Rossella Casini – torturata e uccisa per aver denunciato i crimini della ‘ndrangheta [biografia]

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Ci sono voluti molti anni per conoscere fino in fondo l’agghiacciante verità sulla struggente vicenda di Rossella Casini, giovane studentessa universitaria fiorentina scomparsa nel nulla nel febbraio 1981 a Palmi, piccolo comune della provincia di Reggio Calabria. L’indicibile brutalità di cui a volte l’essere umano può macchiarsi avrebbe voluto cancellarne per sempre il volto e la memoria. Non fosse stato per la caparbia ostinazione delle associazioni antimafia e di alcune giornaliste, oggi di lei non resterebbe più alcuna traccia, perché nel frattempo anche i suoi genitori sono morti.

Rossella era nata a Firenze il 29 maggio 1956 in una famiglia operaia. Studiava psicologia e nel 1977 aveva iniziato a frequentare un suo coetaneo, Francesco Frisina, uno dei tanti ragazzi calabresi arrivati a Firenze per frequentare l’università. I due s’innamorarono e strinsero un legame molto forte che coinvolse ben presto anche le famiglie. “Francesco sembrava un bravo ragazzo”, ebbe modo di raccontare molto tempo dopo il padre di Rossella. Ma quell’apparenza andò in frantumi all’improvviso il 4 luglio 1979, quando il padre di Francesco, Domenico Frisina, venne ammazzato da due sicari in Calabria. Non fu una fatalità, né uno scambio di persona, ma un’esecuzione in piena regola e il segnale che accese la miccia di una sanguinosa faida di ’ndrangheta fra le due cosche contrapposte dei Gallico-Frisina e dei Condello-Porpiglia. Una guerra senza quartiere, destinata a proseguire per anni e a mietere oltre cinquanta vittime.

Passarono poche settimane e anche Francesco rimase vittima di un agguato: i sicari lo raggiunsero con un proiettile alla testa ma non riuscirono a ucciderlo. Rossella lo fece trasferire a Firenze, in una clinica neurochirurgica. Il ragazzo guarì, ma la sua abitazione fiorentina cominciò a essere tempestata di telefonate minatorie, e Rossella ebbe allora la certezza che Francesco apparteneva a una famiglia ‘ndranghetista. Non volle però abbandonarlo al suo destino e lo convinse a collaborare, a infrangere la legge dell’omertà, a svelare la catena di omicidi che stavano insanguinando la sua terra.

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In anni in cui la parola mafia nessuno osava nemmeno mormorarla, lei stessa riferì ai magistrati tutto quello che aveva visto e sentito vivendo accanto al fidanzato. Gli atti vennero trasmessi alla Procura di Palmi e in Calabria scattarono i primi arresti. Quanto era accaduto a Firenze rappresentava qualcosa di inaspettato e inaccettabile per le cosche calabresi. Francesco venne costretto dalla famiglia a ritrattare le sue deposizioni ai giudici, e di conseguenza fu arrestato. Rossella faceva la spola fra Palmi e Firenze, nell’estremo tentativo di tirarlo fuori da quella situazione. “Non si schiodava, non se ne andava, non mollava la presa, voleva salvargli l’anima dopo avergli salvato la vita”, avrebbe spiegato il pubblico ministero al processo.

Nelle prime settimane del 1981 Rossella andò per l’ultima volta a Palmi per parlare con un giudice. Il 22 febbraio telefonò a suo padre per avvertirlo che stava tornando a casa. Invece sparì nel nulla, pochi mesi prima del suo venticinquesimo compleanno. Di lei non si ebbe più alcuna notizia. Sua madre morirà di dolore due anni dopo, il padre continuerà inutilmente a chiedere notizie della figlia, rischiando d’impazzire. La verità emergerà soltanto nel 1994, quando le deposizioni di tre collaboratori di giustizia consentiranno ai magistrati di Reggio Calabria di ricostruire una storia che molti volevano sepolta e dimenticata. Era stata la stessa famiglia di Francesco a prendersi l’incarico di “lavare il disonore” decretando la morte della “straniera” e il ragazzo non si era opposto alla sua eliminazione.

Rossella era stata rapita, torturata, violentata, fatta a pezzi e gettata nella tonnara di Palmi per aver osato rompere il silenzio imposto dalla ’ndrangheta e cercato di sottrarre il fidanzato a un destino di faide e violenza. Per il suo brutale rapimento e omicidio non c’è mai stata giustizia. L’interminabile iter processuale, trascinatosi per nove lunghi anni, si è concluso nel maggio 2006, quando la Corte d’assise di Palmi ha assolto con sentenza definitiva
i tre imputati, tra cui anche Francesco, per mancanza di prove.

Il corpo di Rossella non è mai stato ritrovato. Non c’è una tomba per piangerla e fino a poco tempo fa i suoi carnefici erano riusciti anche a cancellare il suo volto, poiché di lei sembrava non esistesse neanche una fotografia. Soltanto nel 2013, grazie all’ostinazione di alcune giornaliste e al lavoro dell’associazione antimafia Libera, è stata ritrovata negli archivi dell’Ateneo fiorentino e resa pubblica l’unica foto esistente di Rossella Casini, quella del suo libretto universitario. Ha i lunghi capelli sciolti sulla schiena, gli occhi chiari e lo sguardo malinconico.

Nel frattempo, il suo fidanzato è divenuto, secondo le accuse, un riciclatore di beni mafiosi. La cognata Concetta, accusata dai giudici di aver ordinato la morte di Rossella, è stata assolta con la formula del dubbio e insegna in un istituto comprensivo statale di Palmi. Secondo la Corte di Assise di Palmi, “il movente che Concetta Frisina aveva per fare uccidere la futura cognata è imponente, mastodontico, innegabile. Rossella Casini, in una paradossale lettura dei fatti in cui i valori sociali si ribaltano, era colei che aveva gettato il disonore sulla “onorata” famiglia Frisina. Una famiglia non solo “in odore di mafia”, ma la cui appartenenza associativa è già stata acclarata da accertamenti giudiziari che hanno l’autorità di giudicato”.

La storia di Rossella Casini ricorda molto da vicino quella di due note collaboratrici di giustizia, Rita Atria e Lea Garofalo, anche se si è svolta molti anni prima. Il difficile processo di recupero della sua memoria prosegue, grazie all’intitolazione di istituti scolastici, biblioteche e centri culturali sparsi in tutta Italia, e alla creazione dell’Università della ricerca, della memoria e dell’impegno (unirimi.it), nata alcuni anni fa in Calabria, utilizzando beni confiscati alla ’ndrangheta.



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