione, quando vedemmo sfilare davanti ai giudici del tribunale di Milano decine di papaveri socialisti e democristiani accusati di aver intascato miliardi e miliardi di lire di tangenti dagli imprenditori, per sé stessi e per il partito. Una corruzione sistematica, un ladrocinio trasversale bene organizzato, al di là di ogni immaginazione. Ricordate la scena del segretario della DC Arnaldo Forlani, ripreso in un impietoso primo piano con la bava alla bocca, mentre balbettava risposte senza senso di fronte alle incalzanti domande di Antonio Di Pietro?

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In questi giorni l’Italia ha superato di gran lunga le soglie d’indecenza istituzionale e politica allora raggiunte, confermando la tesi di coloro che sostengono che ci troviamo eternamente di fronte a una democrazia farlocca, mai pienamente realizzata, in barba alla Costituzione repubblicana nata dalla resistenza contro i nazifascisti e ora calpestata dalle destre al governo.

La conferma viene dai fatti, ovvero misfatti, succedutisi con velocità impressionante tra la fine 2024 e l’inizio 2025. Prendiamone in considerazione tre, a dimostrazione di un quadro inquietante della situazione italiana, dominata da un Governo in grave difficoltà e da una presidente del Consiglio tenacemente arroccata su posizioni difensive, che lancia anatemi contro la magistratura e le opposizioni, e al tempo stesso esalta i (presunti) mirabolanti risultati da lei raggiunti. Per dirla con i versi della filastrocca francese degli anni Quaranta, resa celebre in Italia da Nunzio Filogamo, secondo Meloni «tutto va ben madama la marchesa». Tranne le “toghe rosse” che non obbediscono al Governo.

Il criminale libico Almasri e l’attacco di Meloni alla magistratura

Facciamo un po’ di chiarezza su alcuni nodi venuti al pettine, partendo dal caso del generale libico Njeem Osama Almasri, capo della polizia giudiziaria libica. I fatti sono questi. Il 19 gennaio viene arrestato a Torino in esecuzione d’un mandato di cattura della CPI, Corte penale internazionale, che lo accusa di crimini contro l’umanità commessi nel famigerato carcere di Mittiga, vicino a Tripoli, dove vengono rinchiusi in condizioni disumane migliaia di migranti africani il cui unico desiderio era di emigrare per sfuggire alla fame e alle guerre. Qui, secondo le accuse, sono state uccise decine di persone e si sono consumati stupri, torture, violenze di ogni genere, anche su bambini. Il 21 gennaio, la Corte d’Appello di Roma dispone la scarcerazione di Almasri, evidenziando un’irregolarità procedurale: l’arresto non era stato infatti convalidato dal ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la CPI. Subito dopo il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, emette un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza nazionale: Almasri viene rimpatriato in Libia con un volo di Stato italiano e accolto trionfalmente a Tripoli dai suoi sodali. Piovono gli attacchi da parte delle opposizioni, protesta la CPI. La Procura di Roma, da parte sua, iscrive nel registro degli indagati la presidente del Consiglio, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ipotizzando i reati di favoreggiamento e di peculato per via dell’aereo militare usato.

Giorgia Meloni, con un video diffuso il 28 gennaio, va all’attacco con inaudita veemenza: «Il procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi, lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino Almasri, presumo al seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi». E conclude con la solita litania: «Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire».

La premier prende lucciole per lanterne. Prima di tutto quell’atto non è un avviso di garanzia, bensì una notifica con la quale gli interessati vengono messi a conoscenza dell’apertura di un fascicolo a loro carico, che viene inviato, «omessa ogni indagine», al Tribunale dei ministri, non essendo il caso di competenza della Procura, poiché si tratta di persone con incarichi di governo. Quindi non siamo di fronte a un attacco frontale al Governo, bensì a un atto dovuto, essendo le accuse del denunciante, l’avvocato Li Gotti, circostanziate e ben documentate. Il legale calabrese, oltretutto, ha un passato politico di destra, pur essendo stato sottosegretario alla Giustizia nel 2006-2008 nel Governo guidato da Romano Prodi. «Ma io non ero certo amico del presidente del Consiglio, come dice Giorgia Meloni», ha candidamente ammesso durante una trasmissione televisiva. «In due anni di mandato non l’ho incontrato neppure una volta».

Dopo due settimane di sguaiati attacchi alla magistratura e di assurde giravolte da parte degli esponenti della maggioranza, il 5 febbraio finalmente il Governo riferisce in Parlamento, prima alla Camera dei deputati, poi al Senato. Ma a presentarsi non è, come reclamavano le opposizioni e come sarebbe stato doveroso, la presidente del Consiglio. Tocca ai ministri Nordio e Piantedosi metterci la faccia, fornendo spiegazioni e ricostruzioni confuse e contraddittorie, se non surreali, che aggiungono confusione a confusione e scatenano la bagarre nei banchi delle opposizioni.

Il caso, quindi, è ben lontano dall’essere concluso, mentre giornalisti del livello – si fa per dire – di Italo Bocchino e Mario Sechi, si stracciano le vesti nei talk show televisivi per difendere le scelte governative. Rimangono aperti, in questo pasticciato caso più politico che giudiziario, i cui ingredienti sono l’incompetenza e la malafede, molti interrogativi riguardanti gli accordi tra Italia e Libia per il blocco dei migranti, il ruolo dei servizi segreti e la ragion di Stato, che quasi certamente è prevalsa nella scelta del Governo di rimpatriare Almasri anziché arrestarlo.

Una delle vittime delle violenze di questo criminale, Lam Magok Biel Ruei, il 3 febbraio, ha presentato a sua volta alla Procura di Roma una denuncia per favoreggiamento nei confronti di Nordio, Piantedosi e Meloni i quali, a suo dire, «hanno sottratto il torturatore libico alla giustizia».

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Centri di detenzione dei migranti in Albania, Governo tre volte sconfitto

L’accordo firmato il 6 novembre 2023 da Giorgia Meloni e dal premier albanese Edi Rama sui centri di detenzione per immigrati da realizzare a spese dell’Italia in Albania, era stato presentato come una panacea per gestire i flussi migratori e alleggerire il peso degli sbarchi sulle coste italiane. Si è trattato invece di un colossale fallimento, un flop annunciato, dal punto tecnico, giuridico e politico, uno spreco insensato che sta costando alle casse dello Stato un miliardo di euro.

Anzitutto: i centri sono in contrasto con le norme europee sui diritti dei migranti, per quanto riguarda in particolare i “paesi sicuri” ai quali rispedire gli irregolari che si vedono negare dalle autorità italiane il diritto d’asilo. Affidarsi a Tirana è stata una trovata mediatica, nata dal sodalizio personale, quasi goliardico, tra Meloni e Rama, più che un’azione politica bene organizzata. L’Albania non fa parte dell’UE e questo permette al governo italiano di aggirare alcune normative, ma resta il fatto che l’Italia sta esternalizzando un problema senza risolverlo. Con buona pace di Meloni, che ostenta l’interesse per il modello-Albania manifestato da parte di alcuni leader europei.

In base a quell’accordo si sono succeduti tre tentativi di trasferimento di immigrati in Albania. Tutti falliti.

Il primo, il 16 ottobre 2024: 16 uomini provenienti da Egitto e Bangladesh, vengono trasferiti a bordo della nave della Marina militare Libra, 81 metri di lunghezza e un equipaggio compreso tra 64 e 81 membri. Quattro migranti sono immediatamente riportati in Italia, due perché minorenni, due dichiaratisi ammalati. Subito dopo, in ottemperanza alle normative europee, di rango superiore rispetto alle leggi italiane, il Tribunale di Roma non convalida il trattenimento degli altri nei centri albanesi, ordinando il loro ritorno in Italia. Apriti cielo, la premier italiana tuona contro la magistratura, colpevole, a suo dire, di remare contro il Governo.

Secondo tentativo. L’11 novembre 2024 la Libra viaggia di nuovo verso l’Albania, con soli otto adulti a bordo e una sessantina di uomini d’equipaggio. Anche in questo caso, la magistratura italiana blocca l’operazione, sottolineando che né l’Egitto né il Bangladesh, dai quali provengono i migranti, possono essere considerati completamente sicuri per i rimpatri. Di conseguenza, anche questi poveri cristi vengono riportati in Italia.

Ma Giorgia non demorde. Il 15 dicembre dal palco di Atreju, al Circo Massimo, urla con gli occhi spiritati: «Abbiate fiducia, i centri in Albania funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano». E scandisce più volte: «Fun-zio-ne-ranno!».

Come no! Terzo ostinato tentativo. Pochi giorni fa, il 28 gennaio, un’imbarcazione militare italiana, questa volta la motovedetta Cassiopea, trasporta in Albania 49 migranti. Dopo le procedure d’identificazione, sei di loro, ritenuti vulnerabili, vengono immediatamente riportati in Italia. Per gli altri 43, la Corte d’Appello di Roma (alla quale nel frattempo il Governo ha trasferito la competenza sui rimpatri per evitare l’impasse dei tribunali ordinari) non convalida il trattenimento e rinvia la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamata a esprimersi sulla legittimità dei trasferimenti il 25 febbraio prossimo. Di conseguenza, anche questi migranti sono riportati in Italia.

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Caso Santanché, la ministra accusata di truffa ai danni dello Stato

In quale altro Paese un ministro resterebbe al suo posto quando viene messo sotto accusa per falso in bilancio e truffa ai danni dello Stato? È il caso di Daniela Garnero, 63 anni, già coniugata Santanché e ora compagna del sedicente principe Dimitri Kunz d’Asburgo, ministra del Turismo, quella – per intenderci – della disastrosa campagna promozionale da nove milioni di euro “Open to Meraviglia”: la Venere di Botticelli nelle vesti di un’influencer virtuale che ha esposto l’Italia al ridicolo.

Ebbene, il 17 gennaio la signora Garnero Santanché è stata rinviata a giudizio dal Tribunale di Milano, assieme ad altre 16 persone, con l’accusa di falso in bilancio nella gestione, prima della nomina a ministro, della società Visibilia, editrice di periodici quali Novella 2000, Visto, Ciak, PC Professionale. Il processo inizierà il prossimo 20 marzo.

Nel maggio dello scorso anno la Procura milanese aveva, invece, chiesto il suo rinvio a giudizio anche per truffa aggravata ai danni dell’INPS, l’Istituto nazionale della previdenza sociale. L’imprenditrice avrebbe utilizzato indebitamente i contributi dello Stato ottenuti durante la pandemia, tra il 2000 e il 2022, circa 130.00 euro. I fondi erano destinati alla cassa integrazione a zero ore dei propri dipendenti in Visibilia. Secondo l’accusa, alcuni di loro hanno continuato a lavorare pur essendo in cassa integrazione, causando un evidente danno all’INPS, che si è costituito parte civile. Nei giorni scorsi la Corte di Cassazione ha respinto la richiesta della difesa di trasferire il procedimento a Roma, il che avrebbe comportato un notevole allungamento dei tempi. La competenza rimane dunque al Tribunale di Milano, chiamato ora a pronunciarsi sul probabile rinvio a giudizio.

Il Fatto Quotidiano e la trasmissione di Raitre Report condotta da Sigfrido Ranucci hanno ricostruito per filo e per segno le intricate vicende di Santanché imprenditrice, nelle quali si manifestano ambigui personaggi ed emergono oscuri giri di finanziamenti attraverso scatole cinesi societarie. I coraggiosi giornalisti hanno scoperto un altro caso, oggetto di un’indagine della Guardia di Finanza: la villa in Versilia che fu del sociologo Francesco Alberoni, acquistata nel gennaio dello scorso anno dal compagno di Santanché, Dimitri Kunz e da Laura De Cicco, moglie del presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa per 2,45 milioni di euro e rivenduta dopo meno di un’ora dal rogito per 3,45 milioni, con una plusvalenza di un milione che non si sa dove sia andata a finire.

Ma, come non bastasse, c’è un’altra tegola che rischia di cadere sulla testa della ministra, l’atto di proroga delle indagini preliminari, emesso a dicembre, per la vicenda riguardante Ki Group Srl, operante nel campo del bio-food, di cui è stata presidente e legale rappresentante dall’aprile 2019 al dicembre 2021, che potrebbe sfociare nell’accusa di bancarotta fraudolenta.

Di fronte a questa situazione, Santanché, fortemente difesa da esponenti della Lega e di Forza Italia, un po’ meno dal suo partito, Fratelli d’Italia, ostenta sicurezza, confortata dall’antica amicizia con il presidente del Senato ma scoraggiata dalle sibilline dichiarazioni di Meloni. Non vuole proprio saperne di arrendersi. Per ora non molla la poltrona da ministro, come invece ha fatto – dobbiamo dirlo, con dignità – Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, per una vicenda meno grave, non certo paragonabile alla sua.

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Questa è la situazione dell’Italia nei primi mesi dell’anno giubilare 2025. La sinistra, intanto, si affanna in ordine sparso, con il principale partito, il PD, incapace di stabilire una linea d’azione chiara in un Paese che rischia di precipitare nel baratro. Meloni, con l’empatia di cui è capace, si è conquistata un posto al sole alla corte di Donald Trump e del suo alter ego Elon Musk, unica leader europea, mentre il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con i suoi felpati moniti, dopo 10 anni di permanenza al Colle si è conquistato la simpatia della maggioranza degli italiani. Peccato che egli non abbia saputo dire qualche no a questo Governo e a questa maggioranza, per esempio rifiutandosi di firmare l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio nell’agosto 2024. Una scelta devastante fortemente voluta dal ministro Nordio, assieme ad altri interventi sulla giustizia che gridano vendetta.

I cittadini, sfiduciati di fronte a una classe politica incapace di dare risposte concrete alle loro necessità, che non pensa a risolvere i problemi del caro-bollette e dell’aumento dei prezzi, si rifugiano mugugnando nel privato e disertano le urne. Sono la maggioranza silenziosa del Paese. Alle ultime elezioni meno della metà degli elettori è andata a votare. È una scelta irresponsabile, perché soltanto con il voto è possibile cambiare radicalmente le cose e restituire un po’ di dignità alla politica. Che dobbiamo fare? Come convincerli ad esercitare il diritto-dovere al voto, conquistato con il sangue dai nostri genitori e nonni?

Idea. Forse per farli uscire dal loro guscio potremmo rivolgerci al patrono di Napoli, uno dei santi più amati, e supplicarlo: San Gennaro, facci il miracolo!



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